domenica 26 giugno 2022

NASHVILLE PUSSY live@Blah Blah, Torino, 24 Giugno 2022


In una Torino affollatissima e blindatissima intenta a festeggiare il proprio patrono San Giovanni a suon di fuochi d'artificio in Piazza Vittorio, nel piccolo locale di via Po, a pochi passi dall'inferno di un caldo sabato sera, i Nashville Pussy  hanno celebrato l'ennesimo rito rock'n'roll alla loro consueta maniera. Nessun effetto speciale in aria ma solo strumenti, carne e sudore. Persa per strada la componente visiva più sporca e "sessuale" degli esordi (la copertina del debutto Let Them Eat Pussy, 1998, rimarrà negli annali) all'epoca ben rappresentata dalla ex bassista Corey Banks, alla band di Atlanta è rimasto il rock’n’roll che dal vivo, rispetto ai dischi, è ancora una faccenda ruvida, grezza e molto punk. Guidati dalla coppia di fatto formata da Blane Cartwright e Ruyter Suys, i Nashville Pussy continuano a non avere peli sulla lingua, sì insomma per dirla alla loro maniera: Pussy's Not A Dirty Word.

Blane è il solito "zio d'America", poco raccomandabile compagno di bevute e di sbronze, pancia da trucker alcolizzato, voce passata sotto un foglio di carta vetrata, cappellaccio in testa a coprire la pelata che comunque mostra con "orgoglio" e disinvoltura ogni tanto e numeri da monello di terza media in gita: quando toglie le sue sudicie Converse per rimanere scalzo, quando gioca con l'asta del microfono, quando rovescia due bottiglie di Beck's nel cappellaccio da cowboy per poi tracannare il contenuto tutto d'un fiato. Il seno di Ruyter Suys, invece, rimane sempre ben in vista ma schiacciato sotto alla fiammeggiante chitarra, incontrollabile manico della perversione che tanto la trasforma in un indemoniato Angus Young in reggiseno. A completare la formazione la base ritmica formata dalla bassista Bonnie Buitrago, solida e piazzata, un continuo headbanging il suo e dal batterista Dusty Watson, nuovo entrato in formazione, simpatico e metronomo indispensabile per gli altri tre e con un lungo curriculum alle spalle (Dick Dale, Agent Orange, Sonics, Supersuckers, Lita Ford, Rhino Bucket, Concrete Blonde, The Bellrays).


Il concerto è un treno in corsa, tirato e scalciante dove hard rock, punk e una certa attitudine southern si mischiano a sudore, birra di quart'ordine, doppi sensi, allusioni e riff di chitarra. I loro inni perversi li impari in pochi secondi come quando da piccoli si viene attratti dalla parolacce ('Come On, Come On', 'Struttin Cock', 'Gone Home And Die') e dal cadenzato blues "da barbecue" in stile Ac Dc di 'Til the Meat Falls Off the Bone' al veloce punk 'Go Motherfucker Go', il loro inno storico che chiude la serata, il passo è brevissimo. La Suys strappa tutte le corde della sua chitarra e le dona al pubblico. Due piccole bimbe sono davanti al palco, il loro papà ha pensato che stasera un concerto rock'n'roll fosse per loro più interessante dei fuochi d'artificio in onore del patrono che stanno scoppiando nei cieli sopra Torino. E chi li ha solo sentiti? La band apprezza. Le due bimbe torneranno a casa cariche di doni: plettri, bacchette, corde. Per vedere i fuochi d'artificio hanno tutta la vita davanti.





martedì 21 giugno 2022

BLACK LABEL SOCIETY live@Alcatraz, Milano, 19 Giugno 2022




Tanti segni della croce come fosse una lunga processione, dito puntato al cielo quando parte l'immancabile 'In This River' al pianoforte dedicata agli sfortunati fratelli Abbott (che si materializzano sul palco con due gigantografie), barba che non taglia da quel di, kilt d'ordinanza, muscoli in evidenza , pose e rituali da vichingo del New Jersey che fanno contenti i telefonini di tutti (ho visto tanti genitori con figli al seguito. Bene!), cambio di chitarra ad ogni canzone, generosità infinita a fine concerto con doni di ogni sorta lanciati al pubblico. Ecco: forse gli asciugamani neri con i quali  Zakk Wylde si asciuga la fronte per poi darli in pasto ai fan potevano essere evitati in periodi ancora così incerti e con il covid ancora lì alla porta. 



Insomma, un rito che i BLS (John "JD" DeServio al basso, Dario Lorina alla chitarra e Jeff Fabb alla  batteria) officiano senza indugi e senza soste dall'inizio alla fine. Come sempre. L'ultimo album Doom Crew Inc., il più Sabbathiano della carriera e tra le loro migliori cose di sempre, viene presentato con tre brani tra cui quella 'Set You Free', attesa da molti, che pare già un classico fin dall'introduzione alla pari di 'Suicide Messiah' e 'Stillborn' che chiudono la serata. E poi quella 'Whole Lotta Sabbath' che invece introduce il concerto, in grado di dare sempre bene e in modo chiaro le coordinate dell'infinito amore che Zakk Wylde nutre per la musica, anche da inguaribile fan romantico.

E nell'estate dei miei concerti "ignoranti" questo raggiunge il podio un po' come fa Zakk quando sale in piedi sul pianoforte e inizia a suonare la chitarra tenendola dietro al collo, a centro palco Lorina gli tiene testa allo stesso modo. Il duello: il clou della tamarraggine rock.



E poi, fatemelo dire: ma quanto sono belli e più vivibili i concerti estivi con 40 gradi esterni quando si svolgono all'interno di un locale perfetto per la musica live come l'Alcatraz di Milano (il suono, il suono è importante, la vista del palco pure). Condizionatori accesi e la guerra tenuta ben fuori, alla faccia delle prediche di Mario Draghi. 






Setlist

Intro: Whole Lotta Sabbath                                        


Bleed for Me

Demise of Sanity

Destroy & Conquer

Heart of Darkness

A Love Unreal

You Made Me Want to Live

The Blessed Hellride

Spoke in the Wheel

In This River

Trampled Down Below

Set You Free

Fire It Up

Suicide Messiah

Stillborn





sabato 18 giugno 2022

RECENSIONE: MICHAEL MONROE (I Live Too Fast To Die Young!)

MICHAEL MONROE
   I Live Too Fast To Die Young! (Silver Lining Music, 2022) 



mai troppo vecchio 

Ormai i veri rocker rimasti si contano nelle dita di una mano. E non sto parlando di rocker miliardari, benestanti, ma di gente che continua a lottare con i gomiti ben larghi su palchi di qualsiasi dimensione per portare avanti il verbo, quelli a cui l'aggettivo "loser" (nel mio vocabolario quelli che avrebbero meritato di più) è ancora prima di un complimento, un marchio impresso a fuoco. 
Michael Monroe, sessant'anni appena compiuti e più di quaranta di carriera è uno di questi, tanto da permettersi di intitolare il suo dodicesimo disco in carriera I Live Too Fast To Die Young. Una carriera in corsia di sorpasso. Salutista e ripulito da alcuni anni, continua a macinare quel rock'n'roll che partendo dagli Stooges, passa dai New York Dolls, non è un caso che nella sua band ci suonino Steve Conte alla chitarra e Sammy Yaffa al basso, due componenti dell'ultima incarnazione delle bambole, tocca gli Hanoi Rocks la sua band mai troppo lodata ma tanto influente e arriva ai giorni nostri con intatta freschezza ed energia. Lo si capisce immediatamente appena parte 'Murder The Summer Of Love', un hard rock'n'roll che prende spunto dai noti fatti successi ad Altamont durante il concerto dei Rolling Stones nel 1969 per marcare quanto le belle utopie vadano vissute al massimo coniugate al presente, perché non possono durare in eterno. Quel giorno fu la fine di un sogno. 
 "Vuoi una rivoluzione, devi alzare quel culo, la controcultura sta svanendo velocemente” canta Monroe. Undici canzoni varie che passano con disinvoltura dal punk veloce e cattivo di 'All Fighter' e 'Pagan Prayer', alle ombre dark wave di 'Derelict Palace' (certamente tra le più particolari, a riportare in mente gruppi come i Lords Of New Church), l'incrocio tra Stones e Social Distortion di 'Can't Stop Falling Apart', al rock anthem 'Everybody's Nobody' con tanto di armonica e la title track che vede ospite la chitarra di Slash, ballate al pianoforte ('Antisocialite') e strani esperimenti come la malinconica 'Dearly Departed' che chiude il disco in modo algido e velatamente elettronico, in netto contrasto con il calore umano fatto di sudore, lacrime e sangue che esce da ogni nota suonata qua dentro e registrata nella fredda Helsinki tra il Novembre e Dicembre del 2021. 
Michael Monroe sa scrivere canzoni, testi, ha ancora una buona voce, tiene il palco come pochi, imbracciando il suo fedele sax, e tra poche settimane aprirà il concerto di Alice Cooper a Milano. Serve altro? Per ora I Live Too Fast To Die Young! se la gioca con il ritorno degli Hellacopters per il disco rock'n'roll dell'anno.








domenica 5 giugno 2022

RECENSIONE: THE BLACK KEYS (Dropout Boogie)

THE BLACK KEYS   Dropout Boogie (Easy Eye Sound, 2022)



estate a tutto boogie

La storia musicale dei Black Keys non è poi diversa da quella di tanti altri gruppi blasonati con ormai tanti anni e dischi alle spalle: una prima parte di carriera fresca ed elettrizzante dettata dall'entusiasmo della gioventù (Rubber Factory del 2004 e Attack & Release del 2008 i miei preferiti), una seconda parte con una importante virata verso territori più accessibili a portarli sulle vette del mondo (Brothers del 2010, El Camino del 2011), una terza parte, quella in corso, di consolidamento e con tutta la consapevolezza di aver già dato il meglio e di poter pescare a proprio piacimento tra i dischi passati, mescolare vecchie idee e farle uscire ancora come nuove. Sappiamo che non è cosi ma chiudiamo un occhio. A tenere incollato tutto la maturità del tempo e dell'esperienza: Dan Auerbach e Patrick Carney hanno una vita super impegnata fuori dalla band, producono, scoprono, rilanciano, dissotterrano personaggi e artisti dimenticati dal tempo, creano etichette discografiche e costruiscono studi di registrazione. Un'amore per la musica che va ben oltre la band madre.

E di amore per la musica ce n'è tanto anche dentro a Dropout Boogie, sebbene ad un ascolto distratto non parrebbe, figlio bastardo del precedente omaggio al blues Delta Kream del quale riprende qualche buon seme di tradizione (la finale 'Didn't Love You', una 'Burn The Damn Thing Down' che scalpita che è una meraviglia, 'Happiness' è più slow e strisciante) ma dove  la c'erano vecchie cover da riportare in vita, qui ci sono nuove canzoni da mandare a memoria. E poco importa se 'Wild Child', un po' Doobie Brothers un po' I Love Rock'n'roll' di Joan Jett & The Blackhearts è ruffiana e svolge bene il compito di riempi pista, 'For The Love Of Money' è un funky boogie già masticato mille volte, 'Your Team Is Looking Good' un boogie rock che pare uscito da The Slider dei T.Rex di Marc Bolan, 'Good Love' uno slow blues con la presenza della  infuocata chitarra di  Billy Gibbons (anche autore) che si interrompe improvvisamente, 'How Long' un soul che prende sembianze rock e 'Baby I'm Coming Home' è ruffiana come da titolo. 

Poco importa se Dropout Boogie è suonato e registrato meravigliosamente, senza pecche, perché ancora una volta diverte, si fa ascoltare con piacere mentre guidi una vecchia Pontiac tra le campagne fuori dalla tentacolare città, mentre cucini svogliatamente burritos al lunedì sera o mentre scambi effusioni con l'amata al sabato mattina,  finita l'ultima traccia hai voglia di rimetterlo ancora una volta su perché nella vita bisogna pur divertirsi e lasciarsi andare senza pescare l'ennesimo pelo nell'uovo. Ormai la raccolta (di peli) si fa noiosa e la vita a ben guardare non è così lunga come ci è stata dipinta da chi crede di saperne sempre di più.