domenica 18 giugno 2023

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP (Orpheus Descending)

 

JOHN MELLENCAMP  Orpheus Descending (Republic Records / Universal Music, 2023)



un'altra sigaretta

Autodichiarandosi un eterno outsider in una recente intervista  John Mellencamp continua a smarcarsi da un certo mainstream e sembra prolungare all'infinito la sua corsa ai margini. Lo fa con un nuovo disco che esce a poco più di un anno dal precedente Strictly A One-Eyed Jack che vedeva l'amico Bruce Springsteen presente in tre canzoni. 

La voce porta con sé tutti i segni del tempo e delle tante sigarette fumate ("ho iniziato a dieci anni" dice) ma forse sta proprio lì anche in quella voce catramosa che da ancora più peso alle storie il segreto di una longevità artistica livellata nei piani alti del rock americano con veramente poche cadute di stile in carriera.

Ma mentre l'amico del New Jersey in questo periodo della sua vita sembra concentrato su se stesso mettendo a nudo tutta la fragilità degli anni che passano, John Mellencamp (71, due anni in meno) a suo modo continua a gettare l'occhio fuori dalla finestra di casa e dal finestrino dell'automobile anche se non mancano canzoni intimiste e autoconfessionali come la finale 'Backbone' dove canta " così cercherò di essere migliore con il tempo che mi rimane" e quella spina dorsale sembra far riferimento all'operazione alla spina bifida con il quale è nato e alla delicata operazione a cui è stato sottoposto da bambino, erano in quattro con quel problema, tre sono morti, lui è ancora qui "sono il ragazzo più fortunato del mondo" ha detto.

Quel che vede  lo piazza subito a inizio disco con un uno-due micidiale: 'Hey God', un folk blues con una bella slide National (presente spesso nell'album e quasi protagonista) che si concentra sulle tante stragi avvenute nelle scuole americane per mano di armi da fuoco mentre in  'The Eyes Of Portland' si ricorda dei tanti figli dimenticati della sua terra costretti a un'esistenza da senzatetto.

Un disco prevalentemente acustico, dai tonicupi e grevi di belle chitarre, violino e ricami d'Hammond: in 'The So-Called Free' fa capolino una certa disillusione in lontananza, in 'The Kindness Of Lovers' dove il teso violino di Lisa Germano, un bel ritorno in un disco che richiama le atmosfere di Big Daddy) ricama su un dialogo tra amanti mentre dio  interviene a dire la sua: "mettere l'opinione di un uomo contro quella di un altro è solo uno scherzo, E guarda il casino che avete combinato qui. Un giorno ho paura che perderai la speranza".

Se dopo una vita passata a fare quello che hanno deciso altri hai un asso nella manica giocalo all'ultimo suggerisce in 'One More Trick', così  come in 'Lightning And Luck'  canta "quindi usa quello che hai, per ottenere quello che vuoi" cercando di dare speranza perché un mondo perfetto da qualche parte esiste ancora ('Perfect World').

Tre canzoni sembrano smarcarsi musicalmente  dal resto del disco: 'Amen', un esercizio waitsiano al pianoforte, con la presenza di una delle poche chitarre elettriche, dove con velata rassegnazione ha veramente poco da dire: "puoi dare la colpa al tempo, O semplicemente al giorno, I tempi difficili sono qui per restare...Amen è tutto ciò che abbiamo da dire", e 'Orpheus Descending' un latin funky che sembra uscito dalla penna di Stephen Stills e dove si scappa in cerca di salvezza, sarà troppo tardi o siamo ancora in tempo? "L' oscurità ci ha trovato, con il sangue fino alle nostre ginocchia".

"Il giorno del giudizio" segna anche le liriche di 'Understand Reverence' altro numero alla Tom Waits, solo pianoforte e violino, atmosfere notturne che la elevano tra i picchi di un disco, personale ma sociale, registrato e prodotto da lui stesso nel suo Belmont Mall Studio nell'Indiana con l'aiuto dei fidati Andy York, Lisa Germano, Dan Clark, Troye Kinnett.

Pochi, veramente pochi come lui: una integrità artistica da invidiare e insegnare.





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