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domenica 30 marzo 2025

WARRIOR SOUL live@RocknRoll Club, Rho, 29 Marzo 2025


Kory Clarke è in una forma invidiabile. E questa è già una grandissima notizia. La seconda notizia: sarebbe bello trovare la sua età. Provateci voi se ci riuscite. 

Kory Clarke ha sempre fatto quello che cuore e mente gli hanno dettato. Nel bene e nel male. A un passo dal diventare uno dei più credibili guru del rock alternativo degli anni novanta quando la sua creatura Warrior Soul, germogliata a Detroit e sbocciata a New York, iniziò a buttare fuori dischi che mischiavano l'urgenza del post punk con il metal, la New Wave e la psichedelia condendo il tutto con testi al vetriolo da ultimo dei reietti con la missione ben precisa di mettere in guardia il mondo da un'imminente apocalisse e riportare il rock al centro dell'attenzione, portarlo nuovamente ad essere un animale selvatico, anarchico, strisciante, pericoloso, contro il sistema, veicolo di messaggi. Forti. Diretti. Disturbanti.

Ci andò vicino ma i suoi messaggi erano però "troppo divisivi" per un mercato che cercava nuovi idoli universali e per le masse.

"In America ho sempre trovato difficoltà. Ho sempre pensato che fosse a causa delle mie critiche alla situazione sociale americana e al coraggio di dire davvero quello che provo al riguardo" disse.


Troppo colto e intelligente nella musica è sinonimo di troppo pericoloso. Questo è stato il maggior pregio ma anche il motivo per cui il nome della band non è arrivato sulla bocca di tutti ma si è fermato un passo prima, nonostante un buon contratto con la Geffen. Cory Clarke era carismatico, dannato il giusto, sciamanico ma faceva paura, non era accomodante in nulla, andava avanti per la sua strada senza compiacere niente e nessuno e il trittico di dischi Last Decade Dead Century (1990), Drugs, God And The New Republic (1991) e Salutation From The Ghetto Nation (1992) rimarranno lì a dimostrarlo. Tra le migliori uscite di quei primi anni novanta, un attimo prima dell'esplosione grunge. Chill Pill (1993) e The Space Age Playboys (1994) subito dopo non erano da meno ma stava cambiando qualcosa.

Poi il tempo passò, i compagni di band pure (alcuni come il batterista Mark Evans e il bassista recentemente scomparso Pete McClanahan non ci sono più) la trasformazione nei meno impegnati e più stradaioli Space Age Playboys sembrò naturale, senza forzature, così come il ritorno al marchio Warrior Soul nel 2007. Da allora non ha più smesso (l'ultimo disco Out On Bail è del 2022) e le cose intorno a lui sembrano siano andate esattamente come immaginava: di merda.

La data di Rho sembra sia stata aggiunta in corsa alle date italiane del tour europeo (io l'ho saputo un giorno prima!) ma il Rock'n'roll Club, piccolo, stipato e sudato ha risposto alla grande: perennemente in piedi dal trespolo di una cassa, in contatto costante con il suo pubblico, Kory accompagnato da Dennis Post e il "nostrano" GG Rock alle chitarre, Ivan Tambac alla batteria e Christian Kimmett al basso ci ha raccontato quanto il mondo stia andando a puttane. Nuovamente. Oppure è già andato e lui ci aveva avvertito in tempo. Da Intro e Interzone (dei Joy Division) che hanno aperto le danze è stato un susseguirsi di inni da cantare, scalciare e sputare: Love Destruction, Punk And Belligerent, la cinica Jump For Joy, Ass Kickin, The Party, Downtown, Junky Stripper, Fuck The Pigs, Rocket Engines, The Losers, Back On The Lash, Blown fino alla finale Wasteland, inno per tutti i perseguitati da politici e censura. Un'ora e 35 minuti senza una minima pausa. Duri, reali, senza trucchi, senza inganni. In your face. Kory aizza, salta, cade si rialza, si contorce, si accasscia, si sdraia, si rabbocca il calice di vino rosso, da vero trascinatore ci porta nella sua Detroit, in mezzo a droghe, malaffari, e corruzione. Ad una 'America marchiata da abusi di poteri, ingiustizie e violenza. Non si ferma mai. 



Un grande frontman, di quelli che non ne fanno più. Carico e pesante di esperienze e tanta vita on the road.

E durante 'Fuck The Pigs' alto si leva il coro: 'Fuck Elon Musk'. I bersagli cambiano, il dito medio è sempre lo stesso e puntato nella direzione giusta.

E quella apocalisse profetizzata, in questi anni difficili sembra essersi quasi materializzata. Forse aveva ragione lui. Forse vale ancora la pena farsi sentire. I Warrior Soul ci provano ancora, dal basso, dai piccoli locali anche se meriterebbero ben altre piazze. Concerto spiazzante per cotanta cruda bellezza!







mercoledì 26 marzo 2025

RYAN ADAMS live@Teatro Dal Verme, Milano, 24 Marzo 2025


Cos'è stato questo concerto se non la rappresentanza live sopra un palco, adgobbato come una sala dei primi 900, senza  maschere se non le tante sue, con i suoi fantasmi e i suoi mostri compresi nel prezzo, dell'intera vita artistica, e personale, di Ryan Adams? Un giro di quasi tre ore a bordo delle montagne russe di un vecchio luna park con tanti picchi, a tratti inarrivabili, irripetibili pure per lui nel tempo, genuini, geniali e artistici e altrettanti punti bassi da sfiorare, a volte, il tonfo. Narcisistico e caratteriale. Artistico.

Ryan Adams è da sempre un artista tormentato, bulimico di musica e con il cuore perennemente a pezzi. Uno di quelli che attacca per primo per difendersi dietro un vetro, spesso troppo sottile per poter reggere i colpi che arrivano da fuori. E a volte sono stati molto pesanti.

E allora: da una parte la bellezza di una voce che attacca con 'To Be Young (Is To Be Sad, Is To Be High)' come un vecchio bluesman del Delta Blues e durante la serata sciorina l'intero disco di debutto (non siamo qui, anche, per questo?), una splendida versione di 'Gimme Something Good' spogliata di elettrico e ricamata alla chitarra acustica spagnoleggiante, una 'Idiot Wind' di Dylan da sola vale quasi la serata, la mia amata 'Ashes & Fire'. 


Dall'altra: il dialogo continuo con il pubblico che diventa a tratti scontro, prolisso e sberleffo, pure noioso (senza microfono, la continua lotta con i flash dei telefonini. Con i telefonini anche senza flash), sicuramente mangiatore di buon tempo altrimenti da dedicare alla musica anche se poi da esso trae spunto per le sue improvvisazioni: dalla coppia che esibisce il cartello del tipo " mio marito passa più tempo con la tua musica che con me" che al pianoforte diventa una dedica per loro 'Dennis And Senia' (quando mai ricapiterà? Quali innamorati non la vorrebbero una dedica in teatro?), alle richieste musicali nel secondo set, con una 'Lucky Now' interpretata dal giovane, emozionato e bravissimo musicista bresciano Simone Bertanza, invitato sopra al palco, mentre Adams fa il contro canto, con fare fraterno, seduto di fianco. Al giro con acustica e senza microfono tra la platea a suonare le radici di Elsie Clark e Hank Williams:  "vorrei suonare qui ogni sera" dice. E tutto diventa sncora più caldo e intimo.

Ecco: alti e bassi, bassi e alti. Questo è stato. Questa è la vita. E sbirciando le scalette (sempre diverse: a Stocvolma nel secondo set ha catapultato dodici civer, da Ray Charles si Black Sabbath) di questo "solo" tour europeo capisci che Ryan Adams non finge e non sta recitando nessun canovaccio e nessun copione. Un concerto fuori catalago. Non è forse la pazzia (pure peggiorata: "è bruciato" il mantra più ripetuto all'uscita) che vogliamo dai nostri artisti preferiti?

Vedere Ryan Adams giocare con la vita mi è sembrata ancora una gran fortuna, tutto sommato.



domenica 9 marzo 2025

THE DEAD DAISIES live@Phenomenon, Fontaneto D'Agogna (NO), 8 Marzo 2025

 


Quando l'australiano David Lowy, mite uomo d'affari e pilota d'aerei con tanto di medaglie d'onore, mise in piedi i Dead Daisies nel 2011 per puro divertimento (non nasce tutto così?), il suo intento ero quello di creare una sorta di famiglia allargata del rock’n’roll, una sorta di nazionale "resto del mondo", in grado di mutare elementi nel tempo senza mai perdere di vista certi valori e alcune dinamiche: chiunque passasse avrebbe dovuto lasciare su disco ma soprattutto sul palco l'impronta del proprio amore per il rock'n'roll e una dose massiccia e sudata di divertimento. Non c'era bisogno di inventarsi nulla, l'importante era continuare a divulgare il verbo, tra tradizione e qualche suono moderno ma non troppo, tra canzoni originali e tanti omaggi rivisitati.

Esattamente quello che è stato riversato stasera per la prima delle due date italiane (l'altra, oggi a Padova) del nuovo tour europeo: perché in qualche modo da un concerto della band è difficile uscire insoddisfatti e senza la certezza che il rock'n'roll sia una delle più grandi invenzioni dell'uomo in grado di unire e far cantare insieme  corpi sconosciuti, alleviare disagi accumulati durante la settimana, far dimenticare per due ore di show tutto quello che succede là fuori. E di questi tempi non è cosa da poco e da sottovalutare.


A proposito: il Phenomenon è una delle migliori sale concerto dell'asse Piemonte/Lombardia, perché venga usata sempre con il contagocce per me rimane un insondabile mistero.

Il nuovo spettacolo è giustamente e principalmente improntato sull'ultimo disco inciso, il solido e scanzonato Light 'Em Up, uscito nel 2024 e prodotto da Marti Frederiksen, ma come sempre non sono mancate alcune sorprese, una di imminente uscita e una carrellata sull'ormai ultra decennale  storia della band ('Long Way To Go', 'Rise Up', 'Mexico', Bustle & Flow', 'Resurrected').

A questo giro, ci sono gli importanti ritorni di John Corabi (ex Scream, Motley Crue, Union) alla voce (io sono uno di quelli che ritiene il disco inciso nel 1994 con i Motley Crue una delle cose migliori fatte dalla band di Los Angeles, la strada da seguire era quella...) dopo due dischi con Glenn Hughes e del "golden boy"  Doug Aldrich (Dio, Whitesnake) alla chitarra solista dopo una delucata operazione che lo ha tenuto lontano dalla musica che uniti allo stesso Lowy (seconda chitarra), al basso di Michael Devin (Whitesnaske) e al potente drumming di Tommy Clufetos (Alice Cooper Band, Ted Nugent, Ozzy Osbourne, Black Sabbath nel suo cv) formano una band dall'alto tasso hard rock blues che non lascia prigionieri. Conferma ne sono le nuove canzoni 'Light Em Up', 'I'M Gonna Ride' (dedicata a tutti i biker in sala) e una 'Love That'll Never Be' acustica cantata e suonata dal solo Corabi a centro palco, uno dei momenti più intensi della serata e uno dei più rari di apparente calma sonora.

Dall'ultimo disco viene pure eseguita 'Take A Long Line', la cover del gruppo australiano The Angels, cantata da Lowy. Già le cover. Se la finale 'Helter Skelter' (Beatles) e 'Holy Moses' (The Sensational Alex Harvey Band) sono ormai consuetudine, le sorprese arrivano da una 'Fortunate Son' dei Creedence Clearwater Revival e da due rivisitazioni di standard blues che troveremo presto in un album di cover (Lookin For Trouble) che uscirà a fine Maggio, registrato tra Nashville e i mitici studi a Muscle Shoals in Alabama. 


Nell'album ci saranno brani di Muddy Waters, Lead Belly, B.B. King, Howlin' Wolf e Rufus Thomas. Stasera ci hanno presentato 'Crossroads' di Robert Johnson e 'Going Down' di Freddy King rivestite di fumante hard rock alla loro maniera. Esperimento riuscito e che lascia ben sperare.

Anche durante la presentazione della band non sono mancate citazioni e rimandi musicali: da 'Highway To Hell' a 'Seven Nation Army' ( e via di "po po po po po pooo" quasi fosse il 2006), da 'Heaven And Hell' a 'Living After Midnight'. Corabi presenta i suoi compagni, scherza sulle sue lontane origini siciliane e ci conferma che i Dead Daisies oltre a essere a loro volta una super band formata da musicisti pazzeschi (la Gibson di Aldrich è puro hard seventies, Clufetos dietro la batteria fa tremare il locale) sono ancora dei grandi fan, devoti e appassionati di rock'n'roll.

Non per nulla la band entra sul palco sulle note di di 'Rock and Roll' dei Led Zeppelin, manifesto mai passato di moda ma che oggi, con il bel documentario in sala dedicato ai four sticks, sembra prepotentemente indicarci una sola strada da seguire per vivere meglio i nostri giorni...

(quante volte ho scritto "rock’n’roll"?)






venerdì 14 febbraio 2025

SOUL ASYLUM live@Alcatraz, Milano, 12 Febbraio 2025

 


Non sapevo proprio cosa aspettarmi dai Soul Asylum targati 2025. Le mie pagine erano rimaste aperte, con un po' di ragnatele intorno, sugli anni novanta, su dischi come Grave Dancers Union (1992) e  Let Your Dim Light Shine(1995), a fine concerto risulteranno pure tra i più saccheggiati, anche se le loro radici hanno iniziato a germogliare nel Midwest ben prima in un contesto molto più legato al punk (non distante da Replacements e Husker Du) con dischi forse non registrati a regola d'arte ma con un suono schietto e verace che con il tempo si è via via avvicinato al mainstream (intanto arrivò  il grunge) fino a toccare il grande successo con la hit Runaway Train (canzone che funziona sempre e che non ha perso per strada nulla del suo fascino). I Soul Asylum per me sono quei dischi lì.

Gli ultimi anni, tra cambi di formazioni, stop e ripartenze, li ho distrattamente dimenticati, salvo ascoltarmi nei giorni precedenti al concerto l'ultimo album Slowly But Shirley, uscito l'anno scorso, che giocava in copertina con il lettering del primo Elvis, a sua volta ripreso dai Clash e chissà da quanti ancora in futuro. Un buon disco che mi ha convinto ad esserci e che si è preso meritatamente la scena, a dimostrazione che la band non vive assolutamente nel passato come me ma ci crede ancora. E dopo un'ora e mezza di concerto tiratissimo, dove le ultime ed esplosive High Road, Trial By Fire e Freeloader, il bel blues Sucker Maker hanno fatto compagnia alle immancabili Misery, Bittersweetheart, Somebody To Shove e Runaway Train, i Soul Asylum  hanno dimostrato di essere ancora una macchina da rock'n'roll con le palle ben arroventate dove alternative rock, grunge, punk noise, hard blues e ballate che sanno di country/folk  si sono passati la palla senza diminuire mai l'intensità della serata, aperta dai giovanissimi Dirty Noise ,pupilli di Manuel Agnelli, presente in sala. 


David Pirner, è uno che ha sempre saputo scrivere canzoni (forse a volte dimenticato) e sa ancora come tenere in mano il suo pubblico, gigioneggia bene tra smorfie, mosse e mossette, ma poi quando c'è da andare giù duro, spalleggiato dall'indemoniato chitarrista Ryan Smith non si tira indietro e la distanza tra l'oggi e i tempi d'oro si assottiglia come buttare giù un bicchier d'acqua fresca.

Un' ultima data del tour europeo che lascia soddisfatti tutti, pubblico e band che pare divertirsi ancora molto. Unica nota negativa che poi non si è avvertita così tanto, il poco pubblico dentro un Alcatraz già diviso a metà. Sarà stata la febbre del Festival della riviera ligure? Un Marylin Manson che ha fatto il pienone la sera prima e ha lasciato le briciole? I Pantera che suonavano in contemporanea in quel di Bologna? Oppure tanti come me rimasti fermi ai gloriosi anni novanta e poco curiosi di vedere con i propri occhi com'era la situazione reale? Sicuramente chi è stato a casa si è perso un gran concerto e visto la frequenza delle loro calate nel nostro paese (molti erano presenti al Rolling Stones nel lontano 1994), difficilmente potrebbe capitare un'altra occasione in tempi brevi.


Foto: Enzo Curelli


domenica 19 gennaio 2025

SKIANTOS live@Hiroshima Mon Amour, Torino, 17 Gennaio 2025


L'ultima volta che vidi gli Skiantos sul palco c'era ancora Freak Antoni. Tanti, tanti anni fa. Oggi è venerdì 17 e la cattiva sorte vuole che anche il buon Dandy Bestia sia rimasto a casa in non buona  salute. Insomma: questa sera non è rimasto nessuno degli originali sopra al palco. Nulla che possa però fermare l'irriverente e dissacrante concentrato punk rock'n'roll della storica band bolognese che non curante della pesante defezione rulla una dopo l'altra quasi cinquant'anni di canzoni, in un riuscito gioco di interscambio dove tutti cantano tutto. In campo c'è pur sempre la line up degli ultimi dischi incisi: Roberto Granito Morsiani il più presente a centro palco ma anche disposto a fare un passo indietro e tornare alla batteria per lasciare campo all'istrionico Gianluca Schiavon, batterista aizza folle , Luca Tornado Testoni macina riff su riff e assoli di chitarra in continuazione e canta di suo, Max Magnus domina il suo basso con eleganza e con flemma canta e fa da buon presentatore quasi "pippobaudesco". Delle canzoni cosa vuoi dire? Poesie di strada entrate nel collettivo italico che non sembrano passare mai di moda. A metà serata sale sul palco anche il poeta torinese Guido Catalano per un personale reading bersagliato il giusto da insulti e palline di carta. Tutto molto gradito. Siamo stati un discreto pubblico di merda, abbiamo fatto kagare il giusto, soprattutto i tantissimi e meravigliosi giovanissimi (" piuttosto che vadano in giro a fare i delinquenti" come dice mia madre) che hanno tenuto alto, stasera e vista l'età per molti anni a venire lo faranno, il vessillo di una delle più importanti, storiche e influenti rock band italiane di sempre che, non spiace dirlo, sopravviverà a se stessa perché canzoni come 'Io Sono Uno Skianto', 'Ti Rullo Di Cartoni', 'Kakkole', 'Sono Un Ribelle Mamma', 'Fagioli', 'Karabigniere Blues', 'Io Ti Amo Da Matti (Sesso e Karnazza)', 'Kinotto', 'Calpesta il Paralitico', 'Italiano Terrone Che Amo' (ma quando verrà ristampato l'album Signore Dei Dischi?), 'Eptadone' e 'Mi Piaccion Le Sbarbine' continuano a funzionare, divertire, far pogare e pure pensare a quanto Freak Antoni sapesse tradurre il suo presente e predirre un po' del nostro futuro.  

(Notare: non ho mai pronunciato l'aggettivo demenzial...ops)




domenica 22 dicembre 2024

VINICIO CAPOSSELA live@Teatro Della Concordia, Venaria Reale, 21 Dicembre 2024


La mia verità è che ci vorrebbe una 'sciustenfesta' messa in piedi da Vinicio Capossela almeno una volta al mese. A fine mese per azzerare tutto e ripartire. Che meraviglioso spettacolo d'altri tempi ha messo in piedi: il miglior regalo di Natale che si possa fare o ricevere per uscire dal mondo reale  per un paio di ore ed entrare in un cosmo dove ognuno ha potuto perdere liberamente  ogni inibizione. A proprio piacimento: il giovane ragazzo di fianco che a fine concerto ha versato litri di lacrime sulle note di 'Ovunque Proteggi' è stata la testimonianza più diretta che ho avuto.

Persi tra gioia e innocenza, sacro e profano, redenzione e illusione. rivoluzione e allegoria, lasciando fuori dalla porta  i "guastafeste" come la rumorosa alzata di voce mediatica che di questi tempi vorrebbe dettarci proprio i "nostri" tempi. Riprendiamoci gli spazi:"almeno per questa sera, non soffriamo più ".


Ricordi d'infanzia e folklore, tavole imbandite e scimmie saltellanti, giochi di prestigio e campanelle, Erode e Kerouac, mambo e swing, un Santa Claus "vestito come una lattina di Coca Cola" che si spara un colpo ('Santa Claus Is Coming To Town'), San Nicola (santo emigrante) che si porta dietro al guinzaglio un Krampus di taglio economico e pieno di grosse zecche, la gioia e la malinconia tra la voglia di far festa di Louis Prima ('Angeliba/Zooma Zooma') e un malinconico biglietto di Natale recapitato da un Tom Waits d'annata che parte da un locale fumoso di Minneapolis e arriva direttamente giù a  Scandiano ('Christmas Card From A Hooker in Minneapolis). "Cristo Charlie!". 

Con "S'alza l'asta del ginnasta quando passa il Marajà" si balla, con 2Che Cos'è L'a Amor, un sasso nella scarpa..." ci si abbraccia.

Una 'Fairytile Of New York' di Shane McGowan e i suoi Pogues regalata a Torino, perché "Torino è la città più rock'n'roll d'Italia" in un finale di concerto svestito dagli abiti da festa, quando sul palco rimangono solo i ricordi colorati, ma già vecchi di un anno in più, del veglione di poche ore  prima.

Direi che abbiamo "sopportato" tutto, anche chi dietro di me, fatto o alticcio, ha parlato ad alta voce dei cazzi  suoi per una buona parte del concerto. Buon Natale anche a voi!


foto: Enzo Curelli


lunedì 9 dicembre 2024

THERAPY? live@Magazzini Generali, Milano, 6 Dicembre 2024

 


Avere un disco come Troublegum nella propria discografia è un privilegio non da poco (un milione di dischi venduti) ma per i nordirlandesi è stato anche un muro da superare ogni volta per arrivare fino ad oggi. Difficile avvicinarsi alla perfezione di quelle quattordici canzoni che li catapultarono in cima alle chart di tutto il mondo e che Andy Cairns anni dopo spiegò così:"nel corso degli anni, molte persone hanno proclamato Troublegum come disco pop dei Therapy? per via di 'Screamager' e 'Nowhere'. Riascoltandolo è molto, molto oscuro, dal punto di vista dei testi e musicalmente". Ecco serviti gli anni novanta.

Da quel 1993 non hanno mai smesso di produrre musica (dove noise, metal, punk e pop convivono senza fare a pugni) e fare concerti con entusiasmo e rara abnegazione. Questo tour del trentennale però è tutto dedicato a quell'album che è stato sviscerato praticamente da cima a fondo, non in sequenza però (scelta saggia), intervallato solo da vecchie canzoni uscite in precedenza ('Nausea', 'Teethgriner', 'Opal Mantra', 'Potato Junkie') senza nessuna concessione al post. In verità c'è una 'Diane' elettrica più vicina all'originale degli Husker Du rispetto alla versione uscita su Infernal Love, anno 1995.


Ne è uscito sì un concerto per nostalgici (guardandosi intorno l'età media era molto elevata) ma anche uno dei live set più divertenti, partecipati e intensi del mio 2024. La voglia di divertirsi è ancora tanta: Michael Mckeegan salta ancora come il primo giorno d'uscita di Troublegum, il batterista Neil Cooper che all'epoca non c'era ma è nella band da ventidue anni festeggia gli anni ma non è mica vero (ho controllato, una goliardata che si ripete ogni sera per farlo sfogare in un assolo), Andy Cairns guida il tutto, scherza sulle lingue (italiano e irlandese), aizza i fan che rispondono senza lesinare cori, tira fuori il riff di 'Iron Man' dei Black Sabbath, dedica 'Die Laughing' a tutti i caduti del rock’n’roll (da Shane McGowan a Paul Di Anno, da Steve Albini a Kurt Cobain ma la lista sarebbe infinita), si ferma per farci pensare a chi in questo momento mentre noi siamo qui a cantare e ballare sulle note di 'Nowhere', 'Screamager' e sorelle, è sotto un ponte o le bombe di una guerra. 

Sì torna a casa con un pezzo di paraurti danneggiato (maledetti marciapiedi milanesi ma c'è un po' di rock’n’roll anche in questo) con la consapevolezza di aver vissuto due volte un album a suo modo epocale: in diretta a vent'anni e oggi con trenta in più sulla carta d'identità. Più tutto quello che ci sta in mezzo e nel futuro naturalmente: "non riesco a pensare a niente di peggio che essere bloccato in un'epoca o in un genere" spiegò Cairns in una recente intervista e i dodici dischi pubblicati dopo Troublegum ne sono la testimonianza, non conosciuta a tutti ma ci sono.



domenica 8 dicembre 2024

KING HANNAH live@Spazio 211, Torino, 4 Dicembre 2024


Che il pubblico italiano abbia adottato i King Hannah lo si capisce dal caloroso abbraccio con il quale  lo Spazio 211 avvolge la band di Liverpool durante tutto il concerto: dalla lunga e iniziale 'Somewhere Near El Paso' che ben rappresenta le tematiche del viaggio americano che hanno caratterizzato il secondo album Big Swimmer, uscito quest'anno e che a molti non è andato giù (io lo adoro più del primo), alla cover finale di 'Blue Christmas', conosciuta nella versione di Elvis, un saluto pre natalizio cantato a due voci, che ben si è calato tra le maglie dell'intima atmosfera che si è creata all'interno del piccolo locale torinese, sold out per l'occasione.


Perché è francamente difficile voler male al gruppo di Hannan Merrick e Craig Whittle quando percepisci la loro sincera emozione difronte a tanto entusiasmo e quando il loro mood dove il continuo contrasto nel saliscendi emotivo creato dal profondo velluto del cantato (a declamare testi super minimalisti)  e dall'asprezza delle chitarre elettriche (quando a tratti ci senti i Sonic Youth che jammano con Neil Young) in qualche modo riesce a rapirti e portarti via, lontano con loro. Fosse anche solo il Regno Unito, andrebbe gia bene.

Più invecchio, più mi guardo intorno, scruto il pubblico. Ascolto i discorsi, anche se alcune volte sarebbe meglio non farlo visto le castronerie che sento o vedo: un tizio mentre si aspettava il concerto, ha fatto una foto alla setlist appiccicata sulle assi del palco, convinto fosse quella dei King Hannah (con tanto di commenti sulle canzoni), ma si capiva chiaramente (ho sbirciato sì) che era quella di Joe Gideon che ha aperto il concerto. I King Hannah manco la avevano, andavano a braccio.

Un pubblico vario, fatto di tanti giovani ma pure di persone oltre gli anta perché in fondo i King Hannah, in tutta la loro semplicità, purezza e apparente fragilità hanno un animo "da anziani" e lo dimostrano quando cantano di 'John Prine On The Radio' (però ho sentito pochi "yes" alla domanda:" conoscete John Prine?" evidentemente i giovani superavano in numero i vecchi) e quando rifanno una 'State Trooper' di Bruce Springsteen con una lunga coda noise che da sola varrebbe il costo del biglietto (comunque popolare). È la terza volta che li vedo, la seconda quest'anno. E andrei a rivederli pure domani. Ah no, domani sera ci sono I Therapy?. Altra bella storia. Da vecchi naturalmente. 



giovedì 28 novembre 2024

D-A-D live@Legend Club, Milano, 25 Novembre 2024


Il primo Novembre i D-A-D hanno festeggiato i quarant'anni di carriera in casa a Copenhagen davanti a 15.000 persone. Un'istituzione per la musica danese.

 Ieri sera al Legend non eravamo certamente così tanti ma il locale era caldo e pieno per augurare alla band altrettanti anni a questo livello. Sì perché credo sia raro trovare un'altra band della loro generazione ancora così in forma: tante sono scomparse, altre arrancano con superstiti e comparse, qualcuno si è venduto. Loro hanno sempre tenuto dritta la barra del rock'n'roll, surfando le mode musicali di quattro decenni senza mai cadere in acqua. Questa sera di quei periodi "duri" per certa musica sono comparse canzoni come  Reconstrucdead e Monster Philoshopy.

Ed ogni volta che li vedo sono sempre meglio della volta precedente. Come è possibile? Sarà quella autoironia che li mantiene sempre allegri e gioviali anche quando decidono di mettere mani e piedi nella concretezza: qui è il batterista Laust Sonne a tenere il tempo. E che tempo. Per i giochi di fino ci pensa invece la chitarra di Jacob Binzer che come un mago vestito fa magie.


" Cantare vecchio e cantare nuovo" è il mantra che Jesper Binzer va ripetendendo per buona parte della serata fino a quando si riesce a fargli capire che "cantare"  andrebbe sostituito con "canzoni". Ecco così che "canzoni" (con quella Z pronunciata come solo un danese potrebbe fare) di vecchissimo stampo come It's After Dark, Jonnie e Riding With Sue dall'album Call Of The Wild, quando ancora la loro proposta cavalcava il cowpunk e il country vengono sparpagliate con l'album nuovo e fresco di stampa Speed Of Darkness, un album che non sfigura affatto con il passato. Anche se poi i pezzi forti sono quelli pescati da No Fuel Left For The Pilgrims e Riskin' It All, dischi che a cavallo tra gli anni ottanta e novanta li hanno fatti uscire dalla Danimarca per conquistare il mondo: Jihad, Point Of View, Rim If Hell, Sleeping My Day Away e Bad Craziness, Grow Or Pay e la ballad acustica Laugh 'n' 1/2 hanno primeggiato.

Durante il concerto ero vicino a un papà con un figlio poco più che adolescente: è stato bellissimo sentire i commenti del giovane tra lo stupito e il meravigliato di fronte alla conseuta sfilata di bassi che Stig Pedersen ha indossato e suonato come se tutto rientrasse nella normalità. Un fottuto genio fuori testa.

I D-A-D normali non lo sono mai stati e la loro miscela di country western, cowpunk, hard rock e heavy sta resistendo alla prova del tempo. Una inossidabile macchina da rock'n'roll che in Europa ha pochi rivali. Ora però la prossima volta li voglio vedere riempire l'Alcatraz (certo non sarà un'arena da 15.000 posti ma...) perché tutti quelli che non c'erano meritano di vedere almeno una volta nella vita un loro concerto.



THE WINSTONS live@Spazio 211, Torino, 23 Novembre 2024


Zigzagare. I Winstons sono campioni in quest'arte: per tutta la serata hanno schivato malanni di stagione e problemi tecnici all'ampli del basso trasformando il disagio in divertimento ("noi non facciamo mai prove, stavolta le abbiamo fatte!: ecco il risultato! Non bisogna mai fare prove, gli strumenti si usurano") e per due ore hanno sciorinato la loro sconfinata idea di musica ad ampio spettro che se proprio bisogna trovare una collocazione, "a cavallo tra i 60 e i 70" va sempre bene: quasi tutto era stato fatto e i Winstons quasi tutto fanno. Ci sono i Beatles a benedire tutto dall'alto, poi il primo prog ancora così legato a psichedelia e pop, l'amata scena di Canterbury con i Soft Machine in testa (e Third è anche il titolo del loro nuovo album con tanto di occhiali 3D all'interno, sarà un caso?), il glam rock, il funk. 


Roberto Dell'Era al basso e chitarra, Lino Gitto alla batteria, Enrico Gabrielli circondato da tastiere, sax e flauto all'evenienza e qualunque diavoleria abbia voglia di suonare. Tutti e tre alla voce solista, tutti e tre ai cori. I Winstons per due ore hanno portato lo Spazio 211 (mi aspettavo più gente in verità) in giro per la galassia musicale tra lunghe jam, ritratti pop, improvvisi e repentini cambi di atmosfera con tutta la libertà che tre straordinari musicisti possono permettersi. E proprio l'osservazione di Gabrielli che prende spesso la parola (divertenti anche gli aneddoti su Torino, città dove ha vissuto per cinque anni) sembra racchiudere l'era musicale dalla quale la band dei fratelli Winstons si nutre e che vogliono raccontarci alla loro maniera:"perché in questa era dominata dal digitale in cui volendo puoi permetterti di non avere confini di registrazione la stragrande maggioranza racchiude l'arte in pochi minuti?". E allora ben vengano i Winstons che non conosco confini. E poi si sa, dove ci sono barriere non ci sono mai buone notizie. Quella buona è una: i Winstons sono tornati.



mercoledì 6 novembre 2024

BLACK PUMAS live@Fabrique, Milano, 4 Novembre 2024


L'arma di pace in possesso dei texani Black Pumas ha un nome, un cognome e una presenza di tutto rispetto: Eric Burton. La sinergia che il cantante è riuscito a creare con il pubblico sin dal suo primo passo sopra al palco è stata incredibile ed è andata avanti senza sosta fino alla fine dell'ora e quaranta di concerto. Burton ha carisma nell'incarnare in un solo corpo l'immediatezza della rockstar, la comunicatività della popstar e il calore confidenziale del soul singer. Canta divinamente (toni bassi e acuti: la hit 'Colors'  è servita su un piatto tutto da gustare, il contagioso pop di 'Ice Cream (Pay Phone)' fa ballare e cantare) intrattiene il pubblico, scende dal palco per camminare e cantare nel mezzo del parterre di un Fabrique pieno, stringe mani e abbraccia corpi, si concede ai selfie alla faccia di chi sequestra cellulari, danza, imbraccia una chitarra e canta 'Fast Car' di Tracy Chapman in solitaria come primo bis. Fa emozionare con l'esecuzione di 'Angel'.


Alla sua sinistra il compagno, mente del gruppo,  Adrian Quesada, chitarrista, produttore (e attivista) guarda compiaciuto e compassato mentre con la sua chitarra e i suoi effetti dirige una band formata dalle due brave coriste Angela Miller e Lauren Cervantes; il tastierista JaRon Marshall; il bassista Brendan Bond, il batterista Stephen Bidwell e un percussionista, che sanno il fatto loro per classe e buon gusto esecutivo.

 Se a inizio concerto sembrano gigioneggiare intorno al pianeta pop,  quando ingranano la marcia con brani che indagano con più sostanza nella

Motown degli anni 60, 70, il folk, il rock, il funky e il soul, trasportandoli abilmente ai giorni nostri e trovando sublimazione nella jam finale  di 'Rock And Roll', ultima traccia del loro secondo album Chronicles Of Diamonds, diventano irresistibili, dimostrando quanto possano allargarsi e spingersi  ancora in futuro. Ecco, l'unico difetto: avrei voluto un po' di "sporcizia" in più. 

La questione è proprio questa: i Black Pumas sembrano in pista da una vita ma lo sono solo da sette anni e due soli album e quando Burton e Quesada si incontrarono per puro caso con il primo che aveva una buona quantità di canzoni già pronte che trovarono finalmente la voce giusta ( che cercava fortuna negli angoli delle strade di Austin) per diventare reali e concrete, nessuno pensava a questo grande  successo a livello mondiale. E invece: tanto divertimento e tanti giovani tra il pubblico che se uniti a quelli che negli stessi momenti stavano  riempiendo l'Alcatraz per il concerto dei Fontaines DC rendendo un semplice lunedì sera a Milano in una serata ad altra gradazione rock, non può che far ben sperare per il futuro della musica e di un mondo continuamente sotto assedio, a partire dalla lunga nottata americana che ci aspetta. Viva la musica. Sempre.

Ps. Ad aprire il concerto il bravo Son Little che con voce, chitarra e simpatia riesce a conquistare il pubblico con il suo folk blues piacevole e diretto.


Foto: Enzo Curelli


giovedì 31 ottobre 2024

THE WHITE BUFFALO live@Magazzini Generali, Milano, 29 Ottobre 2024

La prima volta che vidi White Buffalo rimasi un po' deluso (Brescia, anno 2016), per lo stesso motivo per il quale ieri sera mi sono invece divertito. L'approccio in your face dei loro concerti è molto diverso da quanto prodotto in studio di registrazione. La prima volta mi sorprese in negativo, questa volta, preparato alla serata mi sono goduto ogni passo, salto e smorfia di Jake Smith con i suoi due inseparabili sodali: il sempre simpatico e sorridente Christopher Hoffee alla chitarra elettrica e tastiere e il martellatore Matt Lynott dietro a una batteria che fa miracoli per non distruggersi sotto i suoi colpi (un pezzo infatti partirà via durante la serata. Miracolo non riuscito!).

La copertina del recente disco live A Freight Train Through The Night sembra simboleggiare bene cosa ci si trova davanti durante un loro concerto: gli abbellimenti da studio di registrazione (Jake è un perfezionista quando vuole) vengono lasciati in un angolo a favore di una visceralità quasi cowpunk dove tutto è permesso e che viaggia e sbuffa come un vecchio treno in corsa, senza paura di sbavature e imprevisti che invece ci sono e rendono tutto più "umano e più vero".


Le sue storie di vita dove si cerca di fare luce attraverso oscurità e difficoltà, la voce profonda e calda (innalzata al massimo quando rimane solo con l'acustica), la sua America musicale, incrocio tra country, folk (la sua prima chitarra la prese in mano a vent'anni folgorato da John Prine e Bob Dylan) e rock'n'roll suonato con foga, sono riuscite a riempire il lungo e stretto locale dei Magazzini Generali (mi lascia sempre un po' interdetto la planimetria del posto) di persone variegate che vanno da un perfetto suo sosia in prima fila ("hey Jake ma cosa fai ancora lì non sali sul palco? Ah no!") a tanti giovani e giovanissimi (tante donne), da chi l'ha conosciuto attraverso la serie Sons Of Anarchy (ecco una sempre splendida versione di House Of The Rising Sun e Come Join The Murder) e chi attraverso  l'ancora per me insuperato album Once Upon A Time  In The West (The Pilot, Stunt Driver, BB Guns And Dirt Bikes).

Spezzare la settimana con un concerto così fa bene all'umore tanto che il viaggio di ritorno, pur ostacolato da mille imprevisti tra lavori sulla tangenziale e uscite autostradali imposte, traffico in tilt per un concerto al Forum di Assago (Ghali?) e onnipresente partita di calcio a San Siro, sembra una tranquilla gita fuori porta con tanto di paesaggio da osservare (operai autostradali ovunque). Mi addormento alle due con le intense note del concerto che mi rimbombano ancora in testa. Alle 5 sono già sveglio. Maledetto cambio d'ora!




martedì 22 ottobre 2024

MARCUS KING BAND live@Fabrique, Milano, 20 Ottobre 2024

Foto: Curelli Enzo

Di cose belle ne capitano anche sotto il palco. Per esempio quando si aspetta il bis: mi sento stringere un braccio da due mani, un signore già con una certa età, con voce quasi rotta dall' emozione mi sussurra " che bravi, che bravi, sa che non li conoscevo". "Ah sì?" rispondo io. "Merito suo" mi dice, indicando quello che potrebbe essere suo figlio. Ecco: mi ha fatto una grande tenerezza e subito sul momento ho pensato che per conoscere nuova musica si abbia sempre tempo davanti a noi. Non si finisce mai di imparare.

Già, proprio bravo Marcus King from South Carolina, uno uscito con il cordone ombelicale con la musica che già gli scorreva dentro, quando poi il padre Marvin gli mise pure in mano la prima chitarra  a tre anni, il gioco fu fatto. Star is born. Che sia un fuoriclasse lo si capisce dalla estrema naturalezza con quale lega insieme decenni di american music (southern rock, hard blues, soul, R&b, ricami jazz e country) con la stessa naturalezza di un veterano dalle mille vite ma di anni Marcus King ne ha solo ventotto. La stessa naturalezza con la quale, oltre a suonare la chitarra divinamente, canta. Una voce soul che se ce l'hai ce l'hai, se non ce l'hai cambia mestiere. Voce che esce in tutta la sua limpidezza quando imbraccia una chitarra acustica e rimane solo sul palco.


Poi che sia pure un'ottima penna lo si capisce anche solo dagli ultimi album dove si è messo completamente a nudo, svelando le tante debolezze che lo hanno circondato negli ultimi anni e da cui è uscito vincente. Anche qui la musica ha avuto la sua importanza.

Basterebbe poi confrontare la diversità dei suoi ultimi due dischi per capire come sappia muoversi con naturalezza tra i generi: da una parte l'hard rock fumante seventies di Young Blood, dall'altra la morbidezza dell'ultimo album Mood Swings con canzoni che si portano a spasso un carezzevole soul e che hanno fatto storcere il naso a molti ma che in verità se prese una per volta sono tutt'altro che brutte ('Save Me', 'Bipolar Love', 'Mood Swings', 'This Far Gone', 'Fuck My Life Up Again' tra quelle suonate) e live, allungate con code strumentali e jam virano anche in altri campi poco arati.

Ad aiutarlo la seconda chitarra di Drew Smithers con il quale duella spesso e volentieri, il tastierista  Mike Runyon che ha lo sguardo rivolto sempre al cielo, il batterista Jack Ryan che detta bene i tempi  e il solido bassista di cui non so il nome.

Tra i paletti delle nuove canzoni inserisce qualche vecchio brano, l'immancabile 'Goodbye Carolina' e una serie di cover. Sì  perché è ancora così appassionato di musica che dopo cinque album continua a infarcire i suoi concerti di cover, passando da una ruspante  'Are You Ready For The Country' di Neil Young a una nuova 'Honky Tonk Hell' di Gabe Lee che uscirà nel suo prossimo disco (almeno così ho capito), da 'Good Time Charlie's Got the Blues' di Danny O'Keefe fino alla finale 'Ramblin Man' della Allman Brothers Band  eseguita con mestiere e devozione, saluto e omaggio a Dickey Betts che ci ha lasciato lo scorso Aprile. 

Io saluto il signore di prima ancora emozionato. Al ritorno in macchina  mi ascolto Wild God di Nick Cave che stasera a Milano, in contemporanea, nella sua personale chiesa ha fatto il pienone (il Fabrique è pieno ma a mezzo servizio). Chissà se il signore, non quello divino, ma quello emozionato lo conosce?



venerdì 4 ottobre 2024

BLACKBERRY SMOKE live@Alcatraz, Milano, 2 Ottobre 2024

foto: Curelli Enzo

Non sono mai uscito deluso da un concerto dei Blackberry Smoke. Perché? Perché ti danno esattamente quello che ti aspetti: giusto, pulito, con mestiere, facce allegre e molta onestà. Sempre confortanti. Va da sé che confermano i tanti pregi e alcuni difetti di sempre. Da una parte: gusto melodico, la capacità di unire chitarre (tre come piace al vecchio southern rock, ecco allora il sempre sorridente Paul Jackson e il sempre compassato Benji Shanks unirsi a Charlie Starr) con quella ariosa melodia country cara a gruppi come Outlaws e Eagles che fa spesso capolino. La concretezza di voce, chitarre, basso, batteria e tastiere e poche seghe strumentali (le chitarre fanno il loro lavoro senza eccessi da prima donna) e scenografiche, il fondale con la farfalla che campeggia nella copertina dell'ultimo disco Be Right Here e le giuste luci. Dall'altra manca sempre quel briciolo di spregiudicatezza,  pur nelle loro capacità, che li faccia osare di più spingendosi in  divagazioni strumentali più coraggiose che il vecchio southern rock, sempre lui il metro di paragone, ha tramandato. Charlie Starr si conferma un signor frontman e songwriter (non so perché ma mi immagino sempre una sua carriera solista parallela alla band): carisma, voce e chitarra guidano il gruppo, ecco l'unica mancanza è non avere nella band almeno un altro elemento con lo stesso carisma che possa rivaleggiare ad armi pari e portare quella "sana" rivalità che il rock conosce bene. A volte pretende. O porta distruzione o meraviglie, il rischio è dietro l'angolo. Forse i Blackberry Smoke amano poco i rischi. Forse questa è la loro natura e piacciono per questo: belle canzoni, suoni nitidi e puliti, perfino canticchiabili da tutti. L'ultimo album e The Whippoorwill i dischi più saccheggiati con quest'ultimo, forse il loro migliore, che regala canzoni diventate dei piccoli classici come la title track e One Horse Town. 


Un Alcatraz pieno di fan ormai fidelizzati vorranno pur dire qualcosa. Negli anni abbiamo visto gruppi con una storia ben più importante suonare nel locale dimezzato.

Anni fa quando scrissi del loro disco The Whippoorwill (2012) su una rivista mai avrei pensato potessero raggiungere questa notorietà qui in Italia. Lo sapete che a Biella esiste l'unica (credo) tribute band italiana a loro dedicata?

Ieri sera a Milano la band di Atlanta, Georgia, ha festeggiano la fine del tour europeo e ricordato pure chi non c'è più: con un accenno di Don't Come Around Here No More di Tom Petty, anche se l'avevano fatta anche due anni fa ma oggi è una data significativa, il 2 Ottobre di sette anni fa ci lasciava, ma soprattutto hanno tributato il loro storico batterista Brit Turner scomparso il 3 Marzo di quest'anno a soli 57 anni. E a rinsaldare l'amore con il pubblico italiano, a fine concerto mostrano uno stendardo a lui dedicato donato da alcuni fan. Vera commozione sui loro volti. Rock’n’roll, boogie rock (Waiting For The Thunder, Rock'n'roll Again) e ariose ballate country si alternano, accennano pure Willin dei Little Feat anche se pochi sembrano accorgersene, si divertono e ci si diverte nel finale. Portarsi a casa una serata di sano rock’n’roll americano (ad aprire il tosto rock blues di Bones Owens da Nashville) con poco più di 30 euro è impresa sempre più rara, meglio approfittarne sempre a patto di non spendere i soldi risparmiati in birra: 10 euro per una media di birra Ipa è un'esagerazione da non provare. L'ho lasciata lì. I soldi serviranno per il prossimo concerto.




sabato 14 settembre 2024

MUDHONEY live@Santeria, Milano, 13 Settembre 2024


Forse il segreto sta tutto lì, in quella linea tentatrice che dal culto si espone al mainstream. I Mudhoney continuano a cavalcarla con lo stesso impeto, la stessa sregolatezza e lo stesso impulso primordiale degli esordi guardandosi bene nell'oltrepassarla. 

Nella sua autobiografia Steve Turner ha scritto: "Eddie Vedder non poteva andare al supermercato, ma io sì". Tutto detto.

Furono tra i primi a dare visibilità a una generazione (i Green River subito ma immancabile è Touch Me I'm Sick dietro) e possiamo dirlo: sono tra gli ultimi rimasti in piedi, fedeli a sé stessi. Quasi due ore di concerto pregne di calci sugli stinchi ben assestati e pure ben simboleggiati dalle due pedate che Mark Arm rifila ai due malcapitati (forse era pure lo stesso, recidivo) che hanno surfato per raggiungere il palco per un stage diving prontamente neutralizzato sul nascere. Una sala sold out  tenuta in pugno da tre ex ragazzi in buonissima forma (Mark Arm, Steve Turner, e Dan Peters) più l'ultimo entrato, comunque venticinque anni fa (il bassista Guy Maddison) che di posare le armi non hanno assolutamente voglia, tuttalpiù Arm posa la chitarra per impugnare il microfono e diventare il "crooner" del loro lato più punk e anarchico. 


Non si tira mai il fiato in mezzo alla loro commistione di garage rock, blues rumoroso e psichedelia acida, l'unica pausa la regala il basso di Maddison che richiede cinque minuti di manutenzione, Arm ne approfitta per per presentarci il suo bicchiere di Vermentino.

Presente, ben rappresentato dagli ultimi album  Digital Garbage e Plastic Eternity (saccheggiati a dovere) e passato (Superfuzz Bigmuff e Mudhoney usciti poco prima di entrare nei novanta) sono dati in pasto (quasi una trentina i brani in scaletta) con l'antica veemenza che negli anni ha guadagnato in esperienza e il rispetto che si deve a una band che stasera, ma lo farà fino alla fine dei suoi giorni, ha impartito una lezione di coerenza rock'n'roll che pochi possono vantare ed esibire con tale esuberanza dopo quarant'anni di carriera e che noi presenti ricorderemo certamente a lungo.