domenica 19 marzo 2023

RECENSIONE: THE ANSWER (Sundowners)

 

THE ANSWER  Sundowners (Golden Robot Records, 2023)


dopo sette anni

I nordirlandesi The Answer hanno atteso sette lunghi anni e il giorno di San Patrizio del 2023 per tornare sulle scene più in forma che mai. Dei tempi lunghissimi per un mondo che stritola rockstar e presunte tali con la stessa velocità con la quale qualunque buon irlandese si tracanna la prima pinta di Guiness dopo il lavoro in un normale giorno feriale giù al pub. Fortunatamente la band guidata dal rosso Cormac Neeson ha alle spalle delle buone basi inchiodate con ferro, martello e alcol appiccicoso (sei i dischi usciti) e quella maturità guadagnata negli anni partendo dall'essere semplicemente dei cloni del classic rock targato seventies fino ad aprire per colossi come Rolling Stones e AC/DC.

Oggi tocca a loro tirare la carretta, cosa che sembra riuscire bene.

"Non abbiamo fatto molti concerti da quando siamo tornati insieme, ma abbiamo fatto il disco e tutte le cose extra che lo accompagnano e stiamo iniziando a fare interviste e roba adesso. Quindi per certi aspetti sembra di essere tornati sul tapis roulant come qualche anno fa" ha dichiarato il chitarrista Paul Mahon

È una partenza diesel la loro con una title track da sei minuti che in verità pare più una lunga introduzione per le restanti dieci canzoni chiamando in causa più volte i Led Zeppelin nel suo avanzare sciamanico. E fu proprio Jimmy Page a decantare le qualità e sciorinare le somiglianze del gruppo con il dirigibile ai tempi dell'esordio Rise. Correva l'anno 2006. L'influenza  Led Zeppelin ritorna prepotente più avanti in Get Back On It.

Si cambia registro nella successiva Blood Brother, marziale e sincopata nel suo incedere, ricordando gruppi come Black Keys e White Stripes. Tra riff circolari di chitarra con un Hammond a fare da morbido cuscino (California Rust), chorus micidiali in salsa street glam (Livin' On The Line), suadenti messaggi con la sezione ritmica formata da Micky Waters al basso e James Heatley alla batteria in grande evidenza (Want You To Love), incursioni soul e funky (Oh Cherry) e due ballate come la bluesy e gospel No Salvation e una finale e acustica Always Alright che sa tanto di anni novanta, il disco scorre liscio come tutte le birre spillate durante una tipica serata irlandese, anche senza avere una vera canzone traino o hit.

Un ritorno alla semplicità del passato che il cantante Cormac Neeson, voce che a tratti ricorda il compianto  Dan Mc Cafferty dei Nazareth, ha spiegato così: "dopo sei album e un sacco di chilometri abbiamo sentito il bisogno di fare un passo indietro e resettare tutto".

Ok, si può riinanziare a riempire il boccale. Cheers!





domenica 12 marzo 2023

THE DAMNED + SMALLTOWN TIGERS live@Alcatraz, Milano, 11 Marzo 2023



Era stato presentato come il tour del Black Album del 1980 che doveva essere omaggiato (solo due i pezzi suonati: Waiting For The Blackout e Lively Arts), è stato invece il concerto di presentazione del nuovo disco Darkadelic in uscita in Aprile ma con solo un paio di pezzi già fuori e conosciuti tra cui il singolo The Invisible Man.

Chi ha presenziato con queste aspettative sarà forse rimasto deluso. Per tutti gli altri non c'è stata delusione alcuna credo, i Damned sono sempre una garanzia anche quando suonano una decina di canzoni che arrivano per la prima volta alla orecchie dei fan. Che sia sempre stato un gruppo camaleontico, disimpegnato e autoironico lo si sapeva e lo capisce anche da come si presentano ancora oggi sul palco. 


Captain Sensible con la consueta maglia a righe rossonere e baschetto rosso, smorfie e sorrisi lasciano pochi dubbi su quanto si diverta ancora con una chitarra tra le mani. Dave Vanian in perfetto completo nero da vampiro dark wave, cappello da gangster e una voce che a parte i primi momenti viene fuori ancora come un tempo quando fece scuola a molti. Paul Gray, t-shirt degli MC 5 per lui, non la tocca piano con il suo basso tanto da farsi sanguinare un dito a metà concerto, Monty Oxymoron è incatalogabile dietro le tastiere, con il suo pigiama di teschi, mosse tarantolate e capelli arruffati da scienziato pazzo (si prende la scena a centro palco per pochi secondi nel finale) , mentre il giovane e compassato batterista  Will Glanville-Taylor sembra  appena uscito dall'ufficio per sfogare la sua rabbia quotidiana nel pub di turno che questa sera è il palco di un Alcatraz diviso a metà ma comunque pieno. Incredibile in cambio generazionale che avverrà a fine concerto quando prenderà inizio il sabato sera danzereccio dei teenager.


Per il resto è un concentrato di vecchi punkster con figli al seguito (ho visto i papà pogare e i figli godersi il concerto davanti alle transenne) che non aspettavano altro che l'esecuzione di pezzi come Neat Neat Neat, Smash It Up, Love Song e quella New Rose che all'epoca passò alla storia come primo vero singolo punk e oggi è giustamente l'ultima e la più attesa in scaletta. Anche se poi non sarà proprio l'ultima: ecco una inaspettata, anche per il batterista, White Rabbit. Onesti, divertenti, stoici e storici. Per presentare così un disco che ancora deve vedere la luce vuol dire credere ancora in quel che si fa. Il passato, pesante, è stato omaggiato ma il presente sembra più importante. Una buona filosofia di vita per una band con quasi cinquant'anni di storia.






Sarà perché le all female band sono sempre cosa rara da vedere sopra i palchi che contano ma le romagnole SMALLTOWN TIGERS sono state una bella scoperta. Un po' per tutti credo. Stanno aprendo tutte le date del tour europeo dei Damned (Captain Sensible seduto a bordo palco le segue attentamente e tiene il tempo con testa, mani e piedi) e oggi senza timori reverenziali suonano finalmente in casa. Appena la cantante e bassista Valli ha aperto bocca presentando la band (Monty alla chitarra, Castel alla batteria) ho sentito uno dietro di me pronunciare con stupore "ah ma sono italiane!'. Ebbene sì.


Da Suzie Quatro alle Runaways di Joan Jett fino ad arrivare agli anni novanta di L7, Hole e Donnas, il trio è un concentrato di punk rock'n'roll senza fronzoli e pronto a partire ad ogni attacco di bacchette della batterista.

Si parte dai Ramones, dal surf rock'n'roll, dal garage, arrivando fino a toccare il grunge con spensieratezza, disinvoltura e sorrisi sempre stampati in faccia che non guasta mai. Ci fanno conoscere il loro debutto Five Things e concludono con una R.A.M.O.N.E.S. dei Motorhead che racchiude bene la loro proposta musicale senza fronzoli e in your face. Applausi per loro e si alza pure un meritatissimo "belle e brave!" alla loro uscita che condivido con piacere.





mercoledì 8 marzo 2023

BLACKBERRY SMOKE live@Alcatraz, Milano, 7 Marzo 2023




Qualche tempo fa scrissi un articolo sui Blackberry Smoke su una rivista, parlai bene del loro doppio disco dal vivo Leave A Scar. Giorni dopo un mio contatto di Facebook mi scrisse "sentiti responsabile per i soldi che ho buttato". Lasciando da parte quell'accusa che negli anni duemila suona quantomeno gratuita: "ascoltateli prima gratis, non siamo nel 1973" fu più o meno la mia risposta. Non gli erano piaciuti. Questo può anche starci. 
Ecco, però: per me è veramente difficile per chi ascolta rock’n’roll di stampo classico non farsi piacere un live di un gruppo onesto come lo sono i Blackberry Smoke, che non saranno dei fuoriclasse assoluti e da prima pagina, derivativi quanto si vuole, ma che sicuramente sanno come intrattenere un'audience con gusto e mestiere, senza piedistalli o mosse da poser. A Gregg Allman piacevano un sacco, ci si può sempre fidare di lui almeno. Potrei ripetere le stesse parole che usai per descrivere il loro concerto che vidi al Fabrique di Milano nel 2017. Poco è cambiato, Charlie Starr rimane ancora l'unico motore trainante di tutta la band: carisma, voce e chitarra guidano sostanzialmente il gruppo, ecco l'unica mancanza è non avere nella band almeno un altro elemento con lo stesso carisma che possa rivaleggiare ad armi pari e portare quella "sana" rivalità che il rock conosce bene. O porta distruzione o meraviglie, il rischio è dietro l'angolo. Forse i Blackberry Smoke amano poco i rischi. Forse questa è la loro natura. Però da quel 2017 in scaletta in più possono vantare un disco come l'ultimo You Hear Georgia che viene ben saccheggiato (mi è piaciuta particolarmente una 'Hey Delilah' pregna di umori sudisti) e che di fatto è uno dei loro migliori insieme a The Whippoorwill del 2012. Nel frattempo se ne sono andati anche maestri come Tom Petty e Gary Rossington, solo pochi giorni fa, omaggiati, il primo con un accenno di 'Don't Come Around Here No More'. 

Tre chitarre, basso, batteria e percussioni, uno fondale semplice e desertico e due ore di musica che hanno la forza di portarti per un attimo lontano dalla pigra quotidianità: 'Six Ways To Sundays', 'Waiting For The Thunder', 'Pretty Little Lie', 'The Whippoorwill', schitarrate e ballate si succedono che è una meraviglia. 
 Dei Blackberry Smoke ho sempre apprezzato l'onestà musicale, il gusto melodico, la capacità di unire chitarre (tre come piace al southern rock, ecco allora Paul Jackson e Benji Shanks) con quella melodia country pop cara a gruppi come Outlaws e Eagles. Concretezza e poche seghe strumentali anche se nelle loro capacità se solo osassero un po' di più. 
Ritornando all'inizio: per me sono sempre soldi spesi bene, e nemmeno troppi di questi tempi (meno di trenta euro). 






Setlist 

All Over the Road 
Let It Burn 
Six Ways to Sunday 
Live It Down 
Good One Comin' On 
Waiting for the Thunder 
Pretty Little Lie 
Living in the Song 
Hey Delilah 
Sleeping Dogs 
The Whippoorwill 
All Rise Again 
Ain't Gonna Wait 
Ain't the Same 
Ain't Got the Blues 
Run Away From It All 
Restless 
One Horse Town 
Old Scarecrow 
Flesh and Bone 
Ain't Much Left of Me



sabato 4 marzo 2023

RECENSIONE: MYRON ELKINS (Factories, Farms & Amphetamines)

 

MYRON ELKINS  Factories, Farms & Amphetamines (Elektra, 2023)



il giovane vecchio

"Sono inciampato nei posti giusti al momento giusto e ho stretto le mani giuste" sembra ben consapevole della grande fortuna che ha avuto il ventiduenne Myron Elkins. Dal lavoro di meccanico saldatore nella contea di Allegan nel Michigan ai palchi di Nashville il passo è stato più breve del previsto. Anche se non mancano determinazione e faccia tosta che oggi gli permettono di cantare al mondo il suo universo bluecollar popolato da chi è nato dalla parte sbagliata del fiume.

Le tappe di questo novello Forrest Gump della musica, come ama definirsi lui, sono ben scandite: la sua grande passione dopo il lavoro è la musica (molte canzoni sono state pensate con un saldatore tra le mani) e alcuni amici lo iscrivono a una un concorso per band. Lui raccatta su un gruppo, vince la manifestazione e viene notato da Dave Cobb che se lo porta nel  RCA Studio A di Nashville, gli fa incidere le sue canzoni che oggi grazie a una etichetta come la Elektra escono sotto il titolo Factories, Farms & Anphetamines che sembra ben racchiudere tutto il suo micro mondo. Partito dal grande amore per la country music (Johnny Cash, Waylon Jennings ma anche Sturgill Simpson e Chis Stapleton tra i suoi primi modelli) Myron Elkins si apre musicalmente verso tante altre strade che per ora, pur piacevoli, confondono un po' le idee: derivativo ma con un futuro davanti tutto da scrivere. A suo favore l'età e la voglia di raccontare le sue storie nate dal basso e a chilometro zero. 

Ma poi si scopre che è proprio la varietà a far scorrere il disco così bene. Un disco decisamente elettrico con chitarre sempre in primo piano (oltre a Elkins ecco Caleb Stampfler e Avry Whitaker): fin dall'apertura 'Sugartooth', numero "born on the bayou" che richiama John Fogerty e i CCR, dalla title track, southern rock che ricorda i Lynyrd Skynyrd, il blues di 'Mr. Breadwinner', l'honky tonk country di 'Wrong Side Of The River', una 'Nashville Money' che sa di catrame e asfalto.

E poi ancora il funky di  'Hands To Myself' e quello più "danzereccio" di 'Machine' fino al country arioso della finale 'Good Time Girl'.

Myfon Elkins merita senza dubbio un ascolto in attesa di una seconda prova che potrebbe già svelare le sue reali intenzioni future.