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venerdì 10 maggio 2024

PFM canta Fabrizio De André Anniversary live@Teatro Alfieri, Torino, 6 Maggio 2024

 


PFM canta Fabrizio De André Anniversary live@Teatro Alfieri, Torino, 6 Maggio 2024

1980, il mio primo ingenuo approccio con Fabrizio De André fu la cassetta di “Fabrizio De André In Concerto con arrangiamenti PFM-registrato dal vivo a Firenze e Bologna, 13-14-15-16/1/1979”. Un disco che diventerà uno dei grandi live della musica italiana, per come fu suonato, per gli arrangiamenti, per quello che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi: quell'incontro/scontro tra rock e poetica cantautorale. Anche in Italia si poteva fare seguendo l'esempio di "Bob Dylan con The Band" dirà Franz Di Cioccio.

"La nostra tournée è stata il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire e eseguire le canzoni. Un’esperienza irripetibile perché PFM non era un’accolita di ottimi musicisti riuniti per l’occasione, ma un gruppo con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l’hanno messo al mio servizio…" raccontò De André.

Avevo sette anni e un’ attrazione per quel pezzo di plastica arancione con il timbro Siae blu di una volta in bella evidenza. Cassetta conservata ancora oggi con maniacale cura, che quando girava nell'impianto stereo nuovo di pacca e costato sacrifici a mio padre, arrivati quasi alla fine del lato B, faceva uscire una frase che qualcuno in famiglia sottolineava sempre con velata ironia, soffermandosi sull’ultima parola della seconda strofa, e io ridevo a crepapelle senza sapere bene il perché. Qualche anno dopo, tutto sarebbe stato più chiaro: “passano gli anni i mesi, e se li conti anche i minuti. È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti, la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo, fino a dire che un nano è una carogna di sicuro, perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo”.


 


Erano le parole di ‘Un Giudice’. Quella cassetta arrivò improvvisa a svegliarmi, forse perfino troppo presto, questo concerto "PFM canta Fabrizio De André, Anniversary" (e  sono ormai 45 anni) è arrivato altrettanto improvviso. Regalo di un'amica all'ultimo momento. "Ho un biglietto in più. Vieni?". Grazie! Perché no? Mi son detto. Sarei andato a chiudere un cerchio della mia vita iniziato in diretta nel 79, anche se mancano alcuni protagonisti, il principale sicuramente. A Torino piove e la città è quindi libera di riempire l'aria con il meglio di sé stessa: sprigionare tutta la sua arcana bellezza da vecchia capitale. Quegli specchi d'acqua dove a tarda notte  i palazzi e i monumenti si specchiano donano antica magia che ogni volta rapiscono. Almeno me. Arrivo presto per un aperitivo, ma mentre aspetto la mia amica sbircio davanti al teatro proprio mentre Franz Di Cioccio e Patrick Djivas escono per andare a cena, piove forte, sono incappucciati e viaggiano veloci, non oso fermarli. Ma lo ammetto, una foto con loro avrei voluto farla. Il resto della band segue dietro decisamente più rilassata e gioviale.



Entrati, gli arredi di stoffa rossa del Teatro Alfieri, il secondo più antico della città, le luci calde e soffuse fanno proseguire la magia delle vie, dei portici e delle piazze, creando un' atmosfera antica, tanto che quel protagonista che manca pare possa uscire da un momento all'altro da dietto un drappo rosso con il fumo della sigaretta ad anticiparlo. Ad uscire, in perfetto orario è invece la Premiata Forneria Marconi in una formazione a nove elementi. In prima fila i quattro reduci di quel tour del 79 passato alla storia: un Franz Di Cioccio che dall'alto dei suoi 78 anni, con le bacchette della batteria perennemente infilate nella cintola dei jeans, si prodiga durante tutto il concerto a cantare, suonare la batteria e ballare con passi di danza da menestrello rock,   Patrick Djivas incollato al suo sgabello fa uscire note di basso che fanno tremare il teatro e sembrano dialogare, Lucio Fabbri è il violinista che tutti conosciamo, e stasera c'è pure Flavio Premoli alle tastiere, fisarmonica ('Il Giudice')  e il mitico Moog. Poco più dietro i giovani: il talentuoso Luca Zabbini alle chitarre e tastiere e pure voce in 'Zirichiltaggia', Marco Sfogli alle chitarre con il sempre difficile compito di sostituire il maestro Franco Mussida e poi ancora Roberto Gualdi alla batteria quando non deve lasciarla a Di Ciccio e Alessandro Scaglione alle tastiere. Questa sera poi c'è Michele Ascolese l'instancabile chitarrista che con Fabrizio De André ci suonò negli ultimi dieci anni della sua vita.


Delle canzoni di Deandré non dico nulla, oltre ai classici che resero immortale quel tour c'è spazio anche per una lunga parentesi dedicata all'album Buona Novella del 1970 musicato da una PFM che ancora si chiamava I Quelli. 

"Molti di quegli arrangiamenti li ho mantenuti nel tour successivi perché hanno dato alla mia musica un volto nuovo e vivace" raccontò De André. Così nuovo che ancora oggi, così ricchi, funzionano alla grande.

Quando Franz Di Cioccio lancia quel "Branca, Branca, Branca..." prima di  'Volta La Carta' mi pare esca dalla mia vecchia cassetta e il pubblico che risponde "leon leon leon" sia quello presente nel 1979. Invece questa volta ci sono anch' io.


Il  bis è lasciato a 'Celebration' ed a un breve accenno di 'Impressioni di Settembre'. 

Ma la catarsi si era già compiuta quando un leggio è stato posizionato a centro palco, una luce lo ha illuminato e la voce di De André ha cantato 'La Canzone Di Marinella'. In quel momento sì, c'eravamo tutti. (O quasi).




domenica 7 aprile 2024

JUDAS PRIEST live@Forum Assago, 6 Aprile 2024



JUDAS PRIEST live@Forum Assago, 6 Aprile 2024

sei foto da portarsi a casa

1 - Quando cala il telone sulle note di War Pigs dei concittadini Black Sabbath (non è forse l'operaia Birmingham una delle città più rock'n'roll di sempre?) e il concerto inizia con la band raggruppata intorno alla batteria di Scott Travis. Sembra un'istantanea rubata ai primi tempi quando gli spazi erano ancora stretti e angusti. I loro abiti con rifiniture d'acciaio e d'argento brillano, poi entra in scena  il sontuoso impianto luci, semplice ma d'effetto e capisci quanta strada abbiano fatto.



2 - Le canzoni dell'ultimo album Invincible Shield non soffrono a stare in mezzo ai loro classici. Panic Attack è l'opener del concerto e funziona, la melodia di Crown Of Horns sembra già un classico e ha solo poche settimane di vita. Ma in definitiva quanti fottuti "classici" possono vantare i Judas Priest? Stasera hanno tirato fuori una Saints In Hell da Stained Class (1978). E quanti sono rimasti fuori dalla setlist stasera? Io ad esempio avrei voluto Night Crawler.


3 -  Richie Faulkner e Andy Sneap sono una bellezza da vedere insieme tanto che KK Downing è ormai storia e passato. L' uno-due Victims Of Changes/ The Green Manalishi da manuale.



4 - Scott Travis e Ian Hill sono invece una macchina da guerra là dietro. Il bassista, 72 anni, è inchiodato al pavimento ma non butta via un colpo, l'attacco di batteria di Painkiller nella mia testa è sempre la versione metal anni novanta di Rock’n’Roll di John Bonham. 


5 - Rob Halford a 72 anni ha ancora una voce della madonna e una presenza scenica carismatica. Sui toni bassi è molto interessante e tra poco uscirà il suo progetto blues. Quando si invecchia si arriva lì.

Cambia giacche come una modella sulla passerella e gioca e fa giocare con la voce come faceva l'amico Freddie Mercury. L'entrata in scena con moto e frustino su Hell Bent For Leather è tanto pacchiana quanto fotografia insostituibile da tramandare ai posteri tra le migliori trovate rock'n'roll di sempre sopra le assi di un palco, giocandosela con i Blue Oyster Cult, la ghigliottina di Alice Cooper e tante altre. Se non ci sono ti mancano. Cose che via via andranno a scomparire. Lo sapete?

E poi... dopo aver letto la sua autobiografia  Confesso che non è certamente un saggio letterario ma  la schiettezza e l'autoironia di Halford ne fanno una  autobiografia  "vera", esplicita, godibile e diretta come poche, facendotelo amare ancor di più. Quindi: anche se sei un fan del folk britannico, un suonatore di country bluegrass, un jazzista, un alternativo a tutti i costi, credo che la vita di Rob Halford meriti di essere letta e conosciuta comunque. 

"Ero il vocalist di una delle più grandi metal band esistenti, eppure ero troppo spaventato per dire al mondo di essere gay. La notte me ne stavo a letto sveglio, turbato, a domandarmi:" cosa succederebbe se facessi coming out? ". L'ha fatto e ne è uscito più forte di prima.



6 - l'amorevole devozione con la quale Halford si prende cura di Glenn Tipton, affetto da Parkinson, abbracciandolo e bisbigliandogli frasi d'incoraggiamento, uscito nel gran finale per eseguire Metal Gods e la sempre spassosa Living After Midnight mi ha stretto il cuore. Tipton non riusciva a lanciare i plettri al pubblico a fine concerto, li ha lasciati uno ad uno a un addetto alla sicurezza che ha fatto da tramite dalla sua mano a quelle dei fan.


"In this world we're livin' in we have our share of sorrow, answer now is: don't give in, aim for a new tomorrow"



martedì 2 aprile 2024

TYGERS OF PAN TANG live@Legend Club, Milano, 30 Marzo 2024



Diciamolo: alcuni grandi gruppi della NWOBHM a distanza di più di quarant'anni dalla loro apparizione sono ancora in splendida forma, pur con l'età che avanza, con le immancabili defezioni che la vita porta in conto e con l'inevitabile innesto di nuovi componenti a portare forze nuove. Qualcuno che storce il naso, comunque, c'è sempre: Jacopo Meille prima del concerto mi ha raccontato di quanti non riescano ancora ad accettare che i Tygers Of Pan Tang girino il mondo con questo nome perché è rimasto un solo componente originale."Quanti gruppi possono vantare tutti gli originali in formazione? Forse solo gli U2". 

L'esempio degli ultimi album di Judas Priest e Saxon freschi di pubblicazione le  cantano chiaro alle nuove generazioni, il DNA non mente (il prossimo weekend insieme live a Milano per chi ci sarà), i Tygers Of Pan Tang guidati dal veterano chitarrista Robb Weir, uno che ci crede ancora, si accodano  e confermano il tutto su disco con lo strepitoso Bloodlines uscito l'anno scorso (sapete quei dischi perfetti dove forza e melodia sono incastrate in modo  spettacolare e le canzoni ci sono e funzionano? Eccolo!) e live dove passato e presente si rincorrono senza prevalere l'uno sull'altro.  Jacopo Meille con la sua presenza bluesy, "toscana" e "Plantiana" è in formazione da vent'anni, il terremotante batterista Craig Ellis pure (più Tygers Of Pan Tang di così), i più recenti innesti di Francesco Marras che ha portato il suo funambolico e fresco chitarrismo donando pure un altro pezzetto d'italia alla band britannica (siamo a 2/5) e del basso di Huw Holding, sinonimo di mestiere e solidità d'altri tempi, hanno donato ulteriore vivacità a canzoni entrate di diritto nella storia del metal britannico.

Album come Wild Cat (Euthanasia, Slave To Freedom, Suzie Smiled), Crazy Nights (Do It Good, Love Don't Stay, Running Out Of Time), Spellbound (Gangland, Hellbound) non fanno ombra alle canzoni degli ultimi vent'anni (Destiny, Keeping Me Alive) e dell'ultimo uscito Bloodlines (A New Heartbeat, Fire On The Horizon, Back For Good, Edge Of The World) così come i ricordi del passato non sembrano mettere in ombra una formazione vitale e scalpitante che ha ancora qualcosa da dire. Non c'è traccia di tempi passati, revival e nostalgia ma solo di presente e futuro. Buona cosa per una band nata nel 1978.

Di imminente uscita un nuovo live album ma il consiglio è di passare a vederli per togliersi ogni dubbio.


sabato 9 marzo 2024

DIRTY HONEY live@Alcatraz, Milano, 8 Marzo 2024

 


"Quanti anni avete?": "venticinque". Così due ragazzini a fine concerto tentano l'approccio con due belle fanciulle a cui pure il chitarrista John Notto dei Dirty Honey ha lanciato occhiolini durante tutto il concerto. Ma a colpirmi sono le parole seguenti di uno dei due ragazzini: "bello e strano che così giovani seguiate una band che sul palco suona ancora con gli strumenti!". Era sorpreso lui, pensate io. Non conosco le dinamiche che portano i giovani verso questo tipo di musica al giorno d'oggi (ai miei tempi erano certamente le riviste e lo scambio di cassette) ma l'Alcatraz stasera è pieno (per metà ma va bene così) di ragazzini mischiati a vecchi rocker che ancora hanno voglia di muovere il culo e sudare. A proposito: ecco il motivo (oltre ai prezzi) per cui il concerto dei Black Crowes a teatro non si può vedere e sentire. Puoi mica tornare a casa fresco come una rosa da un concerto rock’n’roll? I californiani Dirty Honey con il secondo disco Can't Find The Brakes hanno alzato l'asticella del sudore e  del groove (la ritmica di Justin Smolian al basso  e del nuovo batterista Jaidon Bean sconfina spesso in quel funky alla Aerosmith anni settanta): poche band oggi suonano rock'n'roll (con striature hard e blues) in modo così fresco ed accattivante, senza soste, guardando certo al passato - entrano sulle note introduttive di Rock’n’Roll Damnation degli Ac Dc, propongono una accattivante e stonesiana Honky Tonk Women in versione Nashville bluegrass - ma con tutto il futuro davanti. Questa l'arma che si giocano.




Il nuovo disco ha giustamente monopolizzato la scaletta rispetto al concerto della scorsa estate a Torino e devo dire che canzoni come Dirty Mind, Don't Put Out The Fire, Roam, Won't Take Me Alive e la ballata acustica Coming Home, durante la quale il cantante Marc LaBelle ha ricordato i suoi trascorsi a Firenze, si sono inserite alla perfezione con le vecchie California Dreamin, Heartbreaker (dedicata a tutte le donne in sala: già era pure l'otto Marzo), Scars e Another Last Time. Proprio durante quest'ultima LaBelle che si è confermato cantante dalla presenza scenica innata e travolgente, un mix tra Steven Tyler e Chris Robinson ma con una personalità unica, si materializza nel lato opposto al palco, in mezzo alla folla e sopra al bancone del bar. Tutti girati mentre la band sul palco suona una delle loro canzoni più easy in grado di arrivare a tutti.

Ma i Dirty Honey non usano colpi di magia che non siano terreni: nessuna scenografia a distogliere lo sguardo ma solo una Les Paul che John Notto imbraccia riportando al vecchio splendore Jimmy Page, Eddie Van Halen, Slash, Joe Perry e Gary Moore contemporaneamente. Come dite? Tutta gente di una certa o passata a miglior vita? Ecco il segreto dei Dirty Honey: il futuro è loro, di tutti i ragazzi presenti all'Alcatraz in un venerdì piovoso di Marzo e di quei vecchi rocker che aborrono la frase "il rock è morto" scritta sui social comodamente da una poltrona di casa da altri anziani come loro. Noi, io.





domenica 4 febbraio 2024

ANANDA MIDA live@Blah Blah, Torino, 3 Febbraio 2024


 

È sempre un piacere vedere i veneti Ananda Mida, collettivo messo in piedi dal co fondatore della GoDownRecords Max Ear che stasera siede dietro la batteria indossando una t shirt degli Mc5 in omaggio a Wayne Kramer scomparso in questi giorni. E si potrebbe partire proprio dalla rivoluzionaria band di Detroit per cercare di spiegare cosa suonino gli Ananda Mida: nei momenti più tirati e rock’n’roll si avverte quell'urgenza garage proto punk che ha fatto scuola. Ma non sono nulla di tutto questo o meglio sono anche questo. I veneti sanno giocare in molti campi spostandosi con disinvoltura dell'hard rock seventies allo stoner, dal blues desertico allungando spesso e volentieri dentro la psichedelia. Rallentamenti e ripartenze che donano dinamicità alle loro canzoni che spesso si trasformano in lunghe jam strumentali. La capacità di mutazione uno dei loro punti di forza. Proprio come succede  nei loro dischi: sul finire del 2023 è uscito Reconciler, il terzo e ultimo capitolo di una trilogia certamente ambiziosa ma perfettamente riuscita. Un plauso al giovane chitarrista Pietro, classe 1999, che ha sostituito Alessandro Tedesco  ma che sembra inserito alla perfezione tra i veterani Davide Bressan (basso) e Pablo Scolaro (chitarra).

E poi c'è il "tedesco" Conny Ochs, voce hard rock alla vecchia maniera nei momenti heavy e da crooner folk (nella sua carriera anche una collaborazione acustica con il mitico Wino) nei momenti meno tirati, uniti a una presenza scenica di alto livello. Se vi capita a tiro una loro data tra live in Italia e all'estero non fateveli sfuggire.




domenica 14 gennaio 2024

WINO live@Circolo Kontiki, Torino, 13 Gennaio 2024



Ci sono presunti eroi che si atteggiano a rockstar e poi c'è Scott WINO Weinrich, un vero eroe in musica e nella vita, che per la seconda volta nel giro di pochi mesi atterra a Torino città. A Giugno arrivò con la sua creatura Obsessed (un nuovo disco è in uscita in questo 2024), questa sera è qui per presentare il film documentario sulla sua folle vita da outsider, loser, gigante, faro, ispirazione, tutto può andar bene ma forse non basta per spiegare uno degli ultimi eroi di una scena musicale. Un monumento del doom, biker e girovago del Maryland, che attraverso Obsessed, Saint Vitus, Spirit Caravan, The Hidden Hand, Shrinebuilder, Probot ha attraversato gli ultimi quarant'anni di palchi, asfalto e qualunque altro ostacolo abbia trovato sul cammino, vite riacciuffate incluse.

A raccontarsi attraverso filmati live d'epoca,  backstage, viaggi on the road, lui stesso, e una pletora di amici e artisti: dagli illustri Henry Rollins (Black Flag) e Ian MacKaye (Fugazi)  al folle Bobby Liebling (Pentagram), da un fan sfegatato come Dave Grohl (Nirvana, Foo Fighters) a Pepper Keenan (C.O.C.) fino a sua madre novantenne.

A fine proiezione un set di quasi un'ora di folk blues acustico, intimo, autobiografico e nero con alcune sue canzoni tratte dal repertorio solista (il suo album Forever Gone del 2020, una pure nuova) più Isolation dei Joy Division e Iron Horse dei Motorhead del suo mentore Lemmy.

Naturalmente alla fine non si è sottratto a firma copie (al banchetto i due dischi degli Spirit Caravan recentemente ristampati) e foto di rito. Certo, fa specie vedere un personaggio come Wino in un piccolo Arci imboscato tra le vie della Vanchiglietta di Torino come fosse l'ultimo degli artisti di quartiere. Ma anche questo è rock’n’roll, pardon: Doom. E a noi piace.





domenica 12 novembre 2023

KARMA live@Spazio 211, Torino, 11 Novembre 2023


Le rimpatriate in stile "compagni di scuola" dopo trent'anni di lontananza spesso si consumano in delusione. Ma ti ricordi come era bella quella lì? Ma cosa le  è successo? E quello? Irriconoscibile senza capelli. Queste le conclusioni più scontate. La musica invece, a volte, fa miracoli e possono succedere cose straordinarie tipo: che i Karma tornino dopo 27 anni di assenza con un disco monstre come K3 e un nuovo tour che ne conferma tutta la bontà.  L'hanno suonato integralmente creando un lungo ponte che dagli anni novanta li ha catapultati nei nostri giorni. Poi nel futuro. E il tempo sembra essersi fermato veramente ma con la maturità acquisita in tutti questi anni: Andrea Viti dall'alto della sua calma Zen è lo stesso motore ritmico di sempre, David Moretti canta e dirige (da art director) con strordinaria presenza scenica e pienezza, Ralph Salati (Destrage) è il chitarrista che in un mese ha imparato le canzoni di tre dischi ed è partito in tour in sostituzione dell'assente Andrea Bacchini, Pacho e Diego Besozzi là dietro creano un muro percussivo che ha pochi eguali, un fiore all'occhiello concesso a pochi.


La seconda tappa del tour, dopo l'esordio sold out in casa della sera prima, al Bloom di Mezzago, con tanto di ospite (Manuel Agnelli), li vede sul piccolo palco dello Spazio 211, locale  che ha vissuto momenti terribili pochi mesi fa ma che oggi è ancora qui, aperto e resistente per ospitarci. La sua chiusura sarebbe stata un fallimento della società tutta e la musica non lo avrebbe certamente meritato.

Se K3 è un disco monolitico e intenso da prendere in blocco seppur ricco di sfumature, contempraneo e per nulla nostalgico, un'ascesa, le sue canzoni ('Neri Relitti', 'Abbandonati A Me', 'Atlante', 'Il Monte Analogo' e 'Eterna' le mie preferite)  vanno a incastrarsi in modo perfetto con il passato, o meglio è K3 che sembra accoglierie e lasciare spazio al resto.

Alle due cover, 'Quello Che Non C'è' degli Afterhours (sbirciando la scaletta prima del concerto qualcuno aveva ipotizzato la presenza di Agnelli anche stasera ma "non possiamo portarcerlo sempre dietro" ha ironizzato Moretti) canzone che Viti contribuì a scrivere durante la sua permanenza nel gruppo di Agnelli, e 'Teardrop' dei Massive Attack, scritta e dedicata a Jeff Buckley, fino alle canzoni dei due storici album degli anni novanta: 'Cosa Resta', 'Terzo Millennio', 'La Terra', 'Jaisalmer' e l'immancabile 'Il Cielo' che fa da sipario e grido di liberazione. Un grido di nuova accoglienza e speranza per il futuro.

I Karma sono tornati. Guardando avanti non c'è più troppo spazio per un'altra lunga assenza, quindi per "restare" è l'imperativo che facciamo nostro. Il pubblico caloroso di questa sera il messaggio l'ha mandato chiaro e preciso. Bentornati. 


RECENSIONE: KARMA - K3 (2023)


domenica 9 luglio 2023

DIRTY HONEY live@Spazio 211 Open Air, Torino, 8 Luglio 2023

Gli attestati di stima che da Los Angeles hanno attraversato l'oceano in pochi mesi con lunghe e ampie falcate, i piccoli record (il primo gruppo senza un contratto discografico a raggiungere la prima posizione nella classifica rock di Billboard con una canzone), l'ascesa irrefrenabile che dai piccoli palchi li hanno portati ad aprire per colossi come The Who, Kiss, Black Crowes e Guns 'N Roses, sono tutti indizi che mi hanno condotto qui questa sera per verificare con i miei occhi ciò che altri  hanno ben raccontato, l'alternativa sarebbe stata Edoardo Bennato poco distante da qui (mi perdonerà Bennato a cui voglio tanto bene): i Dirty Honey sono una delle migliori realtà di hard street rock'n'roll degli ultimi anni, eredi di quella musica tanto sporca quanto melodica che partendo dal blues ha aggiunto kw di chitarre elettriche, attitudine stradaiola e voglia di divertirsi. Perché sì, dopo tutto ci vuole ancora la voglia di divertirsi.

A fare gli onori di casa i torinesi Dobermann con il loro glam metal d'assalto guidati dal veterano Paul Del Bello, voce e basso e dalla chitarra e presenza scenica di Valerio “Ritchie” Mohicano. Alla batteria siede Antonio Burzotta. Set corto il loro ma abbastanza per scaldare e "sparare" il loro hard metal intransigente su un pubblico chiassoso ma che per la verità mi aspettavo ben più numeroso.


La carriera dei Dirty Honey è lunga solamente 54 minuti, tanto è la durata complessiva dell'ep d'esordio e del seguente album del 2021 a cui si aggiungono i tre minuti e quarantasei secondi del nuovo singolo dal contagioso groove 'Won't Take Me Alive' uscito proprio in questi giorni e che anticipa un nuovo album che arriverà. Naturalmente il pezzo è già stato testato sul palco. E funziona.

Sì ok. Ma allora? I Dirty Honey meritano tutta,questa esposizione? Basterebbero la prova del cantante e del chitarrista per rispondere di sì. Marc LabelleJohn Notto sembrano impersonare ancora così bene quelle coppie indissolubili che hanno segnato la storia del rock'n'roll: nel loro DNA ci sono Robert Plant e Jimmy Page, Steven Tyler e Joe Perry, Axl Rose e Slash, David Lee Roth e Eddie Van Halen, Paul Rodgers e Paul Kossoff, i fratelli Robinson dei Black Crowes. Labelle sa come intrattenere il pubblico, spesso cerca il contatto, gioca con l'asta del microfono, ha movenze che mi ricordano Chris Robinson che mi ricorda Rod Stewart e la sua voce ha la giusta sfumatura soul blues per graffiare le anime, Notto è un chitarrista straordinario, solido nei suoi riff e tanto straripante quanto contenuto nei suoi assoli, guardandolo ho rivisto un mix tra Eddie Van Halen e Gary Moore.



Ma sarebbe un grande torto per la visione d' insieme della band non citare lo straordinario lavoro del bassista Justin Smolian e del  batterista Corey Coverstone forse l'uomo più in ombra stasera ma solo per esigenze di palco.

I Dirty Honey sono una grande band che rivisitando la storia dell'hard rock’n’roll sta cercando di mettere la propria impronta con canzoni mai troppo lunghe ma che sanno lasciare il segno: California Dreamin, Gypsy, Heartbreaker, When I'M Gone, Rolling 7s, Scars, Tied Up, The Wire, Another Last Time, l'unica concessione al lento, sembrano già dei piccoli  classici. A cui aggiungono una Let's Go Crazy di Prince. Hard blues, qualche bella tirata funky rock e alcune concessioni southern sono il loro biglietto da visita. I primi Aereosmith il punto di riferimento principale.

Attitudine giusta e movenze sul palco forse già viste ai tempi d'oro della musica ma necessarie per dare quel ricambio generazionale a band storiche che certe cose non riescono più a farle per raggiunti limiti d'età. Sì insomma, negli anni novanta band così erano numerose, forse troppe, oggi teniamociele strette.  Hanno tanta strada davanti e canzoni da scrivere ma sono certo che ne sentiremo parlare ancora e bene perché non hanno trucchi: una chitarra, una voce, un basso e una batteria resteranno per sempre e dovrebbero convincere chi va ancora in giro a dire che il rock è morto. Ho visto tanti giovanissimi stasera davanti alle transenne. Qualcosa vorrà pur dire...




sabato 13 maggio 2023

LUCIO CORSI live@Hiroshima Mon Amour, Torino, 12 Maggio 2023


 

Sembra quasi che lo strabordante talento di Lucio Corsi fatichi a rimanere dentro al suo esile corpo. E infatti evade, sprizza, dilaga e permea tutto ciò che trova sulla propria strada,  volando alto su settant'anni di rock&roll e poco importa chi ci sia tra il suo pubblico plurigenerazionale, composto da ragazzine adoranti in prima fila, famiglie con bambini al seguito, cinquantenni come me e personaggi ben più vecchi di me.

E io fatico a ricordare un artista musicalmente così completo in Italia, in grado di unire con freschezza il glam rock inglese di David Bowie, Sweet, Slade e l'amato Marc Bolan (stasera in scaletta '20th Century Boy'  e 'Children Of Revolution' dei T.Rex), il folk americano ridotto ad armonica e chitarra (caspita se c'è pure tanta Rolling Thunder Revue di Dylan in quella faccia pittata di bianco e nel chaos che combina nel palco), il cantautorato  sofisticato del suo amato Randy Newman di cui propone le versioni italiane pianoforte e voce  di 'You've Got A Friend In Me' (via Riccardo Cocciante) e 'Short People', e il classico cantautorato italiano "i miei cantautori preferiti sono Lucio Dalla, Paolo Conte, Ivan Graziani ecco però stasera faccio Lucio Battisti" e parte con una versione di 'Ho un Anno in Più' piena di chitarre e lustrini.


Lucio Corsi è musicalmente colto, preparato, curioso, sparge indizi in ogni piega del suo spettacolo di due ore e dieci minuti: ecco partirgli 'Il Chitarrista' di Ivan Graziani mentre accorda la chitarra, 'Maremma Amara' (canto popolare spesso ripreso anche da Gianna Nannini) dedicata alle sue terre, ad un certo punto parlando tira fuori pure i Grateful Dead...

Con la sua band suona dai tempi del liceo, sono affiatatissimi, tutti giovani e belli e sembrano appena usciti da una serata al Marquee Club di Londra, annata 1973 però.

Lucio non si risparmia, si muove, suda, si ferma, riparte, chiacchera e cerca la fuga da questo mondo con i suoi testi poetici, naif, sognanti, surreali e ironici ma con i piedi sempre sulla strada davanti, alternando in continuazione le sue due personalità musicali, quella da rocker (tre chitarre sul palco e si sentono) e quella da folker intimo e  solitario. Tutto con naturalezza innata.

Ma lo fa con profonda umiltà e devozione, consapevole della tanta strada che ancora lo attende, e per questo si porta anche avanti presentando due canzoni che finiranno nel suo prossimo disco ('Francis Delacroix'), "che uscirà tra quattro, cinque...sei anni" dice. "Facciamo due" grida qualcuno. Ok.

Naturalmente i suoi dischi precedenti sono saccheggiati a dovere, da Bestiario Musicale ('La Lepre',  'Il Lupo' "devo leggere il testo perché non ricordo mai le parole"), Cosa Faremo Da Grandi ('Trieste', la finale 'Freccia Bianca', 'La Ragazza Trasparente') e quelli del freschissimo La Gente Che Sogna sembrano già diventati dei piccoli classici da cantare ('Radio Mayday', 'Astronave Giradisco', 'Magia Nera', 'Glam Party',  'Un Altro Mondo', 'La Bocca Della Verità' presente due volte in apertura e nel finale). 




Musicista, scrittore, intrattenitore e performer d'altri tempi atterrato non si sa bene e come qua in Italia tra la Maremma e Milano. In giorni in cui non si fa altro che parlare della longevità artistica di Bruce Springsteen, ieri sera guardando Lucio Corsi mi sono venute spesso in mente le parole scritte da Jon Landau nel 1974 dopo aver visto Springsteen in concerto. Ho immaginato che tutti i presenti questa sera davanti a Lucio Corsi (finalmente qualcuno che usa nome e cognome e non un nome d'arte ad minchiam) sarebbero liberi di pronunciare " ho visto il futuro del rock’n’roll... " e nessuno potrebbe obiettare loro nulla. Di strada davanti ne ha tanta, di talento molto di più.





domenica 23 aprile 2023

OVERKILL - EXHORDER - HEATHEN live@Phenomenon, Fontaneto (NO), 22 Aprile 2023

 


Perché un locale come il Phenomenon di Fontaneto d'Agogna sia usato con il contagocce rimane un mistero tutto italiano visto che è a tutti gli effetti una delle miglior location del nord Italia. Ieri sera ci sono passati gli Overkill che si sono trascinati dietro vecchi compagni di antiche battaglie come Heathen e Exhorder (più i giovani croati Keops) per quello che è diventato a tutti gli effetti un mini festival di thrash metal americano vecchia scuola. 

I californiani HEATHEN si stanno godendo una seconda giovinezza da quando agli albori degli anni duemila si sono riformati. La chitarra di Kragen Lum e la voce di David White-Godfrey sono sempre una garanzia che viaggia tra il presente (due gli album post reunion) e quel passato segnato da due dischi epocali per lo speed thrash come Breaking The Silence del 1987 da cui estraggono la cover degli Sweet 'Set Me Free' e Victims Of Deception ('Opiate Of The Masses', 'Hypnotized'). Una mezz'ora maiuscola e di tutto rispetto che dimostra quanto la vecchia guardia abbia ancora tanto da dare e insegnare.





Pure per gli EXHORDER che vengono spesso ricordati per essere stati gli ispiratori di quel suono che fece la fortuna dei Pantera, si può parlare di una seconda rinascita dopo la reunion anche se la recente separazione dal chitarrista e fondatore Vinnie LaBella è pesante da mandare giù. È tutto in mano a un Kyle Thomas in forma strepitosa (sempre una gran voce!) che guida la band attraverso quel suono affilato (il loto esordio Slaughter In The Vatican del 1990 viene saccheggiato) che sa però assorbire tutti gli umori rallentati e southern della loro New Orleans. A sorpresa esce fuori una cover dei Grip.Inc visto che alla chitarra "siede" Waldemar Sorychta che ne ha fatto parte e a cui va un plauso per aver suonato con un piede ingessato.




Sulle note di 'Scorched' che apre il nuovo disco uscito da una sola settimana, gli OVERKILL rimangono una delle band più intransigenti e cazzute uscite dal metal USA anni ottanta. Una di quelle che non ha mai mollato la presa. Sono entrati nel quinto decennio della loro vita con uno dei migliori dischi degli ultimi anni che viene giustamente presentato con orgoglio ('Wicked Place', 'Surgeon'). Bobby Blitz Ellsworth che piaccia o meno la sua voce rimane uno dei cantanti più carismatici della sua generazione, unico e originale, e sul palco va e viene, esce e rientra come un pipistrello nella notte. In piedi o piegato con l'asta del microfono perennemente incollata alla mano ha dimostrato di non avere perso nulla della sua "graffiante" voce. Alla sua sinistra il sempre fedele D.D. Verni, fondatore del gruppo e vero motore della band, un bassista con i controcoglioni che ha sempre dato il suo marchio alle canzoni. I due chitarristi  Dave Linsk e Derek Tailer sono ormai i più longevi tra i tanti passati nella band e l'ultimo entrato, il batterista Jason Bittner sembra perfettamente amalgamato. 


Gli Overkill sotto le inconfondibili luci verdi mantengono vive le tre anime della band,  quella più propriamente thrash ('Coma', 'Elimination'), quella votata al groove, doomy ('Long Time Dying', 'Horrorscope') e quella punk, degli esordi, nata dal basso, dall'underground newyorchese dei primi anni ottanta ('Rotten To The Core', Overkill') e a distanza di tanti anni quel 'Fuck You!' (rubata ai Subhumans ma ormai quasi loro) piazzato in chiusura rimane il loro grido distintivo e di battaglia. Tanto semplice quanto liberatorio.

Quando esco per riprendere la macchina e accendo l'autoradio mi accorgo di non essere nel 1990 perché non trovo la cassetta di The Years Of Decay ma solo una chiavetta USB. È stato bello pensarlo per quasi quattro ore. 




mercoledì 19 aprile 2023

EELS live@Alcatraz, Milano, 18 Aprile 2023


Quando l'album più saccheggiato è uno degli ultimi (Earth To Dora del 2020 ) sembra chiaro che Mr. E dopo 30 anni di carriera creda ancora alla sua ispirazione che nonostante non abbia più le prime pagine di un tempo è ancora ad alti livelli. I dischi sono lì a testimoniarlo anche se non trattati più come un tempo. O più semplicemente vuole riprendere il discorso da lì, dove si era interrotto prima del lockdown,  il nome dato al tour è chiaro.

È un Mr.E gigione e ciarlone, a piedi nudi ma elegantemente vestito quello di questa sera:  l'ultima volta che lo vidi era nascosto dentro a una tuta bianca da meccanico e una bandana calata in testa, era il 2010 e l'Alcatraz era esattamente quello di stasera, diviso a metà. Regaliamo un Alcatraz pieno agli Eels la prossima volta! 


Una macchina da rock'n'roll  irrefrenabile, pura e grezza ( il vecchio sodale The Chet in cattedra con la sua chitarra) che sale sul palco sulle note di Also Sprach Zarathustra e accanto alle sue canzoni, un concentrato di emotività da montagne russe esistenziali dove pop, blues, garage, psichedelia e rock'n'roll si tengono per mano (immancabile Novocaine For The Soul, grezza Dog Faced Boy che piacerebbe a Billy Gibbons), sparge schegge di storia raccolte nel tempo: dagli Small Faces, ai NRBQ, i Kinks (My Beloved Monster cantata su You Really Got Me) , Nancy Sinastra e conclude in gloria con gli Argent di God Gave Rock And Roll To You dopo due ore di una serata magnifica che vorresti prolungare ancora almeno fino a mezzanotte. Il vecchio lupo ha il pelo bianco ma sa ancora ululare, raccontare  storie e riversarci addosso i propri irrequieti stati d'animo seppure mitigati dal tempo. 



domenica 12 marzo 2023

THE DAMNED + SMALLTOWN TIGERS live@Alcatraz, Milano, 11 Marzo 2023



Era stato presentato come il tour del Black Album del 1980 che doveva essere omaggiato (solo due i pezzi suonati: Waiting For The Blackout e Lively Arts), è stato invece il concerto di presentazione del nuovo disco Darkadelic in uscita in Aprile ma con solo un paio di pezzi già fuori e conosciuti tra cui il singolo The Invisible Man.

Chi ha presenziato con queste aspettative sarà forse rimasto deluso. Per tutti gli altri non c'è stata delusione alcuna credo, i Damned sono sempre una garanzia anche quando suonano una decina di canzoni che arrivano per la prima volta alla orecchie dei fan. Che sia sempre stato un gruppo camaleontico, disimpegnato e autoironico lo si sapeva e lo capisce anche da come si presentano ancora oggi sul palco. 


Captain Sensible con la consueta maglia a righe rossonere e baschetto rosso, smorfie e sorrisi lasciano pochi dubbi su quanto si diverta ancora con una chitarra tra le mani. Dave Vanian in perfetto completo nero da vampiro dark wave, cappello da gangster e una voce che a parte i primi momenti viene fuori ancora come un tempo quando fece scuola a molti. Paul Gray, t-shirt degli MC 5 per lui, non la tocca piano con il suo basso tanto da farsi sanguinare un dito a metà concerto, Monty Oxymoron è incatalogabile dietro le tastiere, con il suo pigiama di teschi, mosse tarantolate e capelli arruffati da scienziato pazzo (si prende la scena a centro palco per pochi secondi nel finale) , mentre il giovane e compassato batterista  Will Glanville-Taylor sembra  appena uscito dall'ufficio per sfogare la sua rabbia quotidiana nel pub di turno che questa sera è il palco di un Alcatraz diviso a metà ma comunque pieno. Incredibile in cambio generazionale che avverrà a fine concerto quando prenderà inizio il sabato sera danzereccio dei teenager.


Per il resto è un concentrato di vecchi punkster con figli al seguito (ho visto i papà pogare e i figli godersi il concerto davanti alle transenne) che non aspettavano altro che l'esecuzione di pezzi come Neat Neat Neat, Smash It Up, Love Song e quella New Rose che all'epoca passò alla storia come primo vero singolo punk e oggi è giustamente l'ultima e la più attesa in scaletta. Anche se poi non sarà proprio l'ultima: ecco una inaspettata, anche per il batterista, White Rabbit. Onesti, divertenti, stoici e storici. Per presentare così un disco che ancora deve vedere la luce vuol dire credere ancora in quel che si fa. Il passato, pesante, è stato omaggiato ma il presente sembra più importante. Una buona filosofia di vita per una band con quasi cinquant'anni di storia.






Sarà perché le all female band sono sempre cosa rara da vedere sopra i palchi che contano ma le romagnole SMALLTOWN TIGERS sono state una bella scoperta. Un po' per tutti credo. Stanno aprendo tutte le date del tour europeo dei Damned (Captain Sensible seduto a bordo palco le segue attentamente e tiene il tempo con testa, mani e piedi) e oggi senza timori reverenziali suonano finalmente in casa. Appena la cantante e bassista Valli ha aperto bocca presentando la band (Monty alla chitarra, Castel alla batteria) ho sentito uno dietro di me pronunciare con stupore "ah ma sono italiane!'. Ebbene sì.


Da Suzie Quatro alle Runaways di Joan Jett fino ad arrivare agli anni novanta di L7, Hole e Donnas, il trio è un concentrato di punk rock'n'roll senza fronzoli e pronto a partire ad ogni attacco di bacchette della batterista.

Si parte dai Ramones, dal surf rock'n'roll, dal garage, arrivando fino a toccare il grunge con spensieratezza, disinvoltura e sorrisi sempre stampati in faccia che non guasta mai. Ci fanno conoscere il loro debutto Five Things e concludono con una R.A.M.O.N.E.S. dei Motorhead che racchiude bene la loro proposta musicale senza fronzoli e in your face. Applausi per loro e si alza pure un meritatissimo "belle e brave!" alla loro uscita che condivido con piacere.