venerdì 30 giugno 2023

RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS (Stories From A Rock’n’Roll Heart)

LUCINDA WILLIAMS  Stories From A Rock’n’Roll Heart (Highway 20 Records, 2023)



cuore da combattente

Ho un fotogramma che penso mi porterò dietro per sempre: Lucinda Williams che entra in scena  durante il suo concerto dello scorso 10 Gennaio al Teatro Gaber di Milano, i musicisti che attaccano 'Blessed' e lei dopo poche strofe si ferma, sofferente. Un buco di memoria che unito ai lasciti dell'ictus (precaria deambulazione e l'impossibilità di imbracciare una chitarra) le hanno fatto passare almeno quindici minuti di calata negli inferi. Poi un miracolo sembrò impossessarsi della scena, la sua voce tornò quella di sempre, profonda e graffiante e il concerto finì quasi in gloria con Lucinda che lasciò il palco mentre con le dita faceva la "v" di vittoria. Il trionfo della vita e della perseveranza. Uno dei concerti più surreali e toccanti che abbia mai visto.

Questo nuovo disco che fa seguito ad una sfilza di dischi di cover, tanto inutili per la sua carriera quanto utili per tenerla in vita e all'uscita della recente autobiografia Don’t Tell Anybody the Secrets I Told You, è un po' la testimonianza di questa vittoria e di quelle dita alzate: un disco che l'ha vista rimettersi in gioco rivedendo completamente il suo modo di scrivere  e di approcciarsi alle canzoni. Si è fatta aiutare molto nella stesura dei pezzi: dal marito  Tom Overby, da  Travis Stephens e dall'amico Jesse Malin, la cui sorte proprio in questi giorni sembra aver giocato un brutto scherzo pure a lui (forza Jesse!).

"La malattia mi ha aperto alla collaborazione con altre persone, il che è stato piuttosto divertente per me. Non lo  avevo mai fatto così assiduamente prima".

Un disco, prodotto da una vecchia conoscenza come Ray Kennedy (già in Car Wheels on a Gravel Road) che trascina con sé i sentimenti, che viaggia tra i luoghi della memoria, della gioventù, che guarda in faccia i momenti bui che gli ultimi anni hanno affievolito la sua luce ma che guarda anche al futuro che resta da combattente come sembra rivendicare nel bel blues 'Let's Get the Band Back Together', in 'Never Gonna Fade Away' e nella ballata 'Where The Song Will Find Me' con la presenza degli archi. Di rock&roll c'è n'è tanto, anche nelle storie raccontate.

'Hum' s Liquor' è una dedica a Bob Stinson (tutto.il disco è a lui dedicato) a cui partecipa il fratello Tommy, una storia raccolta dal marito Tom Overby che quando abitava a Minneapolis era solito vedere Bob Stinson, chitarrista dei Replacements fare incetta di alcolici giù nel negozio di liquori.

'Stolen Moments' è una dedica on the road a Tom Petty ("amo le sue canzoni") che la portò in tour con sé quando era ancora una sconosciuta, e  la presenza alla batteria di Steve Ferrone, ultimo batterista degli Heartbreakers chiude il cerchio.

Lucinda si circonda anche di tanti amici: nei suoni urbani del classic rock 'New York Come Back' e in 'Rock'n'roll Heart' partecipano Bruce Springsteen e Patti Scialfa ("da anni sognavo di collaborare con loro" dice Lucinda), Margo Price canta in altri due brani tra cui la corale 'This Is Not My Town' e Angel Olsen partecipa nel country di 'Jukebox', un' ode a ai luoghi che l'hanno vista crescere.

Stories From A Rock’n’Roll Heart è un disco importante, salvifico, non tanto per quello che aggiungerà alla sua carriera quanto per il segnale ben chiaro: Lucinda Williams è ancora qui con noi, forte, combattiva, senza paura di guardare in faccia il dolore e la morte e con tante canzoni ancora da scrivere. Lei stessa dice di averne già da parte per un prossimo album. Alziamo tutti le dita a V.





giovedì 29 giugno 2023

RECENSIONE: GOV'T MULE (Peace...Like A River)

GOV'T MULE   Peace...Like A River (Fantasy Records, 2023)


un fiume in piena 

Ricordate la strofa "si era sempre fatto uno per volta, ah? E allora... e allora a me mi piace due per volta” dentro alla canzone ‘Allora, Avete Capito o No?’ contenuta nel disco  

Uffà!Uffà di Edoardo Bennato? Una frase sibillina che anticipava l'uscita di un altro disco quasi in contemporanea con il primo, sarà  poi Sono Solo Canzonette. Uno scherzo di Bennato: due dischi completamente diversi ma con canzoni registrate nelle stesse sedute di registrazione.

Il nuovo disco dei Gov't Mule sembra seguire la stessa logica, le dodici canzoni (che diventano diciassette nella versione deluxe) sono state registrate al  Power Station New England a Waterford nel Connecticut durante gli stessi giorni che hanno portato al precedente Heavy Load Blues uscito nel 2021. 

"Ma se facessimo due dischi contemporaneamente?". Non è  più Bennato, ma questa è la richiesta di Warren Haynes ai suoi compagni di band (nel frattempo il basso è passato dalle mani di Jorgen Carsson a quelle di Kevin Scott) quando si accorse che la lunga pausa dovuta alla pandemia gli aveva fatto accumulare una valanga di nuove canzoni. Se Heavy Load Blues era il disco blues, costruito metà con cover e metà con originali registrato durante le ore notturne, Peace...Like A River è un disco di soli originali che ripercorre un po' i suoni di tutta la loro carriera e che guarda impetuoso ai seventies.

"Quando abbiamo trovato lo studio Power Station New England, ci siamo preparati per Peace...Like a River nella stanza grande e per Heavy Load Blues nella stanza piccola. Andavamo tutti i giorni verso mezzogiorno e lavoravamo alle canzoni di Peace…Like a River fino alle 21:00 circa, quindi facevamo una pausa per la cena e poi suonavamo blues per il resto della notte nella piccola stanza accanto. Questo è quello che abbiamo fatto per diverse settimane, questo era il nostro programma ed è stato un ottimo modo per combattere il blocco" racconta oggi Haynes.

Un disco vario, ambizioso come sempre, che sa abbracciare e a suo modo ampliare la carriera: dalle variazioni acustiche elettriche dell'apertura 'Same As It Ever Was' ("un pezzo espansivo. Va in tante direzioni diverse" spiega Haynes) al torrido blues di 'Shake Our Way Out' con la presenza di Billy Gibbons alla voce, si aprono alle lunghe jam sempre di casa in 'Made My Peace' la più lunga con i suoi nove minuti dove la band si immerge in cangianti atmosfere progressive dai toni pinkfloydiani (amore mai nascosto), il southern rock di 'Head Full Of Thunder' e della finale ballata 'Gone Too Long' dove si ricongiungono idealmente alla Allman Brothers Band, il dichiarato amore per le sonorità dub reggae nella liquida e sfuggente 'The River  Only Flows One Way con la voce di Billy Bob Thornton. Mettono sul piatto tutta la loto bravura in canzoni come 'After The Storm' che resuscita lo spirito dei Doors e Jim Morrison e nel  soul di 'Just Across The River' accentuato dalla voce di Celisse. 

Abbracciano il viaggio spirituale, le perdite ('Made My Peace' è dedicata al padre di Haynes), citano Martin Luther King e il suo sogno con le atmosfere funky jazzate di 'Dreaming Out Loud' con la presenza di Ivan Neville e Ruthie Foster alle voci, intercettato la politica, il difficile abisso delle dipendenze nella straziante 'Your Only Friend' condotta in acustico con l'aggiunta di un arrangiamento d'archi, una delle migliori canzoni del disco.

Ho letto un po' di tutto su questo album: chi dice sia sempre la stessa solfa, che ormai non hanno più nulla da dire, io invece lo trovo uno dei più eclettici e vari della loro carriera, uno dei più divertenti certamente, con canzoni che sanno arrivare con più facilità nonostante arrangiamenti complessi e i minutaggi spesso elevati. C'è libertà di scrittura e quella insana e sempre presente voglia di oltrepassare gli steccati dei generi musicali. Se Heavy Load Blues era la notte, questo rappresenta il pieno giorno.Sono comunque e sempre i Gov't Mule, un nome una garanzia.





domenica 25 giugno 2023

RECENSIONE: THERAPY? (Hard Cold Fire)

 

THERAPY?  Hard Cold Fire (Marshall Records, 2023)



gli alternativi all'alternativo

Ricordo ancora la prima volta che ascoltai i Therapy?: Screamager ("il luogo in cui i Metallica incontrano gli Undertones" come la definisce Andy Cairns) usciva fiera e baldanzosa dalle casse,  in filodiffusione al Forum di Assago durante il pre concerto dei Megadeth periodo Youthanasia. "Questi potrebbero piacermi" pensai e subito chiesi a qualche essere umano lì presente di chi fosse quella canzone. Oggi potrebbe bastare un clic con Shazam. Conosciuti di nome, fino a quel momento i Therapy? per me erano degli sconosciuti di fatto anche se prima del grande ed effimero successo commerciale di Troublegum (1994) e del successivo Infernal Love (1995) avevano già all'attivo tre album. Da lì in avanti non li abbandonai più e mi spiace che oggi a trentacinque anni dalla loro nascita ci sia qualcuno che non si ricordi più di loro o peggio ancora pensi non esistano più da tempo.E allora mi spiace ancor di più che non ci sia qualcuno a chiedermi "chi sono questi?" come io feci all'epoca. Ma forse  usano Shazam e non ce n'è bisogno, giustamente. Sono ottimista.

Andy Cairns e soci, il compagno di mille avventure Michael McKeegan (basso) e il batterista Neil Cooper (nella band da ormai vent'anni) sono tra noi, continuano a pubblicare dischi, girano in tour e lottano con la stessa perseveranza e coerenza che hanno messo nei precedenti quindici dischi. 

Hard Cold Fire, prodotto da Chris Sheldon, lo stesso di Troublegum, non fa difetto riproponendo tutto il loro immaginario musicale costruito su noise rock, punk, melodia pop, metal. È sempre stato difficile inquadrarli, catalogarli sotto qualche genere musicale. Alternativi come si usava nei novanta può andare sempre bene? Quando capisci che entrano bene dentro a un genere con una canzone dopo fuggono da un'altra parte. "Non riesco a pensare a niente di peggio che essere bloccato in un'epoca o in un genere" spiega Cairns in una recente intervista.

La melodia di 'Poundland Of Hope And Glory' e della finale 'Days Kollaps', la pesantezza di 'To Disappear', una 'Two Wounded Animals' che mischia bene melodie e riff.

Il carattere ibrido della loro proposta è  stato la loro sfortuna ma anche la loro salvezza. Tanti compagni di viaggio degli anni novanta sono spariti, loro sono ancora qui, credono a quel che fanno e dopo il successo commerciale si sono tuffati a sperimentare qualunque cosa facesse loro piacere. Suicide Pact-You First (1999) e Never Apologise Never Explain (2004) sono dischi complessi e coraggiosi per nulla accomodanti, Shameless (2001) e High Anxiety (2003) erano delle bombe melodiche: tutti insieme sono passati inosservati.

I testi di Cairns cavalcano il presente e si addentrano ancora bene dentro all'animo umano, alle sue paure, alle speranze (il singolo 'Joy' cita l'autore irlandese Samuel Beckett) all'ottimismo di andare avanti, nonostante tutto. In fondo le canzoni hanno preso vita durante il lockdown.

Loro sono pronti, voi seguiteli. Peccato per la copertina che non è il massimo mentre il titolo lo è certamente, preso da una citazione del poeta irlandese Louis MacNeice che descrive la psiche delle persone del nord dell'Irlanda, all'interno si legge: "il fuoco duro e freddo del nordico - congelato nel suo sangue dal fuoco nel suo Basalto - brilla da dietro il Mica degli occhi". Avanti così.




domenica 18 giugno 2023

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP (Orpheus Descending)

 

JOHN MELLENCAMP  Orpheus Descending (Republic Records / Universal Music, 2023)



un'altra sigaretta

Autodichiarandosi un eterno outsider in una recente intervista  John Mellencamp continua a smarcarsi da un certo mainstream e sembra prolungare all'infinito la sua corsa ai margini. Lo fa con un nuovo disco che esce a poco più di un anno dal precedente Strictly A One-Eyed Jack che vedeva l'amico Bruce Springsteen presente in tre canzoni. 

La voce porta con sé tutti i segni del tempo e delle tante sigarette fumate ("ho iniziato a dieci anni" dice) ma forse sta proprio lì anche in quella voce catramosa che da ancora più peso alle storie il segreto di una longevità artistica livellata nei piani alti del rock americano con veramente poche cadute di stile in carriera.

Ma mentre l'amico del New Jersey in questo periodo della sua vita sembra concentrato su se stesso mettendo a nudo tutta la fragilità degli anni che passano, John Mellencamp (71, due anni in meno) a suo modo continua a gettare l'occhio fuori dalla finestra di casa e dal finestrino dell'automobile anche se non mancano canzoni intimiste e autoconfessionali come la finale 'Backbone' dove canta " così cercherò di essere migliore con il tempo che mi rimane" e quella spina dorsale sembra far riferimento all'operazione alla spina bifida con il quale è nato e alla delicata operazione a cui è stato sottoposto da bambino, erano in quattro con quel problema, tre sono morti, lui è ancora qui "sono il ragazzo più fortunato del mondo" ha detto.

Quel che vede  lo piazza subito a inizio disco con un uno-due micidiale: 'Hey God', un folk blues con una bella slide National (presente spesso nell'album e quasi protagonista) che si concentra sulle tante stragi avvenute nelle scuole americane per mano di armi da fuoco mentre in  'The Eyes Of Portland' si ricorda dei tanti figli dimenticati della sua terra costretti a un'esistenza da senzatetto.

Un disco prevalentemente acustico, dai tonicupi e grevi di belle chitarre, violino e ricami d'Hammond: in 'The So-Called Free' fa capolino una certa disillusione in lontananza, in 'The Kindness Of Lovers' dove il teso violino di Lisa Germano, un bel ritorno in un disco che richiama le atmosfere di Big Daddy) ricama su un dialogo tra amanti mentre dio  interviene a dire la sua: "mettere l'opinione di un uomo contro quella di un altro è solo uno scherzo, E guarda il casino che avete combinato qui. Un giorno ho paura che perderai la speranza".

Se dopo una vita passata a fare quello che hanno deciso altri hai un asso nella manica giocalo all'ultimo suggerisce in 'One More Trick', così  come in 'Lightning And Luck'  canta "quindi usa quello che hai, per ottenere quello che vuoi" cercando di dare speranza perché un mondo perfetto da qualche parte esiste ancora ('Perfect World').

Tre canzoni sembrano smarcarsi musicalmente  dal resto del disco: 'Amen', un esercizio waitsiano al pianoforte, con la presenza di una delle poche chitarre elettriche, dove con velata rassegnazione ha veramente poco da dire: "puoi dare la colpa al tempo, O semplicemente al giorno, I tempi difficili sono qui per restare...Amen è tutto ciò che abbiamo da dire", e 'Orpheus Descending' un latin funky che sembra uscito dalla penna di Stephen Stills e dove si scappa in cerca di salvezza, sarà troppo tardi o siamo ancora in tempo? "L' oscurità ci ha trovato, con il sangue fino alle nostre ginocchia".

"Il giorno del giudizio" segna anche le liriche di 'Understand Reverence' altro numero alla Tom Waits, solo pianoforte e violino, atmosfere notturne che la elevano tra i picchi di un disco, personale ma sociale, registrato e prodotto da lui stesso nel suo Belmont Mall Studio nell'Indiana con l'aiuto dei fidati Andy York, Lisa Germano, Dan Clark, Troye Kinnett.

Pochi, veramente pochi come lui: una integrità artistica da invidiare e insegnare.





domenica 11 giugno 2023

RECENSIONE: BEN HARPER (Wide Open Light)

BEN HARPER  Wide Open Light (Chrysalis Records, 2023)



pensieri in solitaria

Era un bel disco Bloodline Maintenance, quasi ostico, tanto personale (dedicato al padre e alla ancora fresca ferita per la perdita dell'amico Juan Nelson) quanto combattivo in alcune stoccate inflitte alla politica USA. A un solo anno di distanza, a confermare un'ispirazione alta e prolifica , Ben Harper ne confeziona un fratello per certi versi ancora più sorprendente. Un fratello completamente acustico, spogliato di quasi tutti gli strumenti presenti nel precedente: ci rimangono Ben Harper uomo, le sue storie molto intime e personali raccolte nel tempo e legate l'una con l'altra, una chitarra acustica, qualche amico ospite (Jack Johnson in 'Yard Sale', Piers Faccini a ricamare di chitarra nella title track, Shelby Lynne ai cori in '8 Minutes') e due strumentali ('Heart And Crown' e 'Thank You Pat Brayer') ad aprire e chiudere il discorso.

Folk ridotto all'essenziale con una lap steel protagonista a rievocare quei fantasmi che ci accompagnano per tutta la vita, in  'Giving Ghosts', registrata live in Australia, dove canta "ogni giorno assomiglio un po' di più a mio padre e ogni giorno assomiglio meno a me", acquerelli soffici come un abbraccio che invitano a vivere il presente ( 'Masterpiece' cantata con una sensibilità cara a Cat Stevens). 

Wide Open Light cammina con delicatezza sui generi, ci parla di amore in 'Love After Love' (canzone più ricca di strumenti) dove l'amore è  visto "come l'ultima risorsa rinnovabile" ma anche di abbandoni (in 'Yard Sale' si chiede se è troppo tardi per il "sesso d'addio"), del tempo come prezioso alleato (il valzer folkie che sfocia nel gospel 'One More Change'), sembra pure citare Bob Dylan periodo New Morning in 'Growing Growing Gone', e poi ci sorprende con una jazzata 'Trying Not To Fall In Love With You' condotta in solitaria al pianoforte, canzone folle da piano a tarda notte quando i freni inibitori sono completamente fuori uso, tra Tom Waits e Randy Newman. 

Un riflessivo ritorno alla semplicità  delle origini, un dialogo soffuso e intimo con se stessi, : "c'è stato un tempo in cui gli album non avevano bisogno di una storia o di una favola. Quando bastavano le canzoni". E qui dentro di canzoni ce ne sono di buone. 





sabato 3 giugno 2023

RECENSIONE: RIVAL SONS (Darkfighter)

RIVAL SONS  Darkfighter (A Low Country Sound/Atlantic, 2023)



conferme, senza bisogno

Tra le tante band devote all'hard rock revival dei seventies apparse sulla scena negli ultimi quindici anni i californiani Rival Sons non li ho mai messi in discussione. Li ho adottati fin dal primo disco e ora che sono arrivati al traguardo del settimo posso dire con tutta tranquillità che non hanno mai sbagliato un colpo. La conferma mi era già arrivata durante un loro concerto, uno degli ultimi visti prima che il lockdown chiudesse le porte in faccia a tutti  per un po'. Ma è proprio la pandemia ad aver dato lo spunto al tema che lega le nuove otto tracce di questo Darkfighter. Perché per quanto oggi ci sembrino lontani, quei giorni continuano a lasciare strascichi, ricordi e purtroppo anche malanni ben camuffati.

"Getta un'ombra, parla di tutta la divisione che abbiamo attraversato negli ultimi anni, è emozionante, molto personale" hanno raccontato del disco.

Un disco dalla tematiche scure legate all'isolamento che anticipa di pochi mesi una seconda uscita dall'umore più disteso e positivo: si intitolerà Lightbringer.

Ecco cosa ha detto recentemente il chitarrista Scott Holiday in un' intervista:" ci piace fare album, non singoli, e penso che questo ci renda un po' diversi – nel genere in cui ci troviamo, siamo una delle poche band che vogliono fare album. È il modo della vecchia scuola. Metti il ​​disco, siediti, prendi il vinile, sali sulla giostra. Al giorno d'oggi è troppo facile scegliere semplicemente le canzoni e inserirle in una playlist".

Il pregio che distingue i Rival Sons da tanti altri gruppi che indirizzano lo sguardo al passato è la capacità di tenere l'altro piede nel presente con piccole ma importanti impronte e arrangiamenti perfetti, basti ascoltare l'iniziale 'Mirrors', un concentrato di vecchio blues nero, Led Zeppelin e Free ma con il timbro 2023 impresso sopra.

Prodotto ancora una volta da Dave Cobb, Darkfighter presenta una freschezza tutto sommato invariata rispetto agli altri dischi: 'Nobody Wants To Die', la più rock’n’roll in scaletta, ha tutte le caratteristiche di quei brani epici capaci di cavalcare le epoche. E il bel video che la accompagna fa il resto.

Jay Buchanan poi è uno di quei cantanti che non ha troppo bisogno di sforzarsi per arrivare là dove i grandi vocalist degli anni settanta arrivavano. Non scimmiotta nessun ed è carismatico il giusto per lasciare sempre un segno del suo passaggio così come la chitarra di Scott Holiday che si destreggia tra hard, blues e acustica, moderno e passato.

Se 'Bird In The Hand' si distingue e pare più di un omaggio ai Queens Of The Stone Age con i quali hanno condiviso il palco in passato, con quel riff circolare che pare uscire dalla chitarra di Josh Homme e 'Bright Light' è un lampo di freschezza da sterminati spazi aperti, quello che si nota maggiormente nelle restanti canzoni è quella voglia di costruire composizioni cangianti ('Rapture', 'Guillotine', 'Horses Breath', 'Darkside') dove elettricità e acustico, scosse e calma apparente si susseguono creando crescendo emozionali che sanno tenerti incollato al disco almeno fino all'uscita quasi imminente del prossimo. Una grande band.