SEASICK STEVE
‘SONIC SOUL SURFER’
(Caroline International/Universal)
Il vecchio e il mare
Steve parcheggia il verde trattore John Deere sul lungomare e si catapulta in spiaggia. Si tuffa in acqua con una tavola da surf, esorcizzando la paura che gli ha procurato il soprannome, gridando a tutti quanto è bella la vita in California (‘Summertime Boy’) mentre uno schiacciapensieri suonato da Ben Miller saltella tra le ormai mitiche chitarre artigianali. Ma non bisogna farsi ingannare dal singolo, dopo il più addomesticato e prodotto ‘Hubcap Music’ è un ritorno al suono blues, anche contaminato, ma puro e grezzo dei primissimi dischi. “L’intero disco è stato registrato da me e Dan Magnusson mentre eravamo seduti a bere e suonare”. Improvvisato interamente nella sua fattoria con il fedele batterista e compagno di sbronze, ‘Sonic Soul Surfer’ è un disco di riflessione sul tempo che passa, costruito tra assalti boogie (‘Sonic Soul Boogie’), oscuri blues (‘Dog Gonna Play’), hillbilly (‘In Peaceful Dream’) e amare ballate acustiche (‘Heart Full Of Scars’). (Enzo Curelli)
da CLASSIX! #43(Marzo/Aprile)
STEVE EARLE &THE DUKES
‘TERRAPLANE’
(New West Records)
Omaggio blues
“…un giorno quando sarebbe arrivato il momento, avrei fatto un disco blues”. Così Steve Earle, nelle note di copertina, presenta il nuovo album: undici inediti che vogliono essere un’ode ai grandi, da Robert Johnson a Howlin’ Wolf, da Lightnin’ Hopkins a Freddie King e ZZ Top, e che aspettavano il momento giusto per farsi strada tra la lunga discografia. Un disco essenzialmente di blues elettrico con il chitarrista dei Dukes, Chris Masterson, a fare lo sporco lavoro in prima linea. Canzoni d’amore e sesso (‘Baby Baby Baby’, ‘You’re The Best Lover That I Ever Had’), d’abbandono (‘Better Off Alone’), redenzione (‘King Of The Blues’) e crocicchi diabolici (‘Tennessee Kid’) con la varietà musicale assicurata dai violini e dalla seconda voce femminile in ‘Baby ‘s Just As Mean As Me’. Un buco tappato nella discografia che però lascia entrare qualche spiffero. Earle ci ha sempre abituati al meglio, ma qui sembra giocare troppo con gli stereotipi. Un peccato che comunque gli perdoniamo. (Enzo Curelli)
da CLASSIX!#43 (Marzo/Aprile)
vedi anche
RECENSIONE: SEASICK STEVE-Hubcap Music (2013)
RECENSIONE: STEVE EARLE-The Low Highway (2013)
lunedì 27 aprile 2015
giovedì 16 aprile 2015
RECORD STORE DAY 2015 revisited
RECORD STORE DAY 2015 revisited (ossia: l'articolo dello scorso anno ampliato con nuovi artisti, dischi e racconti)
Un ringraziamento collettivo a tutti i musicisti (quelli dello scorso anno e nuovi) che hanno riaperto lo scrigno dei ricordi, rovistato tra i dischi della loro memoria, soffiato tra la polvere del tempo, estratto la nostalgia dalla busta, posato la puntina tra un sogno e una canzone; condividendo le loro primissime emozioni legate alla musica, ad un vinile che girava, una copertina che li ammaliava, un testo che li rapiva. A tutti quelli che hanno varcato nuovamente la porta di quel vecchio negozio di dischi, quello che esiste ancora e tiene duro e quello che nel frattempo è diventato un dispersivo e freddo centro commerciale.
Leggendo questi racconti si possono trovare tracce del proprio passato: cambiano gli anni, cambia il disco, cambia la copertina, cambia il negozio...la passione è la stessa per tutti. Intanto, il disco continua a girare...
fai girare i dischi: clicca QUI
Un ringraziamento collettivo a tutti i musicisti (quelli dello scorso anno e nuovi) che hanno riaperto lo scrigno dei ricordi, rovistato tra i dischi della loro memoria, soffiato tra la polvere del tempo, estratto la nostalgia dalla busta, posato la puntina tra un sogno e una canzone; condividendo le loro primissime emozioni legate alla musica, ad un vinile che girava, una copertina che li ammaliava, un testo che li rapiva. A tutti quelli che hanno varcato nuovamente la porta di quel vecchio negozio di dischi, quello che esiste ancora e tiene duro e quello che nel frattempo è diventato un dispersivo e freddo centro commerciale.
Leggendo questi racconti si possono trovare tracce del proprio passato: cambiano gli anni, cambia il disco, cambia la copertina, cambia il negozio...la passione è la stessa per tutti. Intanto, il disco continua a girare...
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lunedì 13 aprile 2015
RECENSIONE: DUKE GARWOOD (Heavy Love)
DUKE GARWOOD Heavy Love (Heavenly, 2015)
“Uno dei miei
artisti preferiti e una delle migliori esperienze di registrazione della mia
vita”.
Il miglior ritratto di Duke Garwood, cantautore e polistrumentista britannico,
lo dipinge un generoso Mark Lanegan all’indomani dell’uscita di ‘Black Pudding’
nel 2013, album che vide la collaborazione tra i due. Garwood ringrazia: “ora sono più vecchio, sì, ma mi sento a
mio agio. Lavorando con Mark ho trovato una marcia in più nel mio corpo, nella
mia mente. Penso che si senta su ‘Heavy Love’”. Complimenti meritati che si
vanno ad aggiungere a quelli di tanti altri personaggi che contano: da Kurt
Vile, a Greg Dulli, fino a Seasick Steve e Josh T Pearson. Tutti sembrano avere
una buona parola per lui. Nato nel Kent rurale da una povera famiglia, a soli
quattro anni riceve la prima chitarra, a cinque impara a suonare piano e
violino, a diciassette inizia il suo viaggio, non ancora terminato. Garwood è
un vagabondo della musica, un musicista che è stato in grado di assorbire input
da ogni luogo che ha visitato: dalla Thailandia al Marocco a Parigi, fino alla
deludente esperienza a Cuba sulle orme di Compay Segundo, Omara Portuondo e "il
sogno di Che Guevara. Ma non ho trovato niente di tutto ciò. E’ stato tutto
molto deprimente, e sono tornato con qualche grave malattia della giungla,
quasi morto. " Il suo blues è un concentrato di strade impervie, mai
troppo comode ma permeate di magia e magnetismo d’altri tempi, in grado di
catturare l’attenzione pur mantenendo sempre toni sommessi che sfiorano la più
abissale profondità dei sentimenti umani. Più ombre che luci.
Un lento crescendo, minimale, costruito su una chitarra ondeggiante ed ipnotica e una voce quasi sussurrata ma che scava prepotentemente. In ‘Heavy Love’, il quinto album solista registrato nei Pink Duck Studio di Josh Homme a L.A., vi convivono le atmosfere desertiche degli amici Tinariwen nella ipnotica title track (con Jehnny Beth delle Savages alla seconda voce), quelle contemplative (‘Disco Lights’), confessionali (‘Sweet Wine’) e notturne “penso che la maggior parte delle mie cose sia musica notturna. ‘Heavy Love’ è principalmente registrato nel corso della giornata, ma scrivo durante la notte, fatta eccezione per la title track”. Per chi è rimasto orfano e deluso dalle ultime derive new wave toccate da Lanegan, Duke Garwood è una valida alternativa assolutamente da ascoltare. Il momento è quello giusto: uscire dalla pur lucente invisibilità che ne ha segnato la carriera è diventato un suo diritto. (Enzo Curelli) da CLASSIX! #43 (Marzo/Aprile)
vedi anche
MARK LANEGAN BAND live @ Alcatraz, Milano 5 Marzo 2015
Un lento crescendo, minimale, costruito su una chitarra ondeggiante ed ipnotica e una voce quasi sussurrata ma che scava prepotentemente. In ‘Heavy Love’, il quinto album solista registrato nei Pink Duck Studio di Josh Homme a L.A., vi convivono le atmosfere desertiche degli amici Tinariwen nella ipnotica title track (con Jehnny Beth delle Savages alla seconda voce), quelle contemplative (‘Disco Lights’), confessionali (‘Sweet Wine’) e notturne “penso che la maggior parte delle mie cose sia musica notturna. ‘Heavy Love’ è principalmente registrato nel corso della giornata, ma scrivo durante la notte, fatta eccezione per la title track”. Per chi è rimasto orfano e deluso dalle ultime derive new wave toccate da Lanegan, Duke Garwood è una valida alternativa assolutamente da ascoltare. Il momento è quello giusto: uscire dalla pur lucente invisibilità che ne ha segnato la carriera è diventato un suo diritto. (Enzo Curelli) da CLASSIX! #43 (Marzo/Aprile)
vedi anche
MARK LANEGAN BAND live @ Alcatraz, Milano 5 Marzo 2015
lunedì 6 aprile 2015
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