sabato 28 dicembre 2019

RECENSIONE: HELL SPET (Killer Machine)

HELL SPET Killer Machine (autoproduzione, 2020)




non c'è tempo da perdere
Pronti per l'apocalisse? Gli Hell Spet ce ne danno un anticipo di mezz'ora (29 minuti e 32 secondi per la precisione) tanto per metterci in guardia da quello che ci aspetterà in un futuro nemmeno troppo lontano, quando le macchine e la tecnologia prenderanno il sopravvento. Continuando il discorso programmatico iniziato da band come i Fear Factory in tempi non sospetti. Ma se là regnava il freddo chirurgico della proposta musicale, qui c'è ancora spazio per il calore. C'è ancora speranza. 
La band bresciana arriva al traguardo del quinto disco riuscendo nell'intento di mettere su disco quello che stavano sempre cercando: il connubio perfetto tra la tradizione musicale del country bluegrass americano (ecco il calore!), l'anarchia e la libertà d'intenti punk gridata nei chorus, la pesantezza delle chitarre e le trame del thrash metal. Queste ultime in netta prevalenza rispetto al passato. Quello che vogliono in questo momento. 
L'odore di letame della stalla di montagna e le scintille di un'officina meccanica giù in città non sono mai state così vicine tra loro. Cowpunkmetal della miglior specie: in Italia non lo troverete facilmente, dovete spostarvi dalle parti di Hank Williams III o su alcune opere di quel matto di Scott H. Biram. 
Qualcuno ricorda ancora i tedeschi Waltons? 
Mandolino (Simone Grazioli) e banjo (Nicolò Papini) lanciati a tutta velocità introducono il lavoro incessante della sezione ritmica formata dalla poderosa batteria (Michele "Cannibal" Saleri) e dal mastodontico è vintage double bass (Andrea "Biscio" Bresciani), dalle chitarre elettriche che spaziano dal rock'n'roll 50 a riff speed metal (Federico "Feddo" Guarienti) e dalla voce camaleontica che prima ti culla con la profondità di Johnny Cash  poi ti sveglia con il più brutale dei growl (Federico Cantaboni). Tutto scorre alla velocità della luce non c'è tempo da perdere. Non c'è sosta e non c'è inganno nelle undici tracce registrate all'Indiebox Music Hall di Giovanni Bottoglia: dall'iniziale motorhediana 'You' ll Fall' alla finale 'Back From Hell' passando dallo speed country di 'Cyborg Genocide' con i suoi stop and go cadenzati e i chorus Oi!, dalla veloce 'Dirty Life', al forte grido di 'Right Now', dalla cangiante pesantezza di 'Space Shuttle', all'arcigno hardcore di 'Killer Machine', fino all'epicità Irish folk di 'Rising From The Graves' e 'Don' t Look Back'. 
Ah dimenticavo la cosa più importante: la Hell Spet band da il meglio di sé sopra un palco. Se poi offrirete loro qualche birra come carburante, vi ringrazieranno con uno  spettacolo live in cui difficilmente riuscirete a star fermi e su cui non vorreste mai vedere la parola fine. Cheers. 

(Il disco sarà presentato in anteprima Domenica 5 Gennaio alla Latteria Molloy di Brescia) 


Foto: Dino Stupe

martedì 24 dicembre 2019

RECENSIONE: GERRY BECKLEY (Five Mile Road)

GERRY BECKLEY Five Mile Road (Blue Elan Records, 2019)




L'altra metà d'America
Se il logo America fosse stampato in copertina questo disco avrebbe qualche chance in più di visibilità. Si tratta invece del nuovo disco solista di Gerry Beckley, una delle due metà del gruppo (l'altra è Dewey Bunnell naturalmente), quello per cui gli anni sembrano non passare mai. Il concerto della band, quest'anno a Verona per festeggiare i 50 anni di carriera, me l'ha confermato. Beckey, 66 anni, ha ancora la stessa aria dell'eterno ragazzo di sempre: elegante ma sportivo, gentile, a modo, in una definizione pop rock come le canzoni che portano la sua firma.
Un disco, a tre anni dal precedente Carousel,  che si riappropria della semplicità degli anni migliori a cavallo tra la West Coast californiana e la sterzata beatlesiana portata da George Martin. Recupera perfino una canzone, 'Home Again', la cui prima stesura risale agli anni settanta. 
Un diario di viaggio che fa da colonna sonora alle fotografie, altra sua grande passione, raccolte in anni di carriera on the road e ora riunite in un libro. 
"Sapevo che questo gruppo di canzoni, anche la scelta del titolo dell'album, avrebbe riguardato il mio viaggio". 
Ma soprattutto si riappropria di molte canzoni che scrisse dieci anni fa per l'album Heart Of The Valley di Jeff Larson. Una collaborazione che all'epoca funzionò e che prosegue in qualche modo qui. 
Un po' Graham Nash, un po' Paul McCartney, le dodici canzoni hanno il dono dell'eterna gentilezza musicale di Beckley, melodicamente pop e costruite in viaggio ('Vagabond') che si sviluppano sul country elettro acustico come nell'apertura 'Life Lessons', l'unica scritta in coppia con Bill Mumy, nel country folk di 'Five Mile Road' con la chitarra ospite di Rusty Young (Poco) o di 'Heart Of The Valley' e 'Sudden Soldier', quest'ultima un'istantanea di una quotidianità negli aeroporti che si è spesso presentata ai suoi occhi durante gli spostamenti della band in tour. Qualche scatto più ritmato nel rock di 'Hang Your Head High' e nell'orchestra che arricchisce 'Calling'. 
Quando si siede al pianoforte fa uscire  il sangue british ('Something To Remember') di sponda Beatles che c'è in lui, nato in Texas da un papà  militare dell'aeronautica americana e madre inglese, cresciuto poi a Londra ma con il successo che lo aspettava nuovamente negli States. 
Beckley suona quasi tutti gli strumenti, con poche eccezioni (ecco Jason Scheff dei Chicago) in un disco costruito come si faceva una volta, tenendo in considerazione la tracklist come si trattasse di un vinile e i suoi due lati (così dice lui). 
Un disco fuori moda che porta comunque l'indelebile marchio America stampato nel cuore. 








sabato 21 dicembre 2019

30 DISCHI PER RICORDARE IL MIO 2019

30 DISCHI PER RICORDARE IL MIO 2019



DUFF McKAGAN- Tenderness    Recensione
MICHAEL KIWANUKA-Kiwanuka    Recensione
JIMMY "DUCK" HOLMES- Cypress Grove    Recensione
KADAVAR-For The Dead Travel Fast      Recensione
CHRIS KNIGHT- Almost Daylight     Recensione
WHISKEY MYERS -Whiskey Myers    Recensione
SACRED REICH -Awakening     Recensione
JESSE MALIN- Sunset Kids     Recensione
BRUCE SPRINGSTEEN -Western Stars
STEVE GUNN-The Unseen In Between     Recensione
RIVAL SONS-Feral Roots     Recensione
MICHAEL CHAPMAN-True North     Recensione
THE LONG RYDERS- Psychedelic Country Soul     Recensione
BOB MOULD- Sunshine Rock     Recensione
L.A. GUNS-The Devil You Know     Recensione
SON VOLT-Union     Recensione
JOSH RITTER-Fever Breaks    Recensione
D.A.D.- A Prayer For The Loud    Recensione
IAN NOE- Between The Country    DEBUTTO DELL'ANNO  Recensione
THE RACOUNTERS- Help Us Stranger    Recensione
THE ALLMAN BETTS BAND-Down To The River    Recensione
THE BLACK KEYS- Let's Rock    Recensione
WARRIOR SOUL- Rock'n'Roll Disease   Recensione
PURPLE MOUNTAINS- Purple Mountains    Recensione 
BLACK PUMAS-Black Pumas     Recensione
DOUG SEEGERS-A Story I Got To Tell   Recensione
RODNEY CROWELL-Texas     Recensione
SAINT VITUS- Saint Vitus
WILLIE NELSON- Ride Me Back   Recensione
THE STEEL WOODS- Old News    Recensione

bonus
JOHN GARCIA AND THE BAND OF GOLD   Recensione
YOLA-Walk Through Fire     Recensione
HAYES CARLL-What It Is    Recensione
RAMMSTEIN-Rammstein
delusione
TESLA-Shock!  Recensione


BOX, ristampe e postumi 


RORY GALLAGHER-Blues    Recensione
BOB DYLAN -Travelin' Thru, The Bootleg Series Volume 15
J.J. CALE-Stay Around       Recensione
NEIL YOUNG - Tuscaloosa      Recensione
TOWNES VAN ZANDT - Sky Blue    Recensione
GREGG ALLMAN- Laid Back


ITALIANI





VINICIO CAPOSSELA- Ballate Per Uomini e Bestie
MASSIMO VOLUME- Il Nuotatore
EDDA-Fru Fru
CHEAP WINE- Faces
SUPERDOWNHOME- Get My Demons Straight   Recensione
DARIO SN -The Easy Way   Recensione
TIJUANA HORROR CLUB- The Big Swindle    Recensione
THE CROWSROADS-On The Ropes      Recensione
STEVE RUDIVELLI- Brianza Texas Radio      Recensione


CONCERTI

 
I miei concerti del 2019

MADRUGADA (Latteria Molloy, Brescia, 4 Maggio)
un concerto di rarissima intensità per festeggiare i vent'anni del loro debutto Industrial Silence. Concerto sorpresa dell'anno quello dei norvegesi.

ALL THEM WITCHES (Bloom, Mezzago, 27 Aprile)
Il gruppo di Nashville è una delle migliori realtà rock uscite negli ultimi anni. Un concentrato bomba di blues, desert sound, hard rock e psichedelia. Diretti, credibili, senza fronzoli e, nonostante tutto, un futuro ancora tutto da scrivere.

ALICE COOPER (Pala Alpitour, Torino, 10 Settembre)
anche se lo spettacolo horror, i trucchi e le trovate sceniche da luna park sono le stesse di quarant'anni fa adattate al trascorrere del tempo, Alice Cooper sa ancora come mettere in piedi uno spettacolo vincente equilibrando alla perfezione rock e teatro. Divertimento assicurato. Recensione

MICHAEL KIWANUKA (Fabrique, Milano, 7 Dicembre)
un concerto incredibile per intensità, bravura, ritmo e scaletta dove il passato della black music amoreggia con il presente, con il rock, la psichedelia e nemmeno te ne accorgi, con l'umiltà di chi sa dove arrivare, conquistando lo strabordante pubblico del Fabrique. Unica nota negativa: proprio il Fabrique e un pubblico ben oltre la capienza.  Recensione

AMERICA (Teatro Romano, Verona, 7 Luglio)
il concerto che ho inseguito e sognato da circa 40 anni. Quello che mi ha riportato alla West coast della mia adolescenza. Un greatest hits per i loro 50 anni di carriera. Un suono pulito e basico, fatto di armonie vocali, belle chitarre acustiche, batteria, basso e chitarre elettriche. La splendida cornice del teatro, e la notte estiva dopo un violento temporale fanno il resto.   Recensione

MANUEL AGNELLI (Teatro Display, Brescia, 23 Novembre)
uno spettacolo intimo, caldo, avvolgente e coinvolgente, fatto di tante canzoni sue e non, ma anche di poesia, letteratura, aneddoti, accompagnato sul palco dal solo Rodrigo D'Erasmo e da un semplice ma accattivante gioco di luci. Bello.   Recensione

RIVAL SONS (Live Club, Trezzo, 15 Novembre)
dopo le conferme su disco, arriva anche il live per decretare i californiani una delle migliori hard rock band ascoltate nel nuovo millennio. E poi un cantante come Jay Buchanan a fare la differenza.

Steve Forbert (Scuola Toscanini, Chiari, 2 Febbraio   Recensione
The Long Ryders (Scuola Toscanini, Chiari, 19 Aprile)   Recensione
Steve Hill (Hydro, Biella, 10 Aprile)   Recensione
Edda (Latteria Molloy, Brescia, 18 Maggio)
Omar Pedrini (Latteria Molloy, Brescia, 23 Febbraio)   Recensione
Massimo Volume (No Silenz Festival, Cigole, 13 Giugno)
Orange Goblin (Ultrasuoni Festival, Dro (TN), 5 Luglio)
Hell Spet (Ultrasuoni Festival, Dro (TN), 6 Luglio)
Flamin Groovies & Festival Beat (Festival Beat, Salsomaggiore Terme, 29 Giugno)
Popa Chubby (Roload Sound Festival, Biella, 10 Luglio)
Napalm Death (Festa Radio Onda d'Urto, Brescia, 14 Agosto)
Motorpsycho (Latteria Molloy, Brescia, 11 Ottobre)
Ettore Giuradei (Teatro delle Ali, Breno (BS), 2 Novembre)
The Gentlemens (Monami, Montichiari,1 Novembre)
I Hate My Village (Latteria Molloy, Brescia, 15 Febbraio)


mercoledì 11 dicembre 2019

appunti veloci dal WEEKEND. Il disco: THE WHO (Who). Il concerto: MICHAEL KIWANUKA live@Fabrique, Milano, 7 Dicembre 2019

THE WHO  Who  (Universal, 2019)




Eccolo qua: un disco che non troverete nelle classifiche di fine anno compilate troppo frettolosamente. Un po' perché uscire ai primi di Dicembre ti taglia già fuori, si sa, un po' perché, se avete ascoltato tanti dischi avrete trovato sicuramente di meglio. Non lo meriterebbe. Io però la butto lì: i migliori Who dal lontano 1981? (Roger Daltrey in una intervista si è spinto indietro fino al 1973). Non che ci volesse molto, visto che in mezzo ci sono solo It's Hard e Endless Wire, i fanalini di coda della loro discografia. Però non male per un gruppo nato nell'anno in cui in Italia venne inaugurata l'autostrada del sole. Lo stesso anno in cui incontrarono l'artista pop Sir Peter Blake che creò la copertina di Faces Dances qualche anno dopo e pure questa.
La coppia formata da Roger Daltrey e Pete Townshend di strade ne ha percorse così tante che mettere in fila undici canzoni (tre in più nella versione deluxe), senza un tema portante ma in completa libertà, è puro mestiere: uno sa ancora ruggire quando vuole e ho ancora in testa il bel disco con Wilko Johnson ('Ball And Chain' si prende a cuore le condizioni dei carcerati a Guantanamo riprendendo una vecchia canzone di Townshend), l'altro schitarra ancora con fervore ('All This Music Must Fade') e si prende la scena nella sorniona e orchestrale 'I' ll Be Back', uno sguardo indietro ai tempi andati. Certo, quelle vecchie strade vengono percorse un po' tutte: ci sono gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i synth con i loro pregi e tanti difetti, cori e voci al vocoder abbastanza orribili (e evitabili), la schiettezza pop, e il deja vu è di casa quasi all'angolo di ogni traccia. Le mie favorite sono la leggera ''Break The News', una folk song sostenuta dal sapore molto British e radio friendly e la cangiante 'Rockin' In Rage' un rock teatrale il giusto.
Molto probabilmente questo disco ha la parola fine incisa nell'ultimo solco dell'ultima canzone.
E pensare che il disco si apre con queste sarcastiche parole :"I don’t care, I know you’re going to hate this song”. Bentornati comunque.







MICHAEL KIWANUKA live@Fabrique, Milano, 7 Dicembre 2019

Che crescita Michael Kiwanuka! Ricordo il suo timido e acerbo talento con quegli occhi da cerbiatto davanti al pubblico curioso dei Magazzini Generali nel 2012 ai tempi del suo acclamato debutto, lo ritrovo leone stasera, sette anni dopo, con altri due album pazzeschi nelle tasche, capace di mettere in piedi un concerto incredibile per intensità, bravura, ritmo e scaletta dove il passato della black music amoreggia con ...il presente, con il rock, la psichedelia e nemmeno te ne accorgi, con l'umiltà di chi sa dove arrivare, conquistando lo strabordante pubblico del Fabrique. Il ragazzo è pronto per i palazzetti.
Ecco, se devo trovare un difetto alla serata, il buon Kiwanuka non c'entra nulla: un concerto lo vivi bene quando l'organizzazione ti mette nelle condizioni per farlo.
Sì l'ho vissuto male.
Stasera il locale era invivibile, stipato in ogni buco della sua superficie ben oltre la capienza, tanto che le piazze piene di sardine di questi giorni ci facevano un baffo. Non oso immaginare un possibile piano di evacuazione in caso di emergenza in una simile occasione.
Vabbè, poi c'è il vergognoso contorno tutto italico: prezzi bevande da ristorante cinque stelle, parcheggiatori abusivi delle grandi occasioni che chiedevano 10 euro (10 euro!) per trovarti un posto macchina in zona industriale (mandati prontamente a cagare) e bagarini che continuano la loro opera come il più normale dei mestieri. Ma questi basta ignorarli.
Fortunatamente esiste la musica. Però rispettiamola cazzo!


 

martedì 10 dicembre 2019

RECENSIONE: MAMMOTH MAMMOTH (Kreuzung)

MAMMOTH MAMMOTH  Kreuzung (Napalm Records, 2019)



Play it loud...
Dall' Australia, da sempre terra lontana di buon rock'n'roll, arrivano i Mammoth Mammoth, una decina d'anni di carriera e sei album alle spalle.
Perché quando ti assale quella voglia di rock'n'roll puro, goliardico e ignorante (basta leggere i titoli per capire le loro intenzioni: "le nostre influenze sono le nostre esperienze, non scriviamo canzoni su maghi, unicorni o alieni sexy" dicono) i MAMMOTH MAMMOTH da Melbourne sono dei buoni mestieranti del genere in grado di sfamare gli affamati che dal rock pretendono solo sudore, energia e divertimento.
La band capitanata dal cantante e chitarrista Mickey Tucker si lascia alle spalle la scorza più pesante del suono di inizio carriera, spesso etichettato sotto la voce stoner (loro hanno sempre preferito la parola rock anche se la pesantezza è quella di sempre, ascoltare 'Tear It Down') per suonare ancora più diretti e veloci come già anticipato dal precedente disco Mount The Mountain uscito nel 2017, primo per l'etichetta Napalm Records.
Se in 'Wanted Man' sembrano palesamente omaggiare i conterranei Ac Dc, e in 'Lead Boots' cercano vie più melodiche, soprattutto nel cantato, nelle restanti canzoni si lanciano a rotta di collo su un hard rock'n'roll pesante e dal tiro icidiale ('I'm Ready', 'Motherf@cker') giocando sullo stesso campo dei Motorhead e seguendo la strada degli Orange Goblin della seconda metà di carriera. L'album lo intitolano in tedesco (Kreuzung significa incrocio) omaggiando il paese che più di tutti li ha adottati: a Berlino hanno registrato il disco, in Germania le date più numerose dei loro tour.









martedì 3 dicembre 2019

RECENSIONE: NICHOLAS DAVID (Yesterday's Gone)

NICHOLAS DAVID - Yesterday's Gone (2019)



Dopo Jonathan Long, bella scoperta dell'anno scorso ( naturalmente presente la sua chitarra ospite anche in questo disco) Samantha Fish si dimostra, oltre che grande musicista, anche una buona talent scout, reclutando sotto la sua etichetta discografica un altro pezzo da novanta. O almeno con tutti i numeri per diventarlo.
"L' ho vista come se fosse un'opportunità per crescere. Mi sento così felice che sia successo. È stato bello e divertente" dice Nicholas David.
Samantha Fish gli risponde:"Nicholas è un cantautore e musicista di eccezionale talento. Sa cosa vuole e quando lavora in studio è pieno di idee e ispirazione". Sembrano tutti contenti.
Nicholas David non è più giovanissimo (quasi 40 anni per lui, una moglie e due figli) ma alle spalle ha già parecchi dischi e vanta pure un buon piazzamento al talent show americano The Voice, a cui partecipò nel 2012 suo malgrado, iscritto per scherzo da un amico, e almeno vent'anni di dura gavetta come musicista suonando le tastiere, girando in tour anche in compagnia di Devon Allman e Duane Betts. Quest'ultimo lascia l'impronta della sua chitarra lungo le undici tracce del disco. Autodidatta, nato in Minnesota, fisico imponente e vestiario che può riportare alla mente Dr John, le sue canzoni seguono le strade dettate dai tasti del pianoforte e dalla sua voce, elemento distintivo, profonda, blues e segnante. A tratti si intravede Leon Russell, a volte Elton John.
Canzoni dirette verso il southern soul ('Heavy Heart'), che toccano il R&B ('Okay') senza disdegnare qualche puntata nel jazz (''Peel Back The Leaves'), nel rock ('Hole In The Bottom', 'Curious') e nel funky ('I' m Interested').
Ballate melodiche, cariche di sentimento (la beatlesiana 'With Or Without') a cui sembra mancare solamente un pizzico di grinta in più. Ma a uno che mette sul piatto pezzi come 'Stars' e 'Times Turning' cosa puoi dire?
Quando era ancora un ragazzino, suo nonno, che fu il primo ad avvicinarlo alla musica, in punto di morte si rivolse alla moglie dicendo: "di a Nick di continuare a suonare". Nicholas non solo ha continuato a suonare ma con questo disco esce allo scoperto prenotando un posto tra i migliori talenti dell'anno.
Il nonno ne sarebbe fiero.