domenica 28 agosto 2022

RECENSIONE: PAOLO NUTINI (Last Night In The Bittersweet)

PAOLO NUTINI   Last Night In The Bittersweet (Atlantic, 2022)



quando un disco è bello non ha bisogno di etichette. E Last Night In The Bittersweet è bello!

Paolo Nutini ha sempre avuto tutto dalla sua parte: una voce incredibilmente soul (ah quelle voci bluesy scozzesi!), una rara capacità di scrittura pop, l'indole e il carisma per arrivare all'ascoltatore più distratto. La presenza. Nonostante tutto, partendo dalle cose più facili ottenute con il minimo sforzo in gioventù, negli anni non ha mai smesso di crescere, sperimentare, imboccare nuove strade che partendo da una buona base pop potessero raggiungere altri generi. Il percorso inverso di tanti altri. Last Night In Bittersweet esce a ben otto anni dal suo ultimo disco Caustic Love (che fu una dichiarazione d'amore per il soul) e tocca il vertice di questa sua instancabile, preziosa ricerca -e crescita- che  se volessimo delimitare da due punti fermi dentro a questo disco si potrebbero visualizzare concretamente nel crescendo soul di 'Through The Echoes' al battito elettro di kraut rock in 'Lose It'. Il passato e il futuro. Tutto il presente dentro.

In mezzo 70 minuti di canzoni scritte in modo sublime che non danno troppi punti di riferimento ma ottengono punti al valore. Scritte e suonate in modo impeccabile nuotando con disinvoltura dentto una vasta gamma di emozioni e turbolenze che ha raccolto negli otto anni di assenza discografica: gli anni settanta di 'Everywhere' e 'Children Of The Stars' con belle chitarre e tutta quella brezza West coast che ci soffia sopra, una 'Radio' che non dispiacerebbe al canzoniere di Ryan Adams, il country folk alla Johnny Cash di 'Abigail', un inno alla felicità da (ri)trovare, la psichedelia di 'Heart Filled Up', la marzialità indie rock di  'Shine A Light', la ballata al pianoforte 'Julienne', una piccola gemma, che potrebbe essere il vero anello di congiunzione tra Paul McCartney e John Lennon più introspettivi, il tranquillo folk finale di 'Writer' che va a cozzare con 'Afterneath' il modo quasi violento e disturbato, con i suoi gorgheggi alla Robert Plant, con il quale il disco si apre e che contiene  un dialogo rubato al film True Romance (Una Vita Al Massimo) sceneggiato da Quentin Tarantino.

Un disco in movimento, ricco di spunti, certamente ambizioso, che non contiene tormentoni (come lo furono in passato 'New Shoes' e 'Candy') che potrebbe insegnare molto a tanti nomi più blasonati e sulla breccia da decenni su come si possano portare a termine  settanta minuti di musica senza perdersi per strada. Certo ci sono voluti otto anni ma ne è valsa la pena.





giovedì 25 agosto 2022

RECENSIONE: NAZARETH (Surviving The Law)

NAZARETH  Surviving The Law (Frontiers Records, 2022)



verso il futuro

Quando hai un cantante dalla voce unica e caratteristica come fu quella di Dan McCafferty, che però ad un certo punto della carriera (più di cinquant'anni) è costretto a lasciare per motivi di salute, hai una mazzo di scelte per proseguire la strada: ti ritiri perché il meglio lo hai già dato e quel cantante è insostituibile, continui con un altro cantante che cerca di scopiazzare l'ugola altrui, oppure continui con un altro cantante dal timbro diverso e cambi il sound pur mantenendo continuità con il passato. Gli scozzesi Nazareth hanno optato per la terza via, hanno rischiato ma in qualche modo stanno avendo ragione. Guidati dal veterano e unico superstite della formazione storica, il bassista Pete Agnew, Surviving The Law è un album solido e compatto di hard rock con puntate metal e blues racchiuso in una orribile e anonima copertina che non fa il suo dovere. E qui un giorno qualcuno ci racconterà perché nessuno investe più nella nobile arte delle copertine. Carl Sentance (già Krokus, Don Airey Band) è un cantante esperto e formato, con caratteristiche tutte sue. Dopo il rodaggio del precedente Tattooed In My Brain, qui riesce a prendere in mano le redini del gruppo e trasportarlo verso una nuova fase di carriera, il tutto registrando le sue parti vocali lontano dalla band in piena pandemia. Un disco quadrato che fin dall'apertura 'Strange Days' mostra muscoli e dinamicità. 

Un suono sempre fresco sia quando accelerano in 'Runaway', dai vaghi sentori NWOBHM, nel blues pesante 'Sweet Kiss', nel grido d'indipendenza scozzese che esce chiaro e forte nella sincopata 'Let The Whisky Flow', nel blues finale 'You Made Me' con Agnew che si impadronisce del microfono. Quattordici canzoni che non fanno gridare al miracolo ma mantengono in vita un gruppo onesto e dalla scorza dura e forte come lo stomaco di chi accompagna un piatto di Angus con il migliore dei Whisky invecchiati.





sabato 20 agosto 2022

DISCHI in BREVE: BEN HARPER (Bloodline Maintenance)

BEN HARPER  Bloodline Maintenance (Chrysalis, 2022)


ritorno al passato

Che bello Bloodline Maintenance il nuovo album di BEN HARPER. Un disco quasi ostico (nessun singolone acchiappa masse) che si apre con un gospel a cappella ('Below Sea Level'), personale (già dalla copertina che lo ritrae in una vecchia e bella foto in compagnia del padre Leonard, molto assente nella sua vita, nel testo di 'Problem Child' con i fiati di Geoff Burke) e combattivo il giusto: in 'We Need To Talk About It' tratta il razzismo con frasi dure (" immagino che chiunque dica che il tempo guarisce tutte le ferite non fosse uno schiavo"), in 'Where Did We Go Wrong' denuncia e da una voce a chi non vuole farsi piegare dalle direzioni sbagliate che la sua America e più in generale il mondo stanno prendendo.

Un disco che solo i grandi possono permettersi a una certa età ma che non tutti hanno il coraggio di fare. Un ritorno forte alle radici. Tutte le radici.

Guarda al Blues dei padri ('Knew The Day Was Comin') e alla black music dall'inizio alla fine (bello il soul di 'Honey Honey'), con Harper che suona quasi tutto da solo e l'anima gentile del compianto Juan Nelson che gira intorno e fa da ispirazione. Un gran bel ritorno. 



mercoledì 17 agosto 2022

NEBULA: disco (Transmission From Mother Earth) e concerto Live@Blah Blah, Torino, 4 Agosto 2022

 

NEBULA  Transmission From Mother Earth (Heavy Pych Sounds, 2022)

Transmission From Mother Earth è il settimo album dei californiani NEBULA, il secondo dopo la reunion del 2019. Registrato nel deserto del Mojave, la band guidata da Eddie Glass sembra aver ritrovato l'antica forma. Certo, meno irruenza rispetto agli anni d'oro di To The Center (disco imprescindibile dello stoner anni novanta) ma tutta la maturità che permette di costruire canzoni stratificate, cangianti ('Transmission from the Mothership' alterna riff giganteschi alla melodia) che fluttuano tra psichedelia ('Wilted Flowers'), space rock ('Highwired') e stoner blues ('Existential Blues'), pure rileggendo a modo loro lo spaghetti western (la conclusiva 'The Four Horseman') con l'apice raggiunto nei sette minuti di 'Warzone Speedwulf' che riassume lo status operandi dei Nebula annata 2022, alternanza tra scosse elettriche cariche di fuzz e morbidi trip sopra a tappeti psych che volano alti da terra. Stooges meets Hawkwind. Tra i migliori viaggi lisergici di questa torrida estate (forse dell'anno, chissà chi farà meglio?) che lì vedrà protagonisti in Italia tra pochi giorni per una serie di date certamente da non perdere.


CONCERTO: NEBULA live@Blah Blah, Torino, 4 Agosto 2022

Eddie Glass si presenta sul palco con occhiali da sole e kefiah tirata su fino al naso, come se stesse surfando di notte attraverso la terra e la sabbia del suo deserto del Mojave in California, una tazza di the sul pavimento fa bella mostra di sé accanto alla pedaliera, il batterista Mike Amster indossa la stessa t shirt di Paranoid dei Black Sabbath vista proprio qui quando accompagnò i Mondo Generator di Nick Oliveri e picchia sempre come un fabbro sul ferro, mentre Tom Davies è imponente come il suo basso.

Siamo invece in pieno centro a Torino città, il caldo interminabile di questi mesi è stemperato dall'aria condizionata e dentro al Blah Blah, nonostante le piccole dimensioni, si sta sempre da dio. Ci ho visto tanti concerti in questi mesi. Un set che dura poco più di un'ora per dimostrare quanto l'ultimo album fresco di pochi giorni Transmission From Mother Earth, abbia ridato al gruppo californiano quella centralità che compete loro tra le band stoner più legate al blues psichedelico dei seventies. La copertina del loro primo disco To The Center, invece, in venticinque anni ha guadagnato la vetrina della storia. Difficile scalzarla o solo dimenticarla.

Poche parole, il cantato di Glass non è certamente la loro arma forte, a parlare è sempre la musica. 

Glass guida sempre le danze, la ritmica lo segue con fedeltà anche nelle improvvisazioni e divagazioni.


Si intrecciano riff pesanti, carichi di fuzz e si ondeggia con la testa, con divagazioni space psichedeliche, fumose, acide, si chiudono gli occhi cercando di immaginarsi con una kefiah sulla bocca, surfando tra la sabbia, le rocce, il cielo blu e le stelle sopra. Blue Cheer, Black Sabbath, Hawkwind, Jimi Hendrix e Stooges giocano la loro partita a poker. Glass incassa. 

Forse dieci minuti in più avrebbero fatto la felicità di tutti ma agli artisti va sempre l'ultima parola. Il banchetto del merchandise è ricco, i prezzi ragionevoli (il nuovo disco in cd a dieci euro): si paga anche per uscire, anche se dentro, tra fresco e musica, si sta molto meglio. Però realizzo che domani è venerdì, ed è pure l'ultimo giorno prima delle ferie...




sabato 13 agosto 2022

RECENSIONE: ZZ TOP (That Little Ol' Band From Texas- Original Soundtrack)

 

ZZ TOP  That Little Ol' Band From Texas- Original Soundtrack (BMG, 2022)




l'ultima suonata di Dusty Hill

Nudi e crudi come papà Texas li aveva cresciuti. Poi vabbè hanno deviato alcune strade durante il percorso verso la notorietà mondiale. Però se il cerchio doveva chiudersi, bello ritrovarli così, in un disco pulito senza colpi di straccio, grezzo e imperfetto il giusto.

"Un ritorno alle nostre radici" scrivono nelle note al disco "solo noi e la musica". Nemmeno il pubblico in queste registrazioni live avvenute al Gruene Hall, la più vecchia sala da ballo del Texas. Solo i "tre uomini": Billy Gibbons, Dusty Hill e Frank Beard. Sembra che i tre fossero li per altre cose ma non vuoi mica non suonare quando trovi gli strumenti già sul palco?

Sono le ultime registrazioni di Dusty Hill (naturalmente il disco è a lui dedicato) e vengono alla luce sottoforma di colonna sonora per il documentario Netflix That Little Ol' Band From Texas andato in onda nel 2019 ma ancora assente in Italia. Si parte dalla vecchia 'Brown Sugar' e si toccano le immancabili 'La Grange', 'Tush' fino alla sensuale e notturna 'Blue Jean Blues'. E anche quando negli anni ottanta le luci di Las Vegas sembravano offuscare e avere la meglio sulla polvere texana, qui 'Gimme All Your Lovin' diventa calda e torrida come a inizio carriera. Domani sarà passato un anno esatto dalla scomparsa di Dusty Hill e l'omaggio mi sembra puntuale e perfetto. 





martedì 9 agosto 2022

RECENSIONE: WHISKEY MYERS (Tornillo)

 

WHISKEY MYERS   Tornillo (Thirty Tigers, 2022)



veterani del nuovo southern

Il precedente disco uscito nel 2019 aveva tutte le caratteristiche di un nuovo inizio: intitolato semplicemente con il nome della band, presentato da una candida copertina bianca in stile "white album", novità come l'autoproduzione dopo gli anni insieme a David Cobb e infine un suono sempre più caratteristico che faceva proprio southern rock, soul di casa muscle shoals, country e rock'n'roll. Il nuovo album intitolato Tornillo, nome preso in prestito dal luogo in Texas che ospita gli studi di registrazione Sonic Ranch dove il disco ha preso vita, conferma quegli indizi dando più vigore al tutto, cominciando dalla splendida copertina disegnata dall'artista texano Zachary EZ Nelson, in netta contrapposizione con la precedente, che richiama il Texas e alcuni simboli cari agli ZZ Top. Ecco: la cura delle copertine non guasta mai in questi tempi sempre più asettici.

Che Cody Cannon (cantante e autore) e compagni sappiano scrivere canzoni lo si intuisce fin dal trittico iniziale: quando l'intro 'Tornillo' breve strumentale dai sapori tex mex e tromba mariachi lascia il posto al trascinante southern funky 'John Wayne' dove la band sconsolata sembra "guardare il mondo andare in fiamme" e dalla successiva e tosta 'Antioch', con il soul che insegue il rock'n'roll. Con la presenza dei cori delle McCrary Sisters e il largo uso di strumenti a fiato le canzoni della band si sono riempite, colorate di mille sfumature (il bel blues nero di 'Bad Medicine'), anche se non mancano episodi più veloci e boogie ('Feet's') hard come ' The Wolf' e 'Other Side' o ballad come 'When World Gone Crazy', l'arioso e epico country di 'For The Kids', un atto d'amore, 'Heavy In Me', la malinconica 'Heart Of Stone' che chiude il disco.

Tornillo si candida a diventare il nuovo punto di riferimento per la band di Palestine e se ciò succede dopo quindici anni di carriera, vuol dire che in questi anni hanno lavorato bene. E lasciatemelo dire, oggi come oggi, per me i Whiskey Myers si siedono sullo scettro di miglior southern rock band americana superando di gran lunga i Blackberry Smoke a cui voglio molto bene ma ai quali ho sempre imputato la mancanza di "canzoni".





sabato 6 agosto 2022

RECENSIONE: HANK WILLIAMS JR. (Rich White Honky Blues)

 

HANK WILLIAMS JR.  Rich White Honky Blues (Easy Eye Records, 2022)



figli

Appena uscito, Rich White Honky Blues ha debuttato al numero uno delle classifiche country americane. Questo per farci capire quanto Hank Williams Jr. conti ancora in patria. Uno che in vita ha dovuto trascinarsi dietro il fardello del pesante nome del padre (per poi darlo anche a suo figlio Hank III)  ma che in qualche modo si è costruito la sua onesta carriera tra country, southern rock e idee patriottiche che solo se vivi in America puoi capire e forse condividere. Dentro di lui però ha sempre bruciato il fuoco nero del Blues e un disco del genere arrivato a 73 anni sa di sfogo e liberazione. Non si sa se resterà solo un divertimento o un nuovo inizio. Intanto c'è!

Di country dentro a queste dodici canzoni, quindi, non sentirete nulla: questo è un omaggio al blues dall'inizio alla fine. Accanto a tre canzoni originali scritte da Williams ('Rich White Honky Blues', I Like It When It's Stormy', l'autobiografica ' Call Me Thunderhead') trovano posto composizioni di Robert Johnson, Muddy Waters, R.J.Burnside, Lightnin' Hopkins, Jimmy Reed. Quello che sorprende maggiormente è il suono catturato: grezzo, sontuoso, vero che Dan Auerbach è riuscito a cogliere in poche sedute di registrazione senza portarlo, una volta tanto, in territori Black Keys a lui cari. Registrato a Nashville all' Easy Eye Sound di Auerbach insieme a vere e proprie leggende del North Mississippi Country Blues come i chitarristi Kenny Brown e Eric Deaton, il batterista Kinney Kimbrough, l'armonicista Tim Quinne, Rich White Honky Blues pur non presentando sorprese ha la forza di sorprendere e tenerti incollato all'ascolto. Si sente l'amore, la devozione e il divertimento (pure qualche parola) girare tra i solchi delle canzoni. 

"Quando siamo entrati in studio, più abbiamo suonato, più siamo entrati in profondità – e più siamo entrati in profondità, più volevamo andarci".

E divertente è pure l'aneddoto che ha dato il titolo all'album e alla canzone omonima. Williams, "ma chiamatemi pure Thunderhead", dice sia arrivato in dono da un incontro che fece da adolescente con l'attore Redd Foxx, ossia il burbero rigattiere Fred Sanford della sit com americana Sanford and Son (ve la ricordate?) andata in onda nella prima metà degli anni settanta in America e nei primi anni ottanta in Italia. Una serie coraggiosa per l'epoca: gli attori erano tutti afroamericani e temi sociali e razziali non erano rari.

Il vecchio Redd disse di avere tutti i dischi papà Hank, così Thunderhead si immaginò Fred Sanford alle prese con il figlio Lamont nella sitcom:" Lamont! Why you hanging out with all those old rich white honkies for?'". Ecco il titolo! Una delle mie serie tv preferite che mi ricorda pomeriggi casalinghi davanti alla tv e i libri di scuola chiusi. Poi, scopro che la serie fu musicata da Quincy Jones. Tutto torna. Viva la musica.