sabato 17 febbraio 2024

RECENSIONE: BLACKBERRY SMOKE (Be Right Here)

BLACKBERRY SMOKE   Be Right Here (3 Legged Records, 2024)




continuità

"Divertiti finché puoi, sfrutta al massimo il tuo tempo, fai che conti... prima che ti scavino una buca", così Charlie Starr canta in 'Dig A Hole' , canzone d'apertura, dal passo decisamente funky, del loro ottavo disco in carriera e bisogna dare atto alla band della Georgia di aver sfruttato bene il tempo a disposizione, diventando a tutti gli effetti una delle band di punta per certi suoni tutti americani, andando ad intercettare quei posti vacanti, lasciati dai grandi gruppi southern degli anni settanta. E forse è pure un monito dopo tutte le poco felici vicende di salute che hanno colpito il batterista Brit Turner.

I Blackberry Smoke non sono dei fuoriclasse votati al verbo "sex, drug and rock’n’roll" ma onesti lavoratori del suono, tradizionalisti, che però a volte sanno superare i maestri: ai miei occhi e alle mie orecchie, ad esempio, il loro concerto all'Alcatraz nel Marzo del 2023 (tra l'altro nel video di 'Hammer And Nail' che esalta la vita on the road si possono vedere alcune immagini girate proprio a Milano) ha superato quello dei ben più noti Black Crowes (che presto risponderanno con il loro Happiness Bastard:staremo a vedere). Stesso luogo a dirrerenza di pochi mesi. Certo, non hanno e forse mai avranno le canzoni dei fratelli Robinson ma per suoni, attitudine e voglia di suonare per me non ci fu partita. Ok, nella musica non ci dovrebbero mai essere gare (vade retro Sanremo), questo per dire che anche questo nuovo album non entrerà negli annali della epica storia del southern rock ma si conferma l'ennesimo buon disco della band, il seguito ideale del precedente You Hear Georgia: un concentrato di southern rock, blues, rock’n’roll e ballad prodotto ancora una volta da Dave Cobb in quel di Nashville in modo assolutamente vintage e analogico, senza troppi trucchi da studio di registrazione.

Un disco che punta alla forma canzone come sempre: la delicata e acustica 'Azalea' che nel testo affronta la paternità, le chitarre spianate di Starr e Paul Jackson accendono l'elettricità di 'Like It Was Yesterday' e dell'honk tonk 'Don't Mind If I Do'. I grandi spazi disegnati in stile Allman Brothers durante 'Other Side Of The Light' rimangono uno dei migliori momenti del disco insieme allo scuro blues 'Watcha Know Good' scritta insieme a Brent Cobb e che pare uscire dal canzoniere di Tom Petty (il passo è quello di 'Mary Last Dance'), 'Little Bit Crazy' alterna alla perfezione il gospel iniziale (ecco le Black Bettys) e il rock'n'roll mentre la finale e romantica 'Barefoot Angel' conferma Starr come uno dei più rassicuranti musicisti americani degli ultimi vent'anni (non tocca l'alcol da quindici anni pure), uno che sa scrivere canzoni e che potrebbe anche correre in solitaria.

"Uno dei miei migliori amici ha detto che queste canzoni sembrano molto più allegre delle ultime, e io ho detto: 'Lo sono? Non lo so, forse è così, ma se lo sono, non era quello l'intento" ha raccontato in una recente intervista.

A questo punto dopo tutti questi dischi ( il mio preferito rimane sempre il vecchio The Whippoorwill del 2012) e dopo averli visti live un paio di volte forse è diventato inutile aspettarsi dai Blackberry Smoke quel coraggio di spingersi oltre, di lasciarsi andare, di sperimentare. Loro sono questi, onesti, confortanti, sempre piacevoli e Be Right Here li rappresenta più che bene. 





domenica 4 febbraio 2024

ANANDA MIDA live@Blah Blah, Torino, 3 Febbraio 2024


 

È sempre un piacere vedere i veneti Ananda Mida, collettivo messo in piedi dal co fondatore della GoDownRecords Max Ear che stasera siede dietro la batteria indossando una t shirt degli Mc5 in omaggio a Wayne Kramer scomparso in questi giorni. E si potrebbe partire proprio dalla rivoluzionaria band di Detroit per cercare di spiegare cosa suonino gli Ananda Mida: nei momenti più tirati e rock’n’roll si avverte quell'urgenza garage proto punk che ha fatto scuola. Ma non sono nulla di tutto questo o meglio sono anche questo. I veneti sanno giocare in molti campi spostandosi con disinvoltura dell'hard rock seventies allo stoner, dal blues desertico allungando spesso e volentieri dentro la psichedelia. Rallentamenti e ripartenze che donano dinamicità alle loro canzoni che spesso si trasformano in lunghe jam strumentali. La capacità di mutazione uno dei loro punti di forza. Proprio come succede  nei loro dischi: sul finire del 2023 è uscito Reconciler, il terzo e ultimo capitolo di una trilogia certamente ambiziosa ma perfettamente riuscita. Un plauso al giovane chitarrista Pietro, classe 1999, che ha sostituito Alessandro Tedesco  ma che sembra inserito alla perfezione tra i veterani Davide Bressan (basso) e Pablo Scolaro (chitarra).

E poi c'è il "tedesco" Conny Ochs, voce hard rock alla vecchia maniera nei momenti heavy e da crooner folk (nella sua carriera anche una collaborazione acustica con il mitico Wino) nei momenti meno tirati, uniti a una presenza scenica di alto livello. Se vi capita a tiro una loro data tra live in Italia e all'estero non fateveli sfuggire.




giovedì 1 febbraio 2024

RECENSIONE: KARA JACKSON (Why Does The Earth Give Us People To Love?)

 

KARA JACKSON  Why Does The Earth Give Us People To Love? (September, 2023)




poesie in musica

Troppo colpevolmente intenti a celebrare il passato con ricorrenze di dischi e artisti con almeno vent'anni sul groppone, io per primo, a volte ci passano davanti delle prelibate novità che ignoriamo o facciamo finta di non vedere per troppa pigrizia. Uscire dal proprio e rassicurante orto è sempre attività che in cambio richiede indietro un po' del tuo tempo e a volte le vecchie e rassicuranti scorciatoie sono meno dispendiose. O facciamo finta di non avere tempo per ascoltare per l'ennesima volta un disco che sappiamo a memoria.

 Io per primo ancora una volta. Kara Jackson no, è arrivata subito grazie al passaparola dei social e di chi, fortunatamente, vive anche nel presente. Grazie. Però lo ammetto: la copertina è arrivata prima di tutto. Kara Jackson è una figlia del sud degli States (i genitori sono originari della Georgia) cresciuta a Chicago, bella (ecco ancora la copertina!) ma soprattutto brava. Venuta su a pane, musica e poesia ("al liceo ero conosciuta come "la ragazza della poesia". C'è sempre stata questa distanza tra me e le persone" racconta) con una mamma insegnante e sindacalista, un papà accanito ascoltatore di jazz, un fratello appassionato di hip hop e le lezioni di piano prese in giovanisssima età. In casa giravano i dischi di Pete Seeger, Joni Mitchell, Nina Simone e Jim Croce.

"Vengo da gente del sud. Per me c'è qualcosa di veramente spirituale nella musica folk" ha detto in una recente intervista. Kara Jackson non ha fatto altro che unire tutti questi puntini (mica facile eh?) aggiungere la sua voce profonda e il suo presente con testi che indagano sulla retta che unisce il dolore all'amore con una narrazione poetica che la fa emergere pur senza far uso di facili ritornelli, totalmente assenti. 'Pawnshop' però ti cattura al primo ascolto. 

Nella title track narra  della sua migliore amica mancata nel 2016 a soli diciassette anni per un tumore. I giochi di parole e gli incastri poetici legano e slegano le canzoni dove lel relazioni umane vengono in continuazione sviscerate ('Therapy', 'Brain', 'Rat'). In 'Dickhead Blues' indaga con ironia su relazioni amorose con uomini che alle fine si sono rivelati di poco conto. Scava tra le pieghe dei rapporti, scruta tra i meandri della solitudine. 

Il suo è un folk che sa unire la classicità del racconto con una chitarra acustica (compare pure un banjo) alla modernità di inaspettate fughe costruite di cori, orchestrazioni d'archi e pianoforte, mantenendo sempre una linea delicata e gentile, eterea e senza tempo.

Insieme a lei una squadra formata da Kaina Castillo, Nnamdi Ogbannaya e Sen Morimoto, che si muove in perfetta, umana simbiosi. 

Uno dei migliori dischi di debutto di questi anni. Ho pure una convinzione: il secondo disco potrà riservare ulteriori sorprese.

"Stiamo solo aspettando il nostro turno, chiamiamolo vivere” canta. E allora sarà ancora più bello aspettare ascoltando questo disco, quasi magico e ammaliante.