domenica 26 febbraio 2023

RECENSIONE: LUCERO (Should've Learned By Now)

 

LUCERO  Should've Learned By Now (Liberty & Lament, 2023)



canzoni da tarda notte e primo mattino

Se il precedente When You Found Me (2021) visse i suoi giorni scanditi dai synth tra le nubi della pandemia e le ombre più cupe ma ben a fuoco del precedente e splendido Among The Ghosts (2018) senza dubbio il loro disco migliore della seconda parte di carriera (anche il preferito del cantante Ben Nichols che lo scrisse fresco di paternità), con questo nuovo Should've Learned By Now la band di Memphis cerca di ritornare a un suono più diretto, elettrico, essenziale e rock'n'roll certamente legato agli inizi senza però mai mollare quella corda che lega così bene la loro intera carriera costruita su una formazione inossidabile e su dodici album dove hanno toccato country, folk, punk rock, Americana e Memphis sound. I lati più oscuri e gotici della loro America raccontati negli ultimi anni sono stati lasciati da parte ma non più di tanto perché Nichols è uno che sa scrivere testi e con la sua voce rauca e vissuta sa raccontarli bene e anche qui lo dimostra: in tutte le canzoni pervadono sentimenti di rivalsa e abbandono, di bevute, rimpianti e scommesse con quel tocco di ironia che fa la differrnza. I protagonisti dipinti dall'attento osservatore Nichols vagano tra bar solitari trascinando i loro cuori infranti, tutti in cerca di compagnia, perdono e rivincita. 

"Doveva essere uno stupido disco rock 'n' roll, ma i testi sono sempre una storia diversa. Forse perché non ci stavo pensando, forse questo è un disco più personale di quanto intendessi, un disco più significativo di quanto mi aspettassi".

Musicalmente i Lucero riabbracciano quella spontaneità musicale dove l'approccio diretto del punk rock sa abbracciare l'anima rootsy cucita su  country e folk ed escono canzoni come l'apertura 'One Last F.U.' anticipata dal battere di campanacci, una canzone scritta per Among The Ghosts ma che non possedeva quel mood nero  ("quando la prima canzone dell'album si intitola "One Last Fuck You", puoi andare dove vuoi con il resto del disco dopo. Niente è off limits" scherza Nichols) 'Macon If We Make It',  'Nothing's Alright', 'Buy A Little Time' (con Cory Branan ai cori), la title track potrebbe entrare nel canzoniere di qualsiasi heartland rocker americano, dove la chitarra di Brian Venable è sempre protagonista così come il piano di Rick Steff ricama dietro come nella migliore tradizione rock'n'roll ('Raining For Weeks'). Non mancano ballate di pura americana: la springsteeniana 'At The Show', in grado di mischiare romantico amore e ricordi adolescenziali, 'She Leads Me', una  malinconica 'Drunken Moon' e la finale 'Time To Go Home', un country con tanto di pedal steel e fisarmonica che ci avverte che dopo ogni sbronza "di vita" arriva sempre il tempo di ritornarsene a casa. I Lucero dopo 25 anni di onorata carriera rimangono una garanzia: prima ti fanno ubriacare ma poi ti riaccompagnano a casa sano e salvo.







domenica 19 febbraio 2023

WILLIE NILE live@il Magazzino di Gilgamesh, Torino, 18 Febbraio 2023



Willie Nile è sempre (e ancora) una garanzia di ottima e trasudante passione rock’n’roll. Sia quando seduto al pianoforte (il suo primo grande amore  a cui ha dedicato un disco, il sempre troppo dimenticato If I Was A River), accompagnato dalla chitarra sempre ispirata e ricamata di Marco Limido ("sono fortunato ad avere Marco" ripete spesso Willie), esegue una intensa Across The River da quel debutto incorniciato e appeso tra i dischi della mia vita, sia quando nel finale omaggia i suoi vecchi amici Ramones con Sheena is Punk Rocker agganciata a California Sun accompagnato dai torinesi Wooden Brothers di Renato Tammi che in precedenza avevano aperto.la serata: la "one guitar" di venta la house of thousand guitars che si costruisce le fondamenta sul piccolo palco del Gilgamesh.

Poi per un attimo ho chiuso gli occhi e immaginato a cosa potessero essere i locali newyorchesi in quei fine anni settanta: stasera il Magazzino di Gilgamesh credo proprio sia stata quella cosa lì. Quella dimensione ideale piena di antiche vibrazioni che ti avvicina e non crea barriere. Willie è  lo stesso che divide il palco con Springsteen e Steve Earle ma che poi impegna il suo tempo a stringere mani, fare foto e firmare vecchi dischi mentre lo reclamano al banchetto del merchandising dove presumibilmente continuerà fare le stesse cose. Sempre un grande.




sabato 11 febbraio 2023

RECENSIONE: CARLO LANCINI & ELISA MARIANI (Alive & Well)

CARLO LANCINI & ELISA MARIANI   Alive & Well (2022)


strade positive

Ho conosciuto Carlo ai tempi dei Mojo Filter, band  lombarda che si cimentava in un classic rock a tinte hard, southern blues totalmente devoto ai seventies e che ebbe modo di mettersi in mostra aprendo per alcuni grandi nomi americani ( Willie Nile, North Misssissippi All Stars). Ci siamo pure incrociati un paio di volte in qualche concerto dei nostri idoli musicali (Calexico e Ryan Adams se ricordo bene), l'ho seguito nei suoi altri vari progetti musicali e collaborazioni (i più  duri Stone Garden). Un chitarrista e autore che lavora sempre bene e sodo, lontano dalle grandi luci, ma con la grande passione che pulsa e pompa rock’n’roll e derivati. Ora rieccolo con un nuovo progetto figlio dei precedenti Godspell Twins ma questa volta ci mette il nome in copertina condividendolo con la brava Elisa Mariani al microfono. Alive & Well è un disco caldo, carico di calore rock (la bella apertura 'Time To Go' sembra bussare alla porta degli Stones, 'Gypsy Dancer' è la più movimentata del disco), di blues ('Flowers From A Stone' mi ha ricordato i Dr.Feelgood di Wilko Johnson, pace all'anima sua), di R&B ('Rock Me Off'), southern rock ('Sugar Mama' con la bella prova vocale di Elisa), country con la ballata finale 'April'.

Suonato e registrato benissimo insieme a un ben nutrito gruppo di amici tra cui spiccano certamente Jono Manson, cantautore e produttore di Santa Fe ormai di casa in Italia che lascia la sua voce nella tambureggiante e psichedelica  'Love Revolution' che mi ha ricordato i Crazy Horse, il sax di Pasquale Brolis e la chitarra di Stefano Galli.

In scaletta anche due cover: 'The Letter' dei Box Tops e 'Angel From Montgomery' di John Prine, una delle sue canzoni più saccheggiate. Ta le versioni più famose da ricordare quella di Bonnie Raitt, fresca vincitrice di un Grammy. La cantautrice disse che quella canzone di Prine le cambiò la vita, ecco: spero possa succedere qualcosa di simile anche a Carlo e Elisa.




domenica 5 febbraio 2023

RECENSIONE: DEWOLFF (Love, Death & In Between)

DEWOLFF  Love, Death & In Between (Nuclear Blast, 2023)



pausa soul

Conquistare una platea quando non suoni per il tuo pubblico ma aprendo per star mondiali come i Black Crowes, o quel resta di loro, non è mai facile. Si rischia sempre grosso e già solo l'indifferenza di chi si fa i cazzi suoi con una birra al bar sembra una conquista.

Il trio di olandesi DEWOLFF oltre a suonare senza timore reverenziale quella sera d'autunno conquistò il pubblico al suono di un hard blues con venature sudiste e psichedeliche super seventies tutto chitarra, voce  (Pablo Van De Poel), hammond (Robin Piso) e batteria (Luka Van De Poel). Fu un'ovazione meritata e le birre in alto sotto al palco, non al bar, servirono a salutarli sperando di rivederli presto con un concerto tutto loro.

Ecco uscire a pochi mesi da quel bel biglietto da visita (per quanto mi riguarda) il loro ottavo album in carriera, un disco che però mostra un altro lato, meno rock e irruento, più  riflessivo e sfumato. Maturo. Diverso. Canzoni nate dopo l'ascolto di tanto soul, gospel e R&b, dopo aver assistito a un sermone di Al Green e dopo la lettura di molta letteratura americana. 

"Perché, dopo tutto, la musica ci sembra una religione. È qualcosa che è nella nostra mente tutto il tempo. È ciò a cui dedichiamo tutta la nostra vita” spiega Pablo Van De Poel. E i giovani Dewolff, comunque in pista dal 2007, sembrano veramente aver barattato l'anima nel nome del rock'n'roll, lo si capisce sul palco e lo confermano in studio, che poi sembra quasi la stessa cosa.

Il risultato sono dodici canzoni registrate senza troppe sovrastrutture dietro, dal vivo su nastro analogico, in uno studio di Kerwax nella Bretagna in compagnia di una nutrita sezione fiati e coristi. Un disco che gira intorno a 'Rosita', pezzo da sedici muniti che racchiude bene tutte le influenze del trio: si sente il southern rock, la Motown, la Stax, il rock’n’roll, il gospel. Fughe strumentali, acidità psichedelica e terra blues si susseguono in un brano che è un vero monumento eretto alla musica. Difficile che qualcuno ci pisci sopra, potrebbe accontentare tutti.

Il disco si apre invece ad alta velocità con 'Night Train' e subito lo spirito di James Brown sembra volare e sbuffare aria black sopra a fiati e chitarre. Si prosegue tra boogie blues che chiamano in causa gli Stones di Exile e Joe Cocker con i suoi cani pazzi (la bella e convincente 'Heart Stopping Kinda Show'), soul ('Will O' The Wisp', Gilded (Ruin Of Love')), blues notturni e piangenti ('Mr. Garage Man'), gospel trascinanti e esaltanti ('Counterfeit Love'), R&B tosti e pieni di chitarre e fiati ('Message For My Baby', 'Wontcha Wontcha') fino alla soffusa 'Queen Of Space &Time' dove i Doors amoreggiano con i Jethro Tull e ne nasce il finale di disco perfetto.

Un disco caldo, corposo, pieno di sfumature e bei suoni che mantiene alte le quotazioni di questi tre olandesi pieni di talento e totalmente innamorati e devoti a tutta la musica, naturalmente con data di scadenza 1979.

Guardo le date del loro tour per curiosità, dell'Italia neppure l'ombra e come sempre ci si domanda: perché?