domenica 29 maggio 2022

RECENSIONE: STEVE FORBERT (Moving Through America)

STEVE FORBERT  Moving Through America (BlueRose Music, 2022)



on the road (again)

Steve Forbert non si è mai fermato. Ha sempre amato viaggiare fin da quando giovanissimo lasciò il natio Mississippi per cercare fortuna a New York, incidendo il suo bel debutto nel 1978. Quattro anni fa lo trovai a suonare nella sala consiliare di un comune del bresciano, sinonimo che durante la sua carriera non ha mai veramente conosciuto la fortuna dei grandi numeri ma una buona dose di caparbietà, onestà e coerenza gli hanno permesso di poter continuare il suo viaggio, magari non percorrendo l'autostrada del successo in corsia di sorpasso ma comunque su vie sempre dignitose dove il suo folk rock contornato da liriche sempre intelligenti e ironiche non è mai sceso a facili compromessi. Oggi a 67 anni eccolo nuovamente con la valigia in mano a raccontarci un viaggio lungo il Midwest dell'America compiuto poco prima che la pandemia chiudesse tutti i caselli. Un viaggio importante perché avvenuto dopo un periodo difficile per la sua salute e dopo aver tirato una riga sulla carriera con l'uscita di un'autobiografia, e di due dischi di vecchi ricordi: uno raccoglieva vecchie canzoni dimenticate nel cassetto (The Magic Tree del 2018), l'altro cover di canzoni che lo accompagnarono in gioventù (Early Morning Rain del 2020). 

In Moving Through America invece ritorna alla scrittura con undici canzoni che contengono tutta la freschezza, l' ironia e la leggerezza di sempre spalmate su un impianto folk rock,  collaudato e rilassato,  con qualche escursione soul, aiutato anche da musicisti come Gary Tallent, Hugh McDonald e Gurf Morlix.

Istantanee e quadretti legati all'America e ai suoi comuni abitanti, spiati dal finestrino o incontrati lungo i marciapiedi o i diner lungo la strada. Canzoni dove passato e presente si incrociano ('Buffalo Nickel'), dove c'è ancora chi cerca fortuna al gioco per svoltare la vita, rischiando tutto quello che ha ('It's Too Bad (You Super Freak')), dove chi non ha avuto fortuna  diventa uno senzatetto ('Times Likes These'), dove c'è ancora spazio per l'amore di coppia ('Fried Oysters') e per il riscatto dopo aver passato gran parte della vita in gabbia per spaccio ('Living The Dream'),  dove i cambiamenti climatici non possono essere ignorati ('Please Don't Eat The Daisies') e dove un pensiero all'amico Tom Petty  è d'obbligo passando attraverso i luoghi che lo videro crescere ('Say Hello To Gainesville').

Buon viaggio con Steve Forbert nell'autoradio.






venerdì 20 maggio 2022

RECENSIONE: DON MICHAEL SAMPSON (The Fall Of The Western Sun)

 

DON MICHAEL SAMPSON  The Fall Of The Western Sun (Appaloosa Records, 2022)


non è mai troppo tardi

La giostra del tempo concede un altro giro a Don Michael Sampson, settantacinquenne cantautore americano, di casa tra il New Mexico e Nashville. Lo sa bene e lo canta nella canzone 'Rolling Time Train' che apre questo suo quindicesimo disco in carriera. Una carriera iniziata a fine anni settanta sulla scia dei grandi cantautori country "fuorilegge" che popolavano gli States. Pur dotato di una penna felice e ispirata, il suo nome non ha mai preso copertine e prime pagine, nonostante la stima incondizionata di colleghi più blasonati. Quindi non è un caso che leggendo i crediti dei musicisti che hanno lasciato le loro tracce qua dentro si possano incontrare grandi nomi come Ben Keith, Warren Haynes, Paulinho Da Costa, Chad Cromwell e Michael Rhodes. Cantautorato americano di prima grandezza con il passo dylaniano ('Wedding Song' cammina dalle parti di Knockin On Heaven's Door), dove a volte i numerosi cori femminili virano il tutto verso il soul, ma l'alternanza tra canzoni scarne, folk ('Cast Off The Lines' mette in fila i giorni di una vita) e country (l'evocativa steel guitar di 'Everybody's Leaving This Old Town') e momenti più rock e movimentati come 'New Book', un un honky tonk con il testo ben radicato nel presente, rendono il disco estremamente piacevole.

Sampson sa scrivere alla grande, infila parole in modo poetico ('Crimson Sparkle Of High Wind Wheels') e tagliente, a tratti ricorda John Prine, 'Bad Water' è un incalzante rock desertico con chitarre ficcanti e un testo che ben combacia, impresso a fuoco, su queste settimane di conflitti. E la finale 'Sweet Tennesse Nights' un country che oltre ad essere un'ode al Tennesse, alla bellezza della solitudine di campagna, sembra anche dipingere la carriera di Sampson, vissuta ai margini della musica che conta, osservatore da lontano di quello che capita giù in città ("scommetto che il centro di Nashville sta saltando, suonano alla Ole Opry House, e riesco a sentire le canzoni di tanto tempo fa, nate nel cuore del Sud, un cane randagio risale la mia via camminando" canta).

Ma a lui sembra importare poco, perché nella vita ha sempre inseguito il suo sogno e registrato la sua musica, proprio come qui, in modo quasi impulsivo, lasciando che anche asprezze e difetti raccontino qualcosa di lui. 



martedì 17 maggio 2022

RECENSIONE: THE ROLLING STONES (Live At El Mocambo 1977)

THE ROLLING STONES  Live At El Mocambo 1977 (Polydor, 2022)


tesori nascosti

Ascoltando Love You Live sembra palese: il vero divertimento  arriva sempre quando si posa la puntina sul lato C. "La Mocambo side" , registrata a Toronto, faceva portare a casa la partita e fare del doppio Love You Live un disco imperdibile. Anche se molti non sono mai stati d'accordo.

Quando venne pianificato il disco dal vivo che doveva contenere canzoni registrate nel corso del tour 1975/76 nelle grandi arene, quello a supporto di Black And Blue -in verità quasi del tutto ignorato per essere giustamente rivalutato in seguito - un po' tutti si accorsero che mancava qualcosa in mezzo a una scaletta comunque di qualità (Honky Tonk Women, Happy, Star Star, Tumbling Dice, It's Only Rock’n’roll, Jumping Jack Flash, Simpathy For The Devil...). 

Sicuramente mancava Keith Richards, impegnato a vivere tra arresti per droga e lutti che lasciarono il segno (la morte del piccolo figlio a causa di un virus). 

Quel qualcosa venne quindi deciso a tavolino: perché non programmare due serate segrete sotto il nome "The Cockroaches" in un piccolo locale con il pubblico alle calcagne  e vedere cosa ne esce fuori? I The Cockroaches avrebbero dovuto aprire per gli April Wine, invece-sorpresa!- successe il contrario.



Si parte tutti per il Canada e nonostante Keith Richards e Anita Pallenberg ce la misero tutta per far saltare la festa (i due vennero arrestati per spaccio appena misero piede sulla terra ferma "mi feci una pera in aereo e in qualche modo il cucchiaino finì nella tasca di Anita" raccontò Richards), la missione venne portata a termine: serviva un ritorno forte e deciso alle radici, al blues di Muddy Waters ('Mannish Boy'), Willie Dixon ('Little Red Rooster'), Big Maceo Mereiweather ('Worried Life Blues') e Bo Diddley ('Crackin'Up').

Una mossa alquanto controcorrente per combattere l'esplosione della scena punk. 

"Il 4 Marzo 1977, facemmo il primo dei due concerti a El Mocambo Club a Toronto. Il locale teneva solo qualche centinaio di persone, quindi era strapieno per entrambe le date. Suonammo alcuni pezzi che di solito non facciamo, Route 66, Little Red Rooster, Crackin'Up, Dance Little Sister e Worried About You, e finimmo per divertirci un sacco. Il pubblico ballava sui tavoli e stava in piedi sulle sedie, versandosi addosso vino e birra. Tutti si facevano le canne, anche se l'edificio era circondato di polizia, che manteneva l'ordine all'esterno. A Keith sembrava di essere tornato ai bei vecchi tempi, quando gli Stones avevano suonato per la prima volta al Crawdaddy", questo il racconto entusiasta di Ron Wood. Parole capaci di  immergere l'ascoltatore nell'atmosfera che si respirava nel club dal soffitto basso e palme sullo sfondo e che ora trova finalmente anche il lato più importante: la musica.

Si sale sopra al palco, si suona blues come ai vecchi tempi, qualche immancabile canzone del repertorio ('Let's Spend the Night Together', 'Jumpin' Jack Flash', 'Brown Sugar') e si registra. Ora, a distanza di quarantacinque anni l'intera serata del 5 Marzo e qualche estratto (tre) da quella del 4 vedono la luce ufficialmente.

Ecco così che anche Black And Blue ha il suo meritato spazio ('Hot Stuff', 'Hand of Fate', 'Melody', una straordinaria 'Fool To Cry') insieme a una 'Worried About You' che vedrà la luce solo anni dopo su Tattoo You.



E Ronnie Wood ha dannatamente ragione: la batteria di Charlie Watts ti entra nelle tempie, le tastiere di Billy Preston e Ian Stewart sono vive e pulsanti, le percussioni di Ollie Brown danno il ritmo, Bill Wyman fa la sua parte con diligente professionalità, le chitarre di Ronnie e Keith sferragliano che è un piacere, Mick è in forma smagliante, come sempre. All'uscita del Mocambo c'è confusione: qualcuno si dirige al parcheggio e non crede a quel che ha visto, altri si fermano fuori dal locale a farsi un'ultima birra, qualcuno si chiede se la serata è stata registrata. Il 23 Settembre del 1977 esce Love You Live ma di quelle serate contiene solamente quattro canzoni.

Chissà se qualcuno presente ai tempi, selezionato con una specie di concorso radiofonico, oggi ascolterà queste registrazioni vantandosi con un "io c'ero". E vederli in un ambiente così piccolo e raccolto non era cosa da tutti i giorni: osservare da vicino le smorfie di Watts, ammirare i passi di Mick di bianco vestito, scrutare gli accordi di Keith, muoversi con la zazzera di Ron, contemplare la serafica calma di Bill, seguire le dita sui tasti di Billy e Ian, scoprirel'imponente stazza di Ollie lì dietro a tutti.

Per tutti gli altri basta chiudere gli occhi e aprire le orecchie ed è un po' "come esserci stati".





sabato 7 maggio 2022

RECENSIONE: NEIL YOUNG (Citizen Kane Jr.Blues)

NEIL YOUNG  Citizen Kane Jr.Blues (The Bottom Line, New York City, May 16, 1974)  (Shakey Pictures Records, 1974/2022)



che sorpresa!

Visto che Neil Young ci marcia su e non ha intenzione di smettere, dovendo scegliere una sola delle tre uscite simultanee di bootleg ufficiali in commercio in questi giorni (ma sono anni che circolano in maniera non ufficiale) non ho avuto dubbi nel buttarmi su questo concerto "a sorpresa" del 16 Maggio 1974, visto che gli altri due battono ancora l'anno 1971.

Una foto sfocata e sgranata, Neil Young e la sua chitarra sono davanti alle poche centinaia di persone che popolano il Bottom Line, locale del Greenwich Village a Manhattan, New York, aperto solo due mesi primi. Quella sera prima di lui ha già suonato Ry Cooder, Neil era lì per il concerto dell'amico ma quando gli si presenta l'occasione di salire sopra al palco al termine di Cooder non si tira indietro. Erano le due di notte. Ha un sacco di nuove canzoni da far ascoltare, arrivano da un disco che aveva appena finito di registrare, pochi  le conoscono, alcune le aveva già suonate in pubblico ma evidentemente quell'atmosfera intima a tarda notte era propizia per suonarne quattro.

'Ambulance Blues', 'Revolution Blues', e le ancora inedite in pubblico 'On The Beach' e 'Motion Pictures' (che rimarrà l'unica esibizione live) andranno a comporre On The Beach che uscirà da lì a poco. Canzoni intimiste, quasi strazianti tanto da indurre Young a scusarsi con il pubblico, presumibilmente alticcio, per quanto erano tristi. 

"Nella mia mente è un ricordo confuso ma questo momento cattura davvero l'essenza di dove mi trovavo nel 1974. Due mesi dopo, è stato pubblicato l'album On the Beach…" ha detto recentemente.

Nel suo set, voce, chitarra e armonica, non concede nulla di Harvest, l'album che lo sdoganò al grande pubblico solo due anni prima. In una vecchia intervista dopo Harvest e il grande successo di 'Heart Of Gold' arriverà a dire:"spero non ci sia nessun singolo di successo nel mio prossimo disco". E così sarà.

Ma Neil Young fa di più: anticipa altre sue future mosse: oltre a On The Beach, ecco una 'Roll Another Number (For The Road)' che uscirà in Tonight's The Night con il pubblico partecipe e rumoroso, lo stesso pubblico che invece sghignazza e sorride ascoltando 'Long May You Run', saluto alla sua vecchia Pontiac del ’53 che intitolerà il disco in coppia con Stephen Stills.

Poi ecco 'Pushed It Over The End', ispirata al rapimento di Patti Hearst (figlia del magnate americano W. Randolph Hearst) che ai tempi era intitolata 'Citizen Kane Jr.Blues' e 'Pardon My Heart' che salterà fuori su Zuma. Uniche concessioni al passato sono 'Greenslevees', l'autobiografica 'Helpless' da Deja Vu, e la finale 'Dance Dance Dance' con il pubblico coinvolto e partecipe, riportando alla mente il fresco tour da cui verrà tratto Time Fades Away.

Tra colpi di tosse del pubblico, rumori di sottofondo, vociare indistinto, il concerto preso e ripulito da Young e Niko Bolas dalla cassetta registrata all'epoca da Simon Montgomery che già girava nel sottobosco è una delle testimonianze più sentite e veraci di quel periodo "scuro", tanto che a tratti sembra di stare lì davanti a lui, non certo a sghignazzare durante l'esecuzione di 'Long May You Run' come quelli intorno, ma ascoltando con la devozione di chi conosce già il radioso futuro.