martedì 19 marzo 2019

RECENSIONE: THE STEEL WOODS (Old News)

THE STEEL WOODS Old News (Thirty Tigers, 2019)





le care vecchie ma “buone” notizie dal southern rock

Nel leggere i sottotitoli della pagina di giornale piazzata in copertina, dove la scritta Old News si mangia tutto, pure il nome del gruppo, pare non ci sia da stare troppo allegri perché le notizie pur dal sapore antico hanno un legame con la stretta attualità. Ma se la situazione socio politica negli Stati Uniti è quella che è, tanto da indurre alle lacrime perfino la Statua della Libertà , bisogna ammettere che il southern rock sta vivendo l’ennesima e ciclica “nuova giovinezza” grazie a numerosi gruppi nati negli ultimi anni: Blackberry Smoke, Whiskey Myers, Cadillac Tree, Sheepdogs, The Vegabonds, The National Reserve, non degli innovatori ma abbastanza per leggere la stato “in salute” sullo schermo del termometro e rallegrarsi. In fondo si tratta solo di portare avanti la tradizione, facendo le cose per bene.
Gli Steel Of Woods si sono formati a Nashville e sono tra i gruppi più interessanti della scena, guidati dalla più classica delle coppie cantante-chitarrista che sembra rimandare ai tempi dei settanta. Wes Bayliss è un cantante dalla particolare timbrica soul e profonda che a tratti richiama il buon Chris Stapleton, un po’ anche nell'aspetto, Jason Cope un chitarrista fantasioso e poliedrico a suo agio tanto nel ricamare con tranquillità nel country rock quanto nel costruire riff di chiara scuola southern e hard, con alle spalle la buona gavetta di nove anni nella band di Jamey Johnson. Completano la formazione il bassista Johnny Stanton e il batterista Jay Tooke. Old News pare sia stato registrato in soli sei giorni, tra un tour e l’altro, e arriva dopo il debutto Straw In The Wind, uscito nel 2017. La prima cosa che si può notare scorrendo i titoli è il grande numero di cover presenti. Ma non fermatevi all'apparenza c’è un motivo preciso che dopo vedremo. Le nove canzoni autografe passano con disinvoltura dal più tipico southern rock alla Lynyrd Skynyrd, quelli della reunion però, periodo 1991,The Last Rebel, nell'apertura ‘All Of These Years’, alle chitarre più hard di ‘Blind Lover’ e della breve strumentale ‘Red River’, a ballate acustiche malinconiche e scure (‘Wherever You Are’) al country di ‘Anna Lee’, l’epicità di pezzi come ‘Compared To A Soul’, ‘Old News’ e i sei minuti di ‘Rock That Says My Name’ tra le cose più riuscite del disco con il cameo del vecchio nonno del cantante che nel finale pare affidarsi alla lettura della Bibbia. In mezzo due cover: la rilettura in chiave soul di ‘Changes’ dei Black Sabbath, sembra confermare il grande amore del gruppo per la band inglese dopo quella ‘Hole In The Sky’ nel debutto e poi una perfetta ‘The Catfish Song’ di Townes Van Zandt, più che mai di attualità in queste settimane in cui il nome di Van Zandt è tornato sulle prime pagine. Il disco potrebbe finire qui e la band avrebbe già lasciato un buon ricordo di sé, invece nel finale piazza un poker di sentite cover che, nonostante tutto, riescono ad alzare le quotazioni. Da ‘One Of These Days’ del songwriter dell’Alabama Wayne Mills, a ‘Are The Good Time Really’ Over di un altro maestro come Merle Haggard, da una energica ‘Whipping Post’ degli Allman Brothers per concludere con ‘Southern Accents’ di Tom Petty, ormai un inno di appartenenza a certe latitudini musicali.
Ecco come il cantante Wes Bayliff spiega la scelta di aggiungere così tante cover nel disco: “abbiamo fatto ‘Hole In The Sky’ e ‘Changes’, un brano davvero diverso dei Black Sabbath, già splendidamente rifatta da Charles Bradley. Quella e ‘Catfish Song’ sono quelle che considero cover. Le ultime quattro del disco sono tributi. In origine li abbiamo chiamati ‘necrologi’ come sono nella parte posteriore di Old News. Penso sia una bella cosa. Volevamo scegliere alcuni artisti a cui volevamo rendere omaggio, senza necessariamente cambiare molto le originali”. Il giornale è finito. Andate in pace. Motivi per aspettare il terzo numero sono ora tanti.






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