giovedì 25 febbraio 2021

RECENSIONE: ALICE COOPER (Detroit Stories)

 

ALICE COOPER - Detroit Stories (earMUSIC, 2021)



ritorno a casa

"Detroit ci calzava come un guanto. Stooges, MC5, Amboy Dukes, Bob Seger e adesso… Alice Cooper! Eravamo dentro". 

1970, così Alice Cooper annunciava il trasferimento della band dalla scena di Los Angeles alla città di Detroit. Per lui un ritorno a casa, per la band il trampolino di lancio verso il successo dopo due dischi sotto l'ala protettrice di Frank Zappa, tanto originali quanto passati inosservati nel ricco mercato discografico dei tempi. Tante le cose che cambiarono: la loro musica, il loro aspetto, gli spettacoli, l'etichetta discografica (ecco la Warner!), il produttore (ecco il giovane Bob Ezrin!, all'epoca solo diciannovenne).

"La scena hard rock di Detroit era vibrante, quasi magica. Potevi andare in un club e vedere cinque o sei incredibili band in una stessa sera...era il centro dell'universo rock" ricorda Ezrin.

Alice Cooper: "Detroit era l’unico luogo che riconobbe il tipico sound hard rock e i nostri spettacoli folli dal vivo. Detroit era un porto sicuro per gli emarginati… eravamo a casa.” 

E in quella casa Alice Cooper ci ritorna oggi dopo cinquant'anni, anche se ci era già tornato più volte, l'ultima con l'album Paranormal, uscito nel 2017. Ma attenzione non è un ritorno nostalgico, perché Alice Cooper durante la sua carriera ci ha dimostrato di prendere spunto dal passato per guardare sempre avanti. Sa stare al passo con i tempi senza mai forzare la mano. La variegata discografia parla chiaro. E a 73 anni è ancora in forma smagliante e dopo averlo visto dal vivo poco meno di due anni fa lo posso confermare: uno dei concerti più divertenti che abbia visto negli ultimi anni. E proprio due anni fa fece uscire un EP, Breadcrumbs, che sembrava già anticipare le sue future mosse. Fu la presentazione di un progetto molto più ampio che aveva in mente. Alcune tracce come il proto punk di 'Go Man Go', l'hard rock di 'Detroit City 2000', sua vecchia canzone ripresa e aggiornata dove vengono citati Mc5 e la  Motown, alcune cover come 'Sister Anne' degli MC5, 'East Side Story' di Bob Seger vengono riprese anche qui. 

Certo, la presenza di vecchie volpi come il produttore Bob Ezrin (un sodalizio resistente il loro) e musicisti ospiti come Wayne Kramer (MC5), Johnny ‘Bee’ Badanjek (batterista dei Detroit Wheels), i chitarrista Steve Hunter (The Detroit Wheels) e Mark Farmer (Grand Funf Railroad),  e il bassista Paul Randolph sembrano chiudere perfettamente il cerchio con quell'epoca d'oro così come fa quella 'Rock'n'roll' con la chitarra ospite di Joe Bonamassa posta in apertura, per omaggiare e rinsaldare l'amicizia con Lou Reed che non era di Detroit ma ha avuto il suo peso. 

Ma le vere sorprese sembrano arrivare dopo. 

"C'è un certo suono di Detroit che stiamo cercando, è indefinibile. C'è una certa quantità di R&B dentro. C'è una certa quantità di Motown. Ma poi aggiungi le chitarre e aggiungi l'atteggiamento e si trasforma in rock di Detroit. Mi sento come se fossimo in giro con tutti i musicisti di Detroit, troveremo quel suono "

E gli occhi pittati di Alice Cooper sembrano planare sì sulla città dei motori (suo padre vendeva macchine usate), della rivista Creem e del garage rock'n'roll più sguaiato (la corale  'I Hate You' che vede riuniti i membri della vecchia band  Neal Smith, Michael Bruce, Dennis Dunaway che cantano una strofa a testa, 'Hail Mary' e “Shut Up And Rock') ma più in generale sulla musica con lo sguardo sincero e ancora devoto da vero fan: sull'hard rock di 'Social Debris', dentro il blues di 'Drunk And In Love', sulle ali del pop lisergico di ‘Our Love Will Change The World’, nel rock'n'roll imbevuto di soul e funky di '$1000 High Heel Shoes’ con i suoi cori femminili delle Sister Sledge, chiaro omaggio alla Motown così come 'Wonderful World' e 'East Side Story' che sembrano mischiare l'amore mai nascosto per Jim Morrison con l'aspetto più teatrale della sua arte, nel cadenzato incedere di 'Hanging By Thread' uscita a inizio pandemia, un chiaro invito a resistere.

Se amate il rock, uno sguardo dentro a questi cinquanta minuti potete buttarlo, anche se non avete gli occhi truccati e scappate di fronte a un boa, pochi artisti a questa età riescono a trasmettere la freschezza compositiva di Alice Cooper.






martedì 16 febbraio 2021

RECENSIONE: THE DEAD DAISIES (Holy Ground)

THE DEAD DAISIES  Holy Ground (SPV, 2021)




il timbro di Glenn Hughes

Me lo immagino così David Lowy, padre e padrone dei Dead Daisies: al supermercato della musica a barattare quel che ha con qualcos'altro. Tenga signor Lowy, le diamo un solo Glenn Hughes al posto dei suoi John Corabi e Marco Mendoza, le va bene? Come no? Prendo e porto a casa. Voi lo avreste fatto? 

"Ci siamo incontrati a Los Angeles, abbiamo cenato bene e mi ha detto che la band stava cambiando, e mi ha chiesto se volevo incontrarmi con loro a New York e fare le prove, scrivere nuove canzoni…" racconta Hughes del suo incontro con il capo Lowy. 

Il risultato? Un disco che conferma i Dead Daisies come una delle band punta del moderno hard rock degli anni duemila, seppur con  la interminabile girandola di musicisti, tutte delle vecchie volpi, che vi hanno gravitato intorno. Super gruppo che oltre a Lowy (chitarra ritmica) e Hughes (voce e basso) può contare su due pezzi da novanta come Doug Aldrich (chitarre) e Deen Castronovo (batteria) che però sembra aver già abbandonato il suo posto per motivi personali. 

L'entrata di Hughes a basso e voce si sente in 'Like No Other (Bassline') che è quasi subito lì, una sorta di carta d'identità, a dimostrare forza e bravura con il suo irresistibile groove funky  e un po' tutto il disco sembra avvolgersi intorno al carisma di quella voce che non sembra aver perso un'oncia della sua forza. Gli anni sono 68. E poi si sa, ovunque vada, Hughes porta il tuo trade mark riconoscibile, che siano i Deep Purple, i Black Sabbath o i Black Country Communion.

"La presenza di Glenn ha portato un timbro diverso rispetto a John Corabi, il disco, infatti, ha delle sonorità più heavy e un groove decisamente bello" ha detto Aldrich in una recente intervista. 

Sono così sorte due correnti di pensiero: c'è chi pensa che i Dead Daisies abbiano snaturato  troppoil loro suono, c'è chi dice che Hughes abbia solo portato la sua esperienza e il suo carattere all'interno di una macchina già ben oliata e rodata. Una cosa è certa, se un brano come 'Come Alive' sembra ancora legato ai vecchi dischi in canzoni come la terremotante apertura 'Holy Ground (Shake the Memory)', nella modernità che segna 'Saving Grace', nel riff sabbathiano di 'My Fate' (i caratteri alla Master Of Reality che campeggiano nel retro copertina sono un omaggio ben evidente), nella cover '30 Days In A Hole' degli Humble Pie con Castronovo alla voce, nella finale 'Far Away', power ballad dal lungo minutaggio che alterna arpeggi a stacchi elettrici, ci sono le solide basi su cui si poggia un disco che non inventa nulla ma ha il pregio di mantenere caldo e vivo un suono troppe volte dato per agonizzante. Certo, i detrattori di Hughes, quelli che non avrebbero mai preso attraverso un baratto con altri due musicisti di primissimo piano, devono girare alla larga.






mercoledì 10 febbraio 2021

RECENSIONE: LUCERO (When You Found Me)

LUCERO
   When You Found Me (Thirty Tiger, 2021)



cambiare rimanendo se stessi

Se c'è un merito che bisogna riconoscere alla band di Ben Nichols è quello di sfuggire da l'immobilismo sempre e comunque, che piacciano o meno i territori calpestati. Prendete il precedente Among The Ghosts, stupendo album uscito nel 2018, certamente tra i vertici della loro carriera, ecco: sarebbe stato facile rimanerne almeno sulla scia di quel ritorno alle origini cupo, tinto di nero e avvolto nelle nebbie del Sud. Invece, ancora una volta, sembrano smarcarsi, così come l'apice del Memphis sound toccato in dischi come Women & Work e 1372 Overton Park si allontanava dall'alt country dei loro esordi. In questo continuo alternarsi di umori musicali c'è però un sottile ma resistente filo di continuità che lega il tutto, iscrivibile alla libertà compositiva su cui poggia da sempre la classica scrittura di Nichols, sempre sulle orme del suo mito Warren Zevon. 
"È stato emozionante e al tempo stesso scoraggiante iniziare il processo di scrittura del nuovo disco, perché Among the Ghosts è nel complesso il mio album dei Lucero preferito". E forse ha ragione. Anche se questa volta i toni cupi e minacciosi vengono dettati da un uso maggiore di riverberi chitarristici (le chitarre di Brian Venable) e dai sintetizzatori vintage ( e qui sale in cattedra il tastierista Rick Steff), crocevia tra gli eighties e il presente, tra il graffio e il velluto con la riconoscibile voce di Nichols in mezzo. L'album ha una sua atmosfera, un suo carattere. C'è tensione. L'obiettivo è stato centrato. I testi di Nichols continuano ad abbeverarsi dentro all'America più nascosta dove si stipulano ancora strani patti con il maligno nell' oscurità ('Have You Lost Your Way?'), dove viaggiare negli States più profondi può portarti a scoprire strani omicidi ('Outrun The Moon'), conoscere personaggi come William Morgan, combattente antifascista durante la rivoluzione cubana raccontato nel pungente honky tonk 'Back In Ohio' arricchito dal sax di Jim Spake, o incazzarti per quello che vedi intorno a te (l'unica concessione politica del disco  'A City On Fire'). Ma negli ultimi anni è emersa con prepotenza la sua vena introspettiva, lascito del suo matrimonio e della raggiunta paternità. 
"I testi di Lucero sono sempre stati cose abbastanza personali e il tema della famiglia è sempre stato un elemento nella scrittura delle canzoni, ma forse lo è ancora di più in When You Found Me perché ero a casa con la mia famiglia intorno a me tutto il tempo" racconta Nichols. Pesca tra i propri ricordi o nel suo vissuto quotidiano: 'Coffin Nails' prende spunto dalla storia di suo nonno, fante durante la seconda guerra mondiale, per parlare delle condizioni dei veterani di guerra, oppure nella eterea 'Pull Me Close Don't Let Go' ispirata dalla piccola figlia di quattro anni, 'All My Life' è una lettera d'amore alla moglie, mentre la ancora più personale 'When You Found Me' racchiude l'intera famiglia in una chiusura di disco malinconica e di speranza nel futuro. 
I Lucero sono ancora in movimento. A modo loro. Mosse di squadra lente e di sottrazione seguendo l'ispirazione dettata dal loro porta voce.







mercoledì 3 febbraio 2021

è uscito il mio libro METTI IL DISCO CHE STO ARRIVANDO! - Una Vita Di Dischi Aperitivo

è uscito il mio libro METTI IL DISCO CHE STO ARRIVANDO! - Una Vita Di Dischi Aperitivo

qualche anno fa all'orario giusto, iniziai a pubblicare "il disco aperitivo" nella mia bacheca Facebook. La cosa mi è un po' sfuggita di mano. 

Ha una memoria infinita, dicono sia democratico e a portata di tutti ma io del web non mi sono mai fidato troppo. Forse perché sono ancora uno di quelli all’antica che vuole metterci il naso dentro. Per questo ho raccolto su carta anni di scritti sparsi su blog e social: li voglio vedere, toccare e annusare proprio come faccio con la musica e i suoi ormai obsoleti supporti fisici che piacciono a noi “pochi”. Una raccolta di dischi che in qualche modo hanno segnato la mia vita (tanti ho dovuto escluderli, forse troveranno il loro spazio in futuro), di alcuni troverete storie più dettagliate, altri si limiteranno a incrociare il mio percorso, i miei sogni, i miei passi, per alcuni sono bastati solo pochi pensieri. Ci sono anche dieci anni di quei “dischi aperitivo” che mi hanno fatto compagnia nei social (Facebook), giorno dopo giorno, all’orario giusto. Un libro che serve a me per fare ordine ma spero giunga anche a voi con lo stesso spirito con il quale è stato concepito: nella più totale libertà di parlare di musica intrecciando ricordi personali, sensazioni e passione. 

Da oggi è disponibile il mio libro che raccoglie 150 di quei dischi. 


Le prime copie sono disponibili chiedendole direttamente a me. Potete contattarmi su Facebook o Messenger.
250 pagine. 
16 euro (spese di spedizione comprese) 
Pagamento PayPal. 
Per gli amici di Biella, ricordo che potrete trovarlo anche da Paper Moon Dischi, Cigna Dischi e Libreria Feltrinelli. Naturalmente è severamente vietato uscire dai negozi di dischi senza un disco.
Il libro è  anche ordinabile on line su molte piattaforme: Feltrinelli, Mondadori, IBS, Il Libraccio, Amazon, Hoepli...



martedì 2 febbraio 2021

RECENSIONE: THE NUDE PARTY (Midnight Manor)

THE NUDE PARTY   Midnight Manor (New West Records, 2020)


il rock non è morto

Certo, stando seduto sprofondato dentro una poltrona puoi continuare a ripetere il mantra "il rock è morto" perché tutto è già stato detto e suonato. Va bene, ma poi è come dire la pizza fa schifo perché l'hai già mangiata migliaia di volte in vita. Mica vero. Il rock è rock ieri come oggi. C'è chi l'ha inventato, chi l'ha modificato e chi lo tiene in vita tra mille difficoltà combattendo anche contro chi è seduto sprofondato dentro una poltrona e ripete il mantra "il rock è morto" e bla bla bla…mangiatevi la coda

Allora alza il culo e vallo a dire in faccia a un gruppo come i Nude Party che il rock'n'roll non esiste più quando loro il culo se lo stanno facendo per tenerlo in vita. Mica da seduti in poltrona. Vogliono anche che il culo tu lo muova. Al ritmo ci pensano loro e quel piano saltellante che compare dall'inizio alla fine è una meraviglia.

Tra le migliori realtà di retro rock americano di questi anni, il secondo album del sestetto dello Stato di New York, una combriccola che si è conosciuta frequentando l'Università degli Appalachi in North Carolina, è una bomba esplosiva di energia, amarcord, ironia, vitalità che pare racchiudere dentro di sé tutta la freschezza dei migliori anni del rock'n'roll a cavallo tra i sessanta e settanta. Cresciuti con una collezione di dischi importante vicino al comodino della cameretta dove Stones, Kinks, Faces, Velvet Underground giravano spesso e volentieri. Indie, garage, psichedelia, rock'n'roll, country, beat con quel taglio pop sbarazzino e contagioso che non guasta mai in canzoni semplici, pure, suonate con il giusto equilibrio tra energia e melodia. C'è l'antico profumo dei sixties sopra ai solchi, l'alcol che penetra il naso in nottate al club lunghe come l'intera settimana a benedire.

Lo si percepisce immediatamente. Ci si diverte con spensieratezza e un pizzico di esuberanza che non guasta mai. Forse è pure ambizione. Non era forse questo l'obiettivo primario? "Volevamo suonare come i Rolling Stones, Creedence Clearwater Revival e i Kinks" dicono. Ecco: sento già la voce "il rock è morto" arrivare in lontananza…Il culo, bisogna muovere il culo.