domenica 29 agosto 2021

RECENSIONE: JAMES McMURTRY (The Horses And The Hounds)

JAMES McMURTRY  
 The Horses And The Hounds (2021)
 




occhi e penna
 
È bello sapere che in tempi dove le notizie viaggiano veloci tra social e dispacci stampa ci siano ancora cantautori che prestano meticolosa attenzione a ciò che scrivono. Alle parole. Alle storie. Al messaggio. I testi di James McMurtry stanno in piedi anche scritti su un foglio senza nulla intorno. Sembrano uscire da quel passato quando fermarsi più del solito ad osservare persone e luoghi era normale e non certo un privilegio concesso a pochi. McMurtry è sempre stato un attento osservatore. Un privilegiato. Certo, buon sangue non mente, l' eredità del padre, il romanziere Larry McMurtry, scomparso a Marzo è sempre lì, dietro la pagina. È bello perdersi dentro a queste dieci narrazioni ancora capaci di avvolgerti come caldi abbracci anche quando sceglie di far arrivare il testo attraverso un simil rap nel (simil) funky di 'Ft. Walton Wake-up Call'. Spesso si legge che gli artisti superati gli "anta" perdano gran parte della loro ispirazione ma ci sono sempre le eccezioni: bisogna fare sempre i conti con il quasi sessantenne James Mcmurtry che oltre a metterci le parole questa volta avvolge quasi tutto intorno a un rock di chiaro stampo americano costruito su chitarre elettriche ('The Horses And The Hounds' in testa), vibrante a tratti tagliente (lo stesso Mcmurtry sostiene che in tutto il disco aleggia lo spirito di Warren Zevon) tenuto in piedi da musicisti di primissimo piano come i batteristi Kenny Aronoff e Stan Lynch, la chitarra di Charlie Sexton e poi quella di David Grissom che con McMurtry suonò nei primissimi dischi. A proposito: c'è anche Ross Hogarth, il vecchio produttore di quei dischi. Un suono certamente diverso da quello che ci presentò il texano in Italia durante la sua prima calata nel nostro paese, anno 2015, nei panni del folksinger solitario a presentare Complicated Game l'ultimo disco uscito sei anni fa. Questa volta l'inesorabile passare del tempo si intrufola spesso tra le pieghe dei testi, tra perdite ('Decent Man'), quadri di vita famigliare e di coppia (la contagiosa 'What' s The Matter'), tra i puntini che uniscono guerre dimenticate e militari ('Operation Never Mind'): l'iniziale 'Canola Fields' è un lungo viaggio nostalgico e parallelo tra strade, paesaggi e vita che parte lontano per arrivare al presente. C'è un filo di velata nostalgia che pervade le canzoni (penso al violoncello che accompagna la solitudine di 'Jackie'), ai suoni di frontiera con la fisarmonica che avvolgono 'Vaquero' cantata metà in inglese e metà in spagnolo. John Mellencamp ai tempi del primo album di McMurtry uscito nel 1989 e da lui tenuto a battesimo, disse che McMurtry scrive come se avesse già vissuto una vita. Più di trent'anni dopo una buona parte di vita è passata veramente ma la sua scrittura non ha perso in lucentezza tanto che The Horses And The Hounds si affianca ai suoi migliori album di sempre.






lunedì 23 agosto 2021

RECENSIONE: SON VOLT (Electro Melodier)

SON VOLT   Electro Melodier (Thirty Tigers, 2021)



tra pubblico e privato 

Nemmeno il tempo di domare per bene i fantasmi di Woody Guthrie che si aggiravano nel precedente Union uscito solo due anni fa, un disco dal deciso carattere folk, di denuncia, politico, che voleva fare da megafono ai problemi dell'amata terra, che i fantasmi, molto più terreni della pandemia costringono Jay Farrar e soci, come tutto il mondo musicale, a un forzato stop. Tanto tempo da dedicare alla meditazione, per scrivere nuove canzoni, ritrovarsi come i tempi impongono e provare. "Ci siamo ritrovati insieme, io e i ragazzi della sezione ritmica in uno studio qui a St Louis con le maschere e facendo molte registrazioni. Poi Mark Spencer, che ha il suo studio a New York, ha aggiunto le sue parti da lì e ho pensato che fosse un bel approccio equilibrato e misto, credo". Ecco uscire canzoni come il country rock  'These Are The Times' (il titolo dice tutto) e la morbida 'Sweet Refrain' dove sono scanditi i giorni della pandemia e quel "un altro eroe se n'è andato" non è altro che il nostro caro John Prine. 

Quello che ne è uscito è uno dei dischi più equilibrati della loro carriera, o almeno il migliore dell'ultima fase.I Son Volt tagliano il traguardo dei trent'anni e il nome di Jay Farrar è scolpito nella roccia dei migliori songwriter americani (fin dai tempi degli Uncle Tupelo) e lo si capisce dal suo continuo entrare ed uscire da temi pubblici e privati. A una 'The Globe' ispirata dall'uccisione di George Floyd e il movimento Black Lives Matter risponde una 'Diamonds And Cigarettes' (con la voce ospite di Laura Cantrell) dedicata alla moglie e al loro matrimonio lungo 25 anni. A una 'Livin In The USA' che lo stesso Farrar dice essere figlia diretta di canzoni come 'Born In The USA' e 'Rockin In The Free World' di voi sapete chi, inni ai tempi mal interpretati, ma qui il grido è più pacato e folk, risponde una decisa ed elettrica 'Arkey Blue', un miscuglio di pensieri su viaggi personali e altri rubati da un discorso di Papa Francesco.

Piacciono anche il lento valzer di 'Lucky Ones' tra R&B e country, lo spoglio blues di  'War On Misery' che Farrar dice essere ispirata da Lightnin' Hopkins, l'atipicità di quel avanzare quasi hard, di stampo Led Zeppelin di 'Someday Is Now', il lento e crepuscolare country "on the road" di 'The Lee e On Down', sulle tracce dei Cherokee. Le canzoni sono tante e pur viaggiando tra toni malinconici e profondi  non ci si annoia mai e quel titolo preso da due vecchi amplificatori degli anni '40 e ' 50 sembrano rappresentare bene il carattere di queste 14 canzoni: "Electro" perché i Son Volt rispetto al recente passato suonano più elettrici e muscolosi, "Melodier" perché la melodia di fondo è sempre presente e fa da buon collante.







lunedì 16 agosto 2021

RECENSIONE: WILLIE NILE (The Day The Earth Stood Still)

 

WILLIE NILE  The Day The Earth Stood Still (River House Records, 2021)


anni duri

I dischi di Willie Nile sono diventati come i dischi dei Ramones. Quando uscivano sapevi già cosa trovarci, ma c'era sempre quel qualcosa di attraente che ti convinceva per portartelo ancora una volta a casa. A volte bastava la copertina per  goderne comunque. Non è di certo una critica ma un complimento e un dato di fatto. E poi a Willie piacerebbe un sacco essere accomunato ai suoi amici, concittadini newyorchesi: ascoltate 'Off My Dedication' da questo suo nuovo album (il quattordicesimo in carriera) e ditemi se non ci starebbe bene dentro a End Of The Century? 

The Day The Earth Stood Still come tanti dischi usciti in questi mesi è figlio del lockdown (il secondo per Willie dopo New York At Night dell'anno scorso) e se negli ultimi quindici anni Willie è stato discograficamente prolifico all'inverosimile, figuriamoci se in un periodo senza altri impegni e concerti in mezzo poteva starsene senza penna, taccuino e occhi curiosi seduto in un dinner o camminando per le strade. Lo ha raccontato bene in questi mesi come è nato il titolo dell'album: da una foto che lui stesso scattò tra le vie deserte di New York all'ora di punta. Vie sempre trafficate di auto e gente che all'improvviso divennero il fotogramma di un film di fantascienza e proprio quel film degli anni 50 ha dato il titolo all'album e alla canzone che apre l'album in modo energico, alla sua maniera. 

Le canzoni di Nile sono le stesse di sempre, riflettono il mondo che gli gira intorno, per questo poi sono sempre uguali ma diverse. Noi non siamo più quelli del 1980, il mondo lì fuori, con o senza pandemia è cambiato, a volte in meglio, spesso in peggio, ma tutte le canzoni hanno sempre quel retrogusto di speranza e non è un caso che l'album si chiuda con una canzone come 'Way Of Heart'. 

"Le mie canzoni riflettono il mondo che vedo intorno a me, in cui mi imbatto in qualsiasi tipo di giorno o ora" ha detto Willie. Allora ecco 'The Justice Bell' dedicata all'attivista per i diritti civili John Lewis, ballata che si apre al pianoforte per poi crescere nel coro, oppure una combattente e politica 'Blood On Your Hands' cantata insieme all' amico Steve Earle, uno che di battaglie se ne intende. "È una grande, grande, icona americana. Un grande songwriter, non si tira indietro mai" dice. Come non essere d'accordo? 

Ci sono le inconfondibili chitarre di sempre nell'incedere epico di 'Sanctuary' e nel rock'n'roll ironico ma trascinante di 'Where There's A Willie There's A Way'. La sezione ritmica pulsante guidata dal basso del fedele Johnny Pisano nelle andature funky di 'Expect Change' e di 'Time To Be Great'. La melodia tutta americana nel country folk di 'I Don' t Remember You' e della ballata 'I Will Stand'. 

Un disco dai tratti urbani, come sempre, anche se questa volta i marciapiedi sono deserti, le strade silenziose e quell'artista di strada ritratto dalla foto di Cristina Arrigoni  in copertina spera che presto tutto ritorni alla normalità di sempre (la gente in qualche modo lo tiene in vita) che non sarà perfetta ma almeno più conciliante di questi mesi strani, violenti e divisivi, alla faccia di chi diceva "ne usciremo migliori".





mercoledì 11 agosto 2021

RECENSIONE: VELVET INSANE (Rock'n'Roll Glitter Suit)

VELVET INSANE   Rock'n'roll Glitter Suit (Wild Kingdom, 2021)



la continuità scandinava

Se siete in cerca di rock'n'roll, divertente, sguaiato, melodico e senza fronzoli puntare il dito sicuri sulla Svezia non delude mai. I Velvet Insane tagliano il traguardo del secondo disco con la disinvoltura dei fuoriclasse del genere aiutati da un amore incondizionato verso lo scan rock (come altrimenti?), il glam seventies, lo street rock, il power pop a cui sanno aggiungere almeno due dita, sporche il giusto, di sana personalità. L'accensione del motore dell'iniziale 'Driving Down The Mountain' ci trasporta direttamente indietro ai seventies, con un pianoforte battente rock'n'roll e tutta la leggerezza necessaria per far volare la canzone sotto i tre minuti. Nemmeno il tempo di togliere le chiavi dal cruscotto che 'Backstreet Liberace' parte decisa, si viaggia sulla stessa frequenza ma questa volta a ribadire una certa continuità con la scena svedese ecco apparire ospiti di peso come Nicke Anderson (Hellacopters) e Dregen (Backyard Babies). 

"Non credo che oggi sia possibile suonare rock'n'roll in Scandinavia ignorando la carriera di gruppi come Hellacopters e Backyard Babies" dice il chitarrista Jesper Lindgren

La presentazione è stata fatta. Ma continuando lungo i 38 minuti (per undici canzoni) non mancano una certa varietà e le sorprese che citano e passano dai T. Rex agli Slade, dai DAD ai Beatles, dagli Hanoi Rocks agli Stones, dai Faces ai Cheap Trick: 'Midnight Sunshine Serenade' è una ballata  crepuscolare alla vecchia maniera, poco meno di tre minuti e il gioco è fatto, 'Space Age DJ'  un boogie da tarda notte, di quelli che non passano mai di moda finché ci si diverte, 'Sailing On A Thunderstorm' e la conclusiva 'You' re The Revolution' sono puro classic rock che potrebbero essere state scritte in qualunque anno degli ultimi cinquant'anni, mentre la quieta 'Sound Of Sirens' strizza l'occhio ai 60 e al brit pop dei fratelli Gallagher, accompagnato da un video esplicito sulle influenze del trio svedese (Jesper Lindgren, Jonas Erikson, Ludving Andersson) "con il video vogliamo celebrare da dove veniamo: gli anni '70. Kiss, ABBA, Slade e il glam rock/pop in generale hanno significato molto per noi nella nostra educazione musicale. Influenze degli anni '70 nelle immagini e nella musica ma con il suono di oggi.” 

Ecco i Velvet Insane sono questo. Rock'n'roll e nulla di più, nulla di meno. A volte può bastare, no?




venerdì 6 agosto 2021

RECENSIONE: LOS LOBOS (Native Sons)

LOS LOBOS  Native Sons (New West Records, 2021)



greetings from LA

Ecco servito il disco dell'estate. Nulla di nuovo sotto il caldo sole della corazzata Los Lobos. Anche loro si accodano ai tanti dischi di cover usciti quest'anno: alcuni belli, altri utili come la grandine di questi giorni dalle nostre parti. La differenza è che qui si balla e si suda meglio che altrove, le canzoni sono registrate bene e la varietà musicale sembra per una volta vincente e appropriata. Decidono di omaggiare i musicisti e la città di Los Angeles. Radici e gratificazione viaggiano sullo stesso pedalò in mare o se volete sfrecciano sullo stesso monopattino nei marciapiedi del lungomare di Venice Beach. Dimostrazione di quante anime musicali la band dei lupi è in grado di indossare, sempre comodamente senza mai fare brutte figure. Gli abiti anche stropicciati bisogna saperli indossare

Il divertimento e l'impegno, la gioia e il dolore sono sempre state componenti di casa.

Che si tratti della rumba chicana dell'amico Lalo Guerrero ('Los Chucos Suaves'), del funk barricadero con targa seventies dei War ('The World Is A Ghetto'), del rockabilly travolgente tra fifties e eighties dei Blasters guidati dai fratelli Alvin ('Flat Top Joint'), delle atmosfere sognanti della strumentale 'Where Lovers Go' (The Jaguars), del trascinante rock dei chicani Thee Midniters ('Love Special Delivery'), uno dei gruppi più importanti per la formazione dei Los Lobos, e ancora il country blues dei Buffalo Springfield (il medley 'Bluebird/For What It' s Worth'), le ballate di Jackson Browne ('Jamaica Say You Will') , i Beach Boys ('Sail On Sailor').

"Non potrei dire che ci sia un filo conduttore per tutti questi artisti, ma in un certo senso è proprio questo che rende grande LA. Hai R&B e punk rock e rock-and-roll e folk, e in qualche modo convivono insieme in questa strana città che tutti chiamiamo casa" dice Steve Berlin.

E allora ascoltando il disco e chiudendo gli occhi ci si immerge nelle mille e più facce di LA, un secondo prima sei sotto il sole e la polvere di Mulholland Drive, un secondo dopo tra le luci e lo shopping di Rodeo Drive. Un secondo prima tra il travolgente garage dei Premiers ('Farmer Jihn'), un secondo dopo tra le braccia latine e romantiche di Willie Bobo ('Dichoso'). È solo questione di tempo. Sempre prezioso.

I Los Lobos per ribadire il concetto di appartenenza ci aggiungono una canzone, 'Native Son', scritta di loro pugno, l'unica di queste tredici. Buona estate. 





domenica 1 agosto 2021

RECENSIONE: RODNEY CROWELL (Triage)

RODNEY CROWELL - Triage (Thirty Tigers, 2021)


esperienza

Difficilmente uno come Rodney Crowell sbaglia un disco: ha sempre qualcosa di buono da raccontare. È uno degli ultimi songwriter di razza rimasti, quella della vecchia scuola, quelli che sanno ancora incastrare bene pensieri, parole e note. Uno che ha scritto per tanti e l'elenco sarebbe veramente lungo e prestigioso. Un precursore che, nonostante stima e riconoscimenti, non ha mai ricevuto in toto i meriti per una carriera lunga e ricca, al traguardo dei settant'anni lo meriterebbe. 

Triage, il suo diciottesimo disco prodotto insieme a Dan Knobler, è pregno di belle canzoni (e tanti musicisti), tanto cariche di redenzione e introspezione ma che, nonostante  escano dopo il periodo a tinte  grigie  della pandemia, cercano con forza il conforto nell'amore universale (il ritmato blues elettrico di 'I' m All Aboout Love') e nel possibile cambiamento ('Something Has To Change' con il trombone a disegnare scie nella notte). L'ideale prosecuzione degli ultimi due album: il personale e autobiografico Close Ties (2017) e Texas uscito nel 2019, dedicato ai suoi luoghi di nascita. 

Alcune canzoni come il (quasi) talkin' di 'Transient Global Amnesia Blues' (dove nel testo è citato pure Bob Dylan) e l'iniziale 'Don' t Leave Me Now' che parte come un folkie in solitaria per trasformarsi in un ritmato Irish rock, sono così penetranti da rimanere in testa fin dal primo ascolto. Una scrittura che oscilla tra il country di 'One Little Bird' (con l'armonica di Rory Hoffman), il R&B di 'Triage', il folk di Hymn #43' (dove compare pure l'ex moglie di Crowell, Rosanne Cash e scritta con l'attuale marito di lei, John Leventhal), il soft rock di 'This Body Isn't All There Is To Who I Am' che si addentra nell'immortalità, ma che non abbandona mai quel suono americana che lui stesso contribuì a forgiare a Nashville nei settanta con  la buona compagnia di altri texani come lui (Townes Van Zandt, Guy Clark). 

Con Triage, Rodney Crowell vuole portarci a riflettere sul nostro percorso di vita e in una recente intervista ha pure svelato cosa vorrebbe far provare all'ascoltatore con la sua musica: "un senso di piacere, un senso di armonia, e in particolare vorrei si avvicinasse di più a una sorta di armonia con la natura e con il pianeta". Allora: proviamoci!