giovedì 25 giugno 2015

RECENSIONI:GIANT SAND(Heartbreak Pass) CALEXICO(Edge Of The Sun)


GIANT SAND
HEARTBREAK PASS
(New West Records, 2015)



Festa riuscita
Il recente tour italiano di Howe Gelb, condiviso con Grant-Lee Phillips, è stato una mezza delusione, e Gelb ha recitato la parte della mela marcia. Peccato. Chi lo conosce sa quanto il talento polveroso  venga fuori con maggior incisività quando è in compagnia, sebbene la nutrita band di Tucson è a tutti gli effetti una one man band. Per festeggiare i trent’anni di carriera ci sono 15 nuove canzoni, registrate in giro per il mondo e divise in tre parti, ogni capitolo racchiude un decennio di vita, come spiega Gelb: “la prima parte trasmette un senso di abbandono rumoroso e fortunato, la seconda è più pensierosa, lenta ma diretta, la terza  è il cuore in costante agitazione a causa di un continuo oltrepassare l’oceano, la benedetta maledizione dell’indie-transponder”. Una festa di alt/desert rock che tocca il folk e sfiora pure il jazz, a cui partecipano anche il già citato Phillips, Steve Shelley, John Parish e i nostri Vinicio Capossela (‘Heaventually’) e Sacri Cuori (‘Hurtin’ Habit’). (Enzo Curelli) da CLASSIX! #44 (Giugno/Luglio 2015)

vedi anche: GRANT-LEE PHILLIPS & HOWE GELB live@Latteria Molloy, Brescia, 4 Aprile 2015



CALEXICO
EDGE OF THE SUN
(City Slang, 2015)



Sole e luna
Il tour primaverile in Italia ha confermato quanto siano amati dalle nostre parti. John Convertino e Joey Burns hanno lasciato importanti impronte (‘The Black Light’ e ‘Hot Rail’ tra i loro capolavori) lungo le strade che dall’Arizona portano all’Europa e ora stanno raccogliendo i meritati frutti. ‘Edge Of The Sun’ non cerca lo stacco dal recente passato, il viaggio in direzione Messico è la conferma di quanto luoghi e suggestioni siano ancora al centro della loro musica, ma in primo piano finisce la ricerca della contaminazione perfetta e globale, soprattutto grazie alla interminabile lista di ospiti che compaiono nei credits, tra cui spiccano Ben Bridwell dei Band Of Horses, Sam Beam degli Iron And Wine, Neko Case, Nick Urata dei Devotchka. Manca il fascino misterioso dei primi tempi, presente troppo sporadicamente (‘World Undone’): giova forse alla maggiore immediatezza che esce da tracce come ‘Cumbia De Donde’, ‘Falling From The sky’ e ‘Tapping On the Line’. (Enzo Curelli) da CLASSIX! #44 (Giugno/Luglio 2015)







lunedì 22 giugno 2015

FESTA DELLA MUSICA, BRESCIA, 20 Giugno 2015

Hell Spet
The Tettalovers


Van Cleef Continental


Cek Deluxe


Cek Deluxe


The Crowsroads


Nana Bang

Jukebox all'Idrogeno


GuruBanana/Dead Candies



 

giovedì 18 giugno 2015

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #1: FRANCESCO DE GREGORI (Titanic)

FRANCESCO DE GREGORI Titanic (RCA, 1982)


Questo è stato il disco delle mie estati per molti anni. Lo registrai sul lato A di una vecchia cassetta da 90, compresi i fruscii e i tonfi della puntina mentre s’adagiava (bruscamente) e si alzava dal disco, nel lato B ricordo una compilation di vecchi successi country tra cui Tom Dooley (chissà in quale versione?) e On The Road Again di Willie Nelson. Avevo undici anni, e lo scovai dalla raccolta di vinili di mio zio in Friuli, in mezzo a tanta altra bella roba. Pomeriggi estivi passati a contemplare quel povero e “freddo” frigo in copertina, con metà merluzzo e metà limone già spremuto per bene che sembravano abbandonati da giorni, magari da qualcuno partito per le vacanze estive come me. Quella foto, in verità scattata una mattina dallo stesso De Gregori nella sua cucina, riusciva a darmi quella sensazione di refrigerio necessaria per combattere la calura estiva della campagna friulana, mentre con il passare dei giorni si trasformava, trasmettendo sempre più malinconia, toccando il culmine durante le ultime ore di vacanza, quelle che precedevano la ripartenza verso il Piemonte.
Ho imparato il testo di Titanic come una filastrocca. Mi ha seguito per tutta la vita. Se davanti ad un falò in spiaggia mi chiedete una canzone da cantare, statene certi, io partirò con ”la prima classe costa mille lire…la seconda cento…la terza dolore e spavento…”. Le filastrocche imparate a scuola le ho dimenticate tutte al suono della campanella. Titanic no, non l’ho imparata a scuola. L’ho amata.
Ho cercato di immaginare il volto sotto a quei Belli Capelli, ancora adesso non so come sia. Ho cercato di immaginare il mio futuro in “quella palla di cannone accesa"  ma non l’ho ancora raggiunto. Forse mai lo farò. Ho vestito quella maglia numero sette, ma ho avuto paura di tirare quel maledetto e fottuto rigore. Ho fatto partire i miei sogni di rock’n’roll con Rollo & His Jets. Quelli continuano ancora…


 
 

giovedì 11 giugno 2015

RECENSIONE:BOB DYLAN (Shadows In The Night) JJ GREY & MOFRO (Ol' Glory)

BOB DYLAN Shadows In The Night (Sony/Columbia, 2015)




Saggezza definitiva
La recente ed esclusiva intervista per presentare l’album, rilasciata all’organo ufficiale dei pensionati americani AARP, è già un indizio per capire che strade sta percorrendo: “la passione è per i giovani, gli anziani dovrebbero essere più saggi. Se sei vecchio e ti comporti da giovane, rischi di farti male". Qualcuno ha atteso l’uscita con il fucile puntato, pronto ad esplodere l’ennesimo “cos’è questa merda?”. Ma Dylan ripaga con un disco languido, sentito, magico, in cui mette in gioco completamente se stesso, ancora una volta: affrontare il repertorio di Frank Sinatra potrebbe mettere al tappeto qualunque vero crooner di questa terra, ma Dylan vince la partita mettendo davanti a tutto lo scorrere del tempo. La vita e la morte trovano il giusto equilibrio e la sua interpretazione se ne frega dello stile esaltando la profondità. Dylan veste le dieci canzoni di pochi indumenti, la sua voce così (im)perfetta calza su tutto. Dylan è vecchio, si comporta da vecchio e commuove. (Enzo Curelli) da Classix! #43 (Marzo/Aprile 2015)




JJ GREY & MOFRO Ol’ Glory (Provogue Records, 2015)




Southern accents
La sorpresa più grande che potreste incontrare dopo aver ascoltato il nono album in carriera di JJ Grey, se ancora non lo conoscete, è scoprire che il colore della sua pelle non è il nero. La sua musica è un calderone dove blues, rock, funk, gospel, R&B e soul viaggiano all’unisono, legati insieme da personali liriche pregne degli umori sudisti della sua Jacksonville e di grande amore verso la vita, cantati da una voce passionale, intensa, colorata di forti dosi di pennellate black. Il groove alla base di tutto. Sempre. Dei CCR degli anni duemila con in più il calore dei fiati. I Mofro sono una band allargata che non lascia prigionieri: incalzanti nel funk di ‘Turn Loose’, contagiosi e graffianti nel rock di ‘Hold On Tight’, viziosi nella trascinante title track, catalizzanti quando calano i ritmi (‘Island’, ‘Home In The Sky’). Difficile non farsi contagiare dalla loro formula magica e da ospiti degni di nota come Luther Dickinson e Derek Trucks. (Enzo Curelli) da Classix! #43 (Marzo/Aprile 2015)





domenica 7 giugno 2015

RECENSIONE: CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG (CSNY 1974, box set)

CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG ’CSNY 1974’ (Rhino/Warner)



Nulla è perduto
Chiuso il primo grande capitolo della loro storia con il live ‘4 Way Street’ uscito nel 1971 e svaniti come bolle di sapone i tanti ideali di una generazione di cui erano diventai un’icona, CSNY nel 1974 erano già acqua stagnante nel giardino fiorito delle singole carriere che peraltro, pur innaffiate da un'ispirazione ai massimi livelli mai più raggiunti, non decollavano come dovuto a causa del marcio che girava intorno: Neil Young stava assaporando il grande successo arrivato con ‘Harvest’ ma la morte per overdose di Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse, lo fece cadere in un abisso di sensi di colpa (Whitten era appena stato licenziato dallo stesso Young) che però ispirarono due tra le sue opere migliori di sempre, Graham Nash esordì come solista dopo la rottura sentimentale con Joni Mitchell e mise in piedi con David Crosby (reduce dalla morte della madre e da un fresco e non certo ultimo arresto per detenzione di droga) un tour e un disco in coppia, Stephen Stills, il più mal sopportato, stava nuotando a bracciate alterne nella merda delle droghe, cercando un salvagente nei nuovi Manassas, brillanti ma che durarono il tempo di due dischi per poi naufragare con tutte le numerose comparse. Perfino quella che doveva essere una rimpatriata tra vecchi amici alle Hawaii nella casa sulla spiaggia di Young si trasformò in un fallimento dopo le buone premesse iniziali che sembravano portare a un nuovo disco targato CSNY con tanto di copertina e titolo (‘Human Highway’) già pronti. "Metteteci tutti e quattro in una stanza e la minima cosa può innescare un'esplosione fatale. Siamo i peggiori nemici di noi stessi. Che razza di partnership!". Così Nash nella sua recente autobiografia.
Sotterrati nella sabbia di Mala Wharf i tentativi di riconciliazione insieme a eccessi, ego e droghe, ci pensa il vento (sotto forma di Bill Graham) a far volare banconote di verdi dollari verso i quattro, mettendoli tutti d'accordo: un enorme tour di 31 date da tenere nei grandi palazzetti della nazione con il grande finale in Europa, a Londra. Una grande idea che li tenne impegnati per tre mesi. Perché, nonostante tutto, i quattro sul palco erano veramente qualcosa di esplosivo, un patrimonio di perfetta armonia senza eguali che sotterrava tutto il resto.
© Joel Bernstein
 Delle registrazioni di quel tour mai nessuno volle saperne, e il motivo era impresso nella scarsa qualità. Graham Nash e Joel Bernstein hanno fatto un grande lavoro di rispolvero seppure la mancanza di pezzi da novanta come ‘Carry On’ e ‘Woodstock’ grida vendetta. Tra la versione da urlo di ‘Almost Cut My Hair’ con un lisergico Crosby e l’improvvisata ‘Goodbye Dick’ di Young, stoccata contro Nixon, a confermare l’ impegno politico per nulla affievolito, ci sono tre ore ad alta intensità. Il cofanetto è composto da tre CD (40 canzoni, molte estratte dalle rispettive carriere soliste), un debole DVD con sole 8 tracce, ma con un esauriente libretto: 188 pagine, foto e note biografiche. Da avere. (Enzo Curelli) da Classix! #40




LA PAROLA AI PROTAGONISTI
“…quando ci venne proposta una tournée da tenersi nell’estate del 1974, accettai. Accettammo tutti. Altroché…Era un po’ che non andavamo in tour e tutti noi avevamo stili di vita dispendiosi. C’era di sicuro l’incentivo finanziario. E, da quel punto di vista , devo dire che ci svendemmo…La musica era tutta un’altra faccenda. Svolgevamo i nostri riti pre concerto: sniffavamo una riga e salivamo sul palco. A volte eravamo fantastici, altre no. In un paio di sere fummo sfilacciati, stonati, lisergici. Nessuno di noi era al meglio delle proprie potenzialità. Semplicemente girava troppa cocaina…Sul palco, Neil stava da una parte, Stephen dall’altra, con Croz e me nel mezzo, una collisione di ego pazzeschi simile a una fusione nucleare, ma, non appena le luci si accendevano…nel momento in cui la musica e le luci ci illuminavano, andava bene tutto…Eravamo bravi a far sembrare tutto organico. Sul palco, la nostra immagine era quella dei Quattro Moschettieri…Furono un paio di mesi selvaggi, sfrenati, orgiastici, licenziosi, ricchi di scene assurde e , spesso, di musica meravigliosa.” GRAHAM NASH da ‘Wild Tales’ (2013)
“…non prendo in giro la gente quando sto sul palco. Stavano urlando tutti, per cui ho chiesto di sedersi, di calmarsi e di fare un po’ di silenzio. Ma c’era davvero troppo rumore ed ero in difficoltà, per cui, una volta interrotto, non avevo più la spinta emotiva per ricominciare daccapo quella canzone. Così ho attaccato ‘Guinnevere’ e l’ho fatta anche fottutamente bene!” DAVID CROSBY a Rolling Stone (1974) dopo l’interruzione di ‘For Free’ nella data di Vancouver.
“…potrebbe darsi anche che dal tour dell’estate venga fuori un disco dal vivo, so che ci sono almeno venticinque minuti di canzoni mie decisamente pubblicabili. Per quel tour avevamo messo insieme materiale buono, veramente interessante…dopo ogni concerto me ne andavo con mio figlio, il cane e due amici. Così potevo essere fresco ed essere pronto per ogni spettacolo” NEIL YOUNG, 1975
© Joel Bernstein
“…ovviamente i soldi sono parecchi. Voglio dire, posso costruirmi il tipo di studio che voglio e non ho scuse. Non credo che stiamo derubando nessuno, se alla gente non interessasse non verrebbe ai concerti. Questa è la differenza tra business e arte e noi quattro siamo tutti estremamente dediti alla nostra forma d’arte.” STEPHEN STILLS, 1974
"Ogni cosa sarebbe stata di prima classe. I viaggi si sarebbero svolti a bordo di aerei privati, elicotteri e limousine scortate dalla polizia. In tutti gli alberghi, federe ricamate a mano con il disegno che Joni (Mitchell) aveva realizzato di noi quattro, serigrafato in cinque tinte sulla parte anteriore. Il medesimo logo era impresso a fuoco su vassoi di tek che utilizzavamo in tutti i concerti. Dormivamo ogni notte in enormi suite , nei migliori alberghi, con il cibo più incredibile: sushi, champagne, aragosta, caviale a non finire. Avevamo un tizio che ci riforniva di un grammo di coca al giorno. Una volta, chiamai il mio amico Mac e chiesi:" Che ti succede se mandi giù un intero grammo di coca, perché credo di aver appena assunto una capsula di coca insieme alle mie vitamine?". Disse: "Non preoccuparti, guarda la tv e basta. Non ti succederà nulla". Incredibilmente decadente." GRAHAM NASH
"Furono un paio di mesi selvaggi, sfrenati, orgiastici, licenziosi, ricchi di scene assurde e, spesso, di musica meravigliosa" GRAHAM NASH

vedi anche
RECENSIONE: DAVID CROSBY-Croz (2014)
COVER ART: NEIL YOUNG (On The Beach, 1974)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Storytone (2014)
RECENSIONE LIBRO: GRAHAM NASH (Wild Tales)