mercoledì 6 ottobre 2021

RECENSIONE: ROCKETS (Alienation)

ROCKETS   Alienation (Recording Arts/Intermezzo, 1981/2021)



ritorno al futuro con il  disco dimenticato

Primi giorni di Agosto del 1980, nel piccolo stadio  di Caorle atterrano i francesi Rockets, proprio pochi giorni dopo la strage di Bologna. Avevo sette anni ma i dischi dei Rockets li ricordo nitidamente, conoscevo le canzoni, la cassetta di Plasteroid mandata a memoria, le copertine, loro mi facevano pure paura, e ricordo che mio fratello, sette anni più di me, nel pieno della sua adolescenza, a quel concerto ci andò. Io rimasi in campeggio con il mio pallone super tele, le mie bocce piene d'acqua, il frisbee nero con un fulmine come adesivo e i miei soldatini di plastica colorata ma con le orecchie ben tese sperando di intercettare qualche suono proveniente dalla lontana galassia della periferia della cittadina balneare. Nulla. Solo stelle e nemmeno cadenti. Andai a dormire deluso dopo aver certamente spento uno zampirone ma con la curiosità di sapere i dettagli. Il giorno dopo mi fu raccontato tutto nei minimi particolari: loro che uscirono da delle grosse uova, i famigerati raggi laser raccontati come fossero delle armi letali in grado di trapassarti il corpo. La ghigna sempre incazzata del cantante Christian Le Bartz, con il suo collo taurino che pareva un mix alieno tra Mussolini e Mastro Lindo. Il biglietto di quel concerto che conservai come se ci fossi andato io. 

Era il tour di Galaxy il loro album del 1980. Un successo incredibile soprattutto qui in Italia, grazie a canzoni come 'Galactica', 'Universal Band' e 'In The Galaxy'. 



Questo Agosto, a quarant'anni di distanza mentre ero sdraiato su un prato a godermi il sole estivo con il cellulare in mano (ecco il futuro che cantavano), da una pagina social scopro che ai primi di Ottobre avrebbe fatto capolino il famigerato "ghost album" dei Rockets, ossia l'album che sarebbe dovuto uscire dopo Galaxy nel 1981 ma che la casa discografica CGD bloccò perché non troppo in linea con il loro passato. Strano per una band che guardava al futuro. Subito dopo uscì il controverso p greco, 3,14 con due canzoni ('Hypnotic Reality' e 'King Of The Universe' ) prese dal disco abortito, rivedute e corrette, ma qui non sono presenti. 

Oggi tengo in mano quel disco in versione Cd che avevo immediatamente prenotato sdraiato sull'erba appena saputa la notizia. Le comodità del futuro. In quel 1980 pure il CD, sebbene già inventato dal signor James Russell sembrava una cosa da futuro lontano, almeno una manciata di anni. 

Si presenta bene con una copertina disegnata per l'occasione dallo scenografo e artista Victor Togliani, il logo è quello dei bei tempi, anche se le vecchie copertine avevano sicuramente un altro fascino vintage. Fabrice Quagliotti, unico membro che porta ancora avanti il marchio Rockets (esistono ancora sotto altra forma) ha acquistato i diritti di queste vecchie otto canzoni registrate tra la fine del 1980 a Parigi e i primi mesi del 1981 a Saint Souplet sotto la produzione del mentore Claude Lemoine

Otto canzoni recuperate da vecchie bobine 24 piste, scritte in comunione dalla formazione storica che oltre a Quagliotti alle tastiere e vocoder e al fantasma di Le Bartz alla voce (l'unico a non firmare nessuna canzone, pure assente al canto ma presente nei credits), comprendeva la mente di "Little" Gerard L'Her al basso e voce, Alain Maratrat alle chitarre e Alain Groetzinger alla batteria. 

A parte un paio di pezzi che si riallacciano ai precedenti dischi (l'apertura 'Non - Stop' è uno space electro rock, solido e alla loro maniera, sicuramente con le caratteristiche del singolo vincente), i Rockets in quel momento si stavano guardando intorno cercando di assorbire gli umori musicali che gravitavano intorno alla  loro galassia: ecco così l'elettro pop di 'Venus Queen' e 'Talk About', ficcanti e melodiche il giusto per entrare bene in testa, l'immancabile strumentale 'Electromental' che anticipava i Daft Punk, una stupefacente 'Children Of Time', il vero gioiello del disco che indica la via alle ballate synth pop dei futuri Depeche Mode, e una  'Sky Invaders', schizzata come se i Talking Heads amoreggiassero con i Kraftwerk che a loro volta flirtano con i Devo. Quanto amore. 

A sorprendere però è  'Skared', canzone totalmente avulsa dal loro repertorio e che pare uscire da Sandinista dei Clash, una patchanka tra ska, punk e reggae, che presenta alla voce un ospite misterioso: tale Johnny X (from London) che ad un primo ascolto pare proprio un ibrido tra Mick Jones e Joe Strummer. Suggestioni? Chissà? Il futuro non è scritto. 

Per un attimo sono tornato indietro a quella serata estiva del 1980 in campeggio, ho allungato ancora una volta il collo e sturato le oreccchie. Sento una voce provenire da molto vicino, questa volta, cantare: "to be on the run, dangerous game, all upside down, never the same".

Non li vedrò anche questa volta. Ma li sento. Sono tornati. Rimarremo con un solo grande dubbio: questo disco avrebbe cambiato la sorte della loro carriera?







1 commento:

  1. Ottima recensione: complimenti! Skared è (forse) cantata da John Lydon dei Sex Pistols

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