domenica 5 giugno 2022

RECENSIONE: THE BLACK KEYS (Dropout Boogie)

THE BLACK KEYS   Dropout Boogie (Easy Eye Sound, 2022)



estate a tutto boogie

La storia musicale dei Black Keys non è poi diversa da quella di tanti altri gruppi blasonati con ormai tanti anni e dischi alle spalle: una prima parte di carriera fresca ed elettrizzante dettata dall'entusiasmo della gioventù (Rubber Factory del 2004 e Attack & Release del 2008 i miei preferiti), una seconda parte con una importante virata verso territori più accessibili a portarli sulle vette del mondo (Brothers del 2010, El Camino del 2011), una terza parte, quella in corso, di consolidamento e con tutta la consapevolezza di aver già dato il meglio e di poter pescare a proprio piacimento tra i dischi passati, mescolare vecchie idee e farle uscire ancora come nuove. Sappiamo che non è cosi ma chiudiamo un occhio. A tenere incollato tutto la maturità del tempo e dell'esperienza: Dan Auerbach e Patrick Carney hanno una vita super impegnata fuori dalla band, producono, scoprono, rilanciano, dissotterrano personaggi e artisti dimenticati dal tempo, creano etichette discografiche e costruiscono studi di registrazione. Un'amore per la musica che va ben oltre la band madre.

E di amore per la musica ce n'è tanto anche dentro a Dropout Boogie, sebbene ad un ascolto distratto non parrebbe, figlio bastardo del precedente omaggio al blues Delta Kream del quale riprende qualche buon seme di tradizione (la finale 'Didn't Love You', una 'Burn The Damn Thing Down' che scalpita che è una meraviglia, 'Happiness' è più slow e strisciante) ma dove  la c'erano vecchie cover da riportare in vita, qui ci sono nuove canzoni da mandare a memoria. E poco importa se 'Wild Child', un po' Doobie Brothers un po' I Love Rock'n'roll' di Joan Jett & The Blackhearts è ruffiana e svolge bene il compito di riempi pista, 'For The Love Of Money' è un funky boogie già masticato mille volte, 'Your Team Is Looking Good' un boogie rock che pare uscito da The Slider dei T.Rex di Marc Bolan, 'Good Love' uno slow blues con la presenza della  infuocata chitarra di  Billy Gibbons (anche autore) che si interrompe improvvisamente, 'How Long' un soul che prende sembianze rock e 'Baby I'm Coming Home' è ruffiana come da titolo. 

Poco importa se Dropout Boogie è suonato e registrato meravigliosamente, senza pecche, perché ancora una volta diverte, si fa ascoltare con piacere mentre guidi una vecchia Pontiac tra le campagne fuori dalla tentacolare città, mentre cucini svogliatamente burritos al lunedì sera o mentre scambi effusioni con l'amata al sabato mattina,  finita l'ultima traccia hai voglia di rimetterlo ancora una volta su perché nella vita bisogna pur divertirsi e lasciarsi andare senza pescare l'ennesimo pelo nell'uovo. Ormai la raccolta (di peli) si fa noiosa e la vita a ben guardare non è così lunga come ci è stata dipinta da chi crede di saperne sempre di più.





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