KING WITCH III (Listenable Records, 2025)
re e regina
Una delle poche cose che mi hanno deluso del concerto d'addio di Ozzy Osbourne e Black Sabbath tenutosi a Birmingham il 5 Luglio scorso è stata l'assenza pressoché totale dei veri figli del suono creato da Tony Iommi e soci. Chessò non c'era nessun rappresentante di gruppi come Pentagram (più che figli quasi gemelli in questo caso), Trouble, Candlemass, Saint Vitus, Cathedral ma neppure della scena stoner degli anni novanta (Kyuss e derivati, Sleep). Certo, troppo di nicchia rispetto ai grandi nomi coinvolti. Tornando alle band dei nostri giorni, su quel palco, invece, ci avrei visto bene gli scozzesi (di Edimburgo) King Witch che a inizio estate sono usciti con III, loro terzo disco uscito a cinque anni dal secondo, che senza ombra di smentite li catapultata tra i grandi della scena doom metal odierna, anche se il genere va un po' stretto visto la loro capacità nell'inglobare certo hard blues di matrice seventies e folk anglosassone.
Nati nel 2015, la band guidata dalla straordinaria cantante Laura Donnelly, dal chitarrista Jamie Gilchriest e dal bassista Rory Lee, sembra aver trovato la propria via in un contesto che parte proprio dai Black Sabbath e via via sale su, inglobando la nuova ondata del metal inglese dei primi anni ottanta, il doom svedese dei Candlemass fino ad arrivare alle band Grunge più legate al metal come Alice In Chains e Soundgarden dei quali rifanno una versione stratosferica di 'Jesus Christ Pose', aggiunta come bonus track. Il tutto condito da liriche per nulla banali legate da un concept sull'innata capacità di autodistruzione dell'uomo moderno e l'eventuale sua salvezza da cercare nella natura.
Che si tratti di cavalcate stoner doom come l'iniziale 'Suffer In Life' della più veloce e groovy 'Digging In The Dirt', di lente discese negli inferi del doom ('Sea If Lies'), delle più folkie e sognanti atmosfere di 'Little Witch' e 'Behind The Veil', o dei chiaro scuri di una canzone come 'Last Great Wilderness' che con i suoi contrasti tra esplosioni elettriche e melodia mi ha ricordato molto i nostrani Messa, i King Witch non deludono mai. Già, sono proprio i chiaro scuri, ben evidenziati dalla bella copertina a rappresentare, insieme alla duttile voce della Donnelly, i punti di forza di una band che da ora in avanti può iniziare a fare la voce grossa.
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