Ecco: se ascolto musica una parte di merito devo darla anche a quest'uomo. Perché se hai dieci anni e ti si para davanti l'assurda e pacchiana copertina di Speak Of The Devil un po' di curiosità nello scoprire cosa nasconda dentro ti assale. Da lì sbatti contro i Black Sabbath e tutto diventa una discesa...e poi, sinceramente, come si può voler male a "un ragazzino della classe operaia di Aston che ha lasciato il lavoro in fabbrica e ha cercato di spassarsela" come dice lui.
C'è chi porta avanti il neverending tour e chi in più di trent'anni ha annunciato tanti no more tour. Il primo nel 1991 fortunatamente non lo fu, fortunatamente anche per me visto che mi ha permesso di vederlo, anche se solo due volte: nel 1995 nel tour di Ozzmosis e nel 1998 con la reunion dei Black Sabbath. Certo avrei preferito stare sotto il palco nel 1973 e nel 1981 ma va bene così.
Mi sono divertito a stilare la classifica di merito dei suoi dodici album in studio. Siete invitati a dire la vostra. Se volete.
1- BLIZZARD OF OZZ (1980)
Gioca ad armi pari con i suoi ex compagni che puntano tutto su R. J. Dio e porta a casa un pareggio, forse pure qualcosa in più.
"Sparerei una stronzata se dicessi che durante le registrazioni di Blizzard non mi sentivo in competizione con i Black Sabbath..".
Il jolly lo pesca reclutando il giovane Randy Rhoads dai Quiet Riot. Da qui in avanti chiunque suoni pesante dovrà fare i conti con quel chitarrista. Nove canzoni perfette: da 'I Don' t Know' a 'Steal Away' passando da 'Crazy Train', 'Mr. Crowley', la discussa 'Suicide Solution' e la ballata 'Goodbye To Romance'.
2 - DIARY OF A MADMAN (1981)
Per me di poco sotto al debutto per il numero di canzoni da ricordare, ma Randy Rhoads nella lunga, intricata ed epica title track tira fuori tutte le sue influenze classiche ed è a livelli altissimi. Qualcuno preferisce questo al debutto, certamente la qualità e l'ispirazione sono immutate. Quelle del periodo d'oro che però sembra svanire in un solo colpo.
È il periodo della leggenda del pipistrello sul palco ma anche i giorni (il 19 Marzo 1982) che si portano via Randy Rhoads vittima di un assurdo incidente in volo. Sarà dura sostituirlo. "You Can't Kill Rock'n'Roll".
3 - NO MORE TEARS (1991)
Il disco della maturità anni novanta che alterna ballate (il grande successo di 'Mama, I' m Coming Home' passa anche attraverso Mtv) a momenti heavy come 'I Don' t Want To Change The World". "Cioè non puoi andare avanti ad oltranza con cose tipo sangue alla bocca…".
Melodia e chitarre. Zakk Wylde lascia il segno, Lemmy Kilmister la firma su alcuni brani. Il tour che seguì viene annunciato come l'ultimo della sua carriera. Naturalmente non fu così.
4 - THE ULTIMATE SIN (1986)
Ozzy, in quel periodo perso tra mille paranoie personali e cause legali (il suicidio di un ragazzo legato a 'Suicide Solution' più Bob Daisley e Lee Kerslake che pretendevano i loro soldi), non lo cita nemmeno nella sua biografia ma The Ultimate Sin è un disco di canzoni heavy, snelle e perfettamente incastrate in quegli anni ottanta segnati dai capelli cotonati. Secondo disco con il chitarrista Jake E. Lee e con un paio di canzoni da ricordare come 'Shot In The Dark' e 'Killer Of Giants'.
5 - OZZMOSIS (1995)
Un disco scuro e dark, pieno di ottime canzoni: 'Perry Mason', 'Thunder Underground', 'See On The Other Side', 'Old LA Tonight'. In formazione anche il vecchio amico Geezer Butler al basso, preludio alla prima vera reunion dei Black Sabbath dopo il Live Aid del 1985.
6 - BARK AT THE MOON (1983)
Il difficile compito di sostituire il povero Randy Rhoads spetta a Jake E. Lee ma rimanere ai livelli dei primi due dischi è difficile. Più melodico ma con la title track che da qui in avanti non mancherà nelle Setlist live. Già, proprio il seguente tour con i giovanissimi e affamati Mötley Crue lo vedrà protagonista di ogni possibile eccesso.
7 - NO REST FOR THE WICKED (1988)
Il fiuto di Ozzy tira fuori dal cilindro un altro guitar hero: Zakk Wylde. Un biondo chitarrista amante del southern rock e dai suoni pesanti. Manca l'ispirazione migliore ma 'Miracle Man' non le manda a dire. Ozzy entra in un periodo nero di riabilitazione dal "demone alcol".
"Avevo 40 anni e il mio organismo cominciava a perdere colpi".
8 - PATIENT NUMBER 9 (2022)
Ozzy ci canta e ci annuncia la sua fine da almeno trent'anni salvo poi dirci che è "immortale" come canta in in questo ultimo disco, uscito a due anni di distanza da Ordinary Man, che già era stato annunciato come ultimo disco. Quindi, regola numero uno: Ozzy, fottiti, io non ti credo più. Regola numero due: in qualunque condizioni abbia registrato queste ultime canzoni (tanti aiuti alla voce presumo) godetevele. Più heavy, moderno e compatto del precedente Ordinary Man, che giocava con il pop. In produzione (ma anche musicista presentissimo) sempre Andrew Watt che secondo me si diverte un mondo. Tanti gli ospiti tra cui spiccano Eric Clapton, Tony Iommi e Jeff Beck.
9 - DOWN TO EARTH (2001)
Il seguito di Ozzmosis, suoni pesanti e dietro una superba band con Mike Bordin (Faith No More) alla batteria, Robert Trujllo (Suicidal Tendencies) al basso e l'immancabile Wylde. È il momento della serie TV "The Osbournes". Ozzy diventa quasi una macchietta ma la sua popolarità travalica i confini musicali.
10 - ORDINARY MAN (2020)
Un "all right now" gridato come ai vecchi tempi, poi la sua inconfondibile risata malefica. Ordinary Man, a dieci anni dall'ultimo disco, inizia nel segno della tradizione. Tanti richiami al passato ('Under The Graveyard') e la commovente title track che sa di testamento, una ballata al pianoforte che da Ozzy Osbourne abbiamo già sentito tante altre volte. La grande differenza qui la fanno il pianoforte e la voce dell'ospite sir Elton John e l'assolo di chitarra lasciato da Slash.
11 - BLACK RAIN (2007)
Un disco di mestiere che arriva a sei anni dal precedente e con la fama all'apice grazie agli Osbournes. A parte i testi che sembrano gettare lo sguardo su quello che sta succedendo nel mondo, guerre, inquinamento, ecologia in testa, suona tutto troppo perfetto e a parte 'I Don' t Wanna Stop' difficile ricordare altre canzoni memorabili.
12 - SCREAM (2010)
Per dieci lunghi anni è rimasto l'ultimo suo album. Con il chitarrista greco Gus G al comando e l'aiuto di Kevin Churko in fase di composizione. Mestiere, modernità e qualche acuto ('Let Me Hear You Scream'). Rimane il disco che ho ascoltato di meno. Chissà, in attesa di essere rivalutato un giorno.
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Ph: Paul Natkin |