venerdì 10 gennaio 2025

RECENSIONE: RINGO STARR (Look Up)

RINGO STARR  Look Up (Lost Highway, 2025)




e poi arriva Ringo Starr che inizia il 2025 nel migliore dei modi possibili. Che bel disco!

Guardando Ringo Starr è veramente difficile credere alla data di nascita riportata sulla sua carta d'identità: chi non vorrebbe arrivare a 84 anni in quella forma (ricordando sempre la tubercolosi che superò da bambino), vestito così e con quell'umore che lo ha sempre contraddistinto fin dalla prima volta che Pete Best gli lasciò le bacchette per diventare il batterista del più leggendario gruppo rock'n'roll di sempre. Oggi è uscito questo Look Up che rinnova il mai negato amore di Ringo per la country music, dai tempi di Rory Storm and the  Hurricanes, passando da  'Act Naturally' di Buck Owens a  'Don't Pass Me By' presente nel White Album, con il culmine toccato con il suo album del 1970, Beaucoups Of Blues, registrato a Nashville e proseguito a fasi alterne durante tutta la carriera ma mai così dichiarato come ora.

"Prima del rock ascoltavo country e blues, tanto che volevo emigrare in Texas per vivere vicino al mio preferito che era Lightnin’ Hopkins. Quello che i fan hanno vissuto per i Beatles, io l’ho provato per lui».

Look Up è  un disco piacevolissimo scritto quasi interamente con il produttore e amico di vecchia data T-Bone Burnett. Doveva essere un Ep, Burnett l'ha fatto diventare un signor disco e ci ha messo i suoi fidi musicisti: "stavo realizzando degli EP e quindi pensavo che avremmo fatto un EP country, ma quando mi ha portato nove canzoni sapevo che dovevamo fare un album! E sono così contento di averlo fatto" ha dichiarato Ringo.

Suonato e cantato insieme a tanti ospiti come Alison Krauss, nella chiusura quasi commovente 'Thankful', commiato agreste da "peace and love" tra un campo di pedal steel. Tanti i giovani come il chitarrista trentenne Billy Strings nei rockabilly 'Breathless' che apre il disco e 'Never Let Me Go' e nella più elettrica dagli accenti southern 'Rosetta' insieme alle Larkin Poe.  

C'è la cantautrice Molly Tuttle nel rock più moderno della title track, nella folkie 'I Live For Your Love', nel country alla Johnny Cash/June Carter di 'Can You Her Me Call' e in  'Strings Theory' ancora con le Larkin Poe ospiti, infine i Lucius nel country dall'aria pionieristica 'Come Back'. 

Ringo Starr si canta da solo, in modo magnifico, due numeri sopraffini come la stupenda 'Time On My Hands' adagiata su un tappeto di archi e pedal steel con la presenza di David Mansfield e 'You Want Some', scritta da Billy Swan, dove l'ascolto diventa difficile senza  immaginarla suonata insieme ai suoi vecchi compagni Paul, John e George. Country meets Beatles all'ennesima potenza.

Dimenticavo: Ringo suona la batteria su tutti i brani e contribuisce a lasciare sulle undici canzoni una ampia pennellata di ottimismo sopra a questi tempi moderni dai toni neri e cupi. Uno dei suoi dischi più belli di sempre che rompe anche l'abusato cliché che vuole i grandi del rock (perché lo è) a dare il meglio di loro stessi solo in giovane età. Ascoltate qui. L' ennesima rivincita di Ringo.




RECENSIONE: SHOTGUN SAWYER (Shotgun Sawyer)

 

SHOTGUN SAWYER  Shotgun Sawyer (Ripple Music, 2024)




blues & fuzz

Mi occupai di loro in occasione dell'uscita del secondo disco Bury The Hatchet mentre eravamo inconsapevolmente alle porte di due anni bui come la pece. La band di Auburn (California) ritorna a distanza di cinque anni con un album che si porta dietro l'esperienza del lockdown (molte canzoni qui contenute sono nate in quei giorni) ma sopratutto si trascina la diagnosi del disturbo ADHD che il cantante e chitarrista Dylan Jarman si è visto piombare addosso. Questo disco è un nuovo inizio come spiega lo stesso cantante: "potrebbe sembrare controintuitivo aspettare un terzo disco per pubblicare un album omonimo, ma non mi è venuto in mente un modo migliore per comunicare che questi sono i Shotgun Sawyer. Sicuramente, qualcosa di nuovo sta iniziando da qui " .

Un nuovo inizio che sembra però partire da molto lontano, da dove tutto è partito per quello che ancora oggi chiamiamo rock'n'roll.

Abbandonate anche se non del tutto le derive più hard e stoner dei precedenti dischi che fanno capolino spesso e volentieri (questa la vera arma in più), il sound della band californiana sembra abbracciare con più convinzione il blues delle radici, in ogni sua forma cercando la non facile strada di rileggerlo infangandolo tra tonnellate di fuzz e facendolo evadere su nuvole di psichedelica.

Se 'Cock N'Ball' è un blues dei padri con l'armonica ospite di Brian Souders, la luciferina 'Hopeless' è giocata a tutta slide, 'Going Down' è lo standard blues di Freddie King, 'The Sky Is Cryng'  il classico lento piangente che rende omaggio a Elmore James  e in 'Tired' a presentarsi è il nuovo batterista Cody Tarbell (dagli Slow Season) che ha preso il posto del vecchio batterista David Lee (completa il trio,il bassista Brett "The Butcher" Sanders), a colpire maggiormente sono le tracce dove cercano di metterci del loro. 

'Bye Bye Baby Boogie' è un blues da treno in corsa, micidiale e veloce, con un intermezzo fuzz che riporta alla mente gli inavvicinabili Clutch, 'Isildur's Bane' un blues malato e psichedelico dal passo quasi doom e sabbathiano, 'Master Nasty' asta l'asticella elettrica giocando i suoi minuti in una lunga jam stoner mentre la finale 'That's How It Goes' sporca ancor più di fango la lezione dei Creedence Clearwater Revival chiudendo un disco che pur uscito a inizio Dicembre del 2024 ha tutto il tempo per diventare il protagonista del nuovo anno per chi cerca   ancora quelle variazioni sul tema che gioventù e fresca energia riescono ancora a portare a un suono genitoriale così radicato e immortale.




lunedì 6 gennaio 2025

RECENSIONE: PAOLO BENVEGNÙ (Hermann)

uno scritto ritrovato di quattordici anni fa per un disco che ho amato fin dal primo ascolto


PAOLO BENVEGNÙ  Hermann ( La Pioggia Dischi, 2011)



Ci vuole del tempo, quello che si trova dopo una giornata di lavoro, la sera quando tutti i pensieri e le domande del giorno vengono accantonate. Quel tempo spesso prezioso da dedicare a se stessi, ad un libro o al disco di Paolo Benvegnù. Liberate la mente perchè il terzo disco dell'ex cantante dei Scisma ha tanto da offrire per riempirvela nuovamente. Un disco che conferma Benvegnù come uno dei migliori cantautori attualmente in Italia e uno dei pochi a poter ereditare la forma e la sostanza della cara categoria.

Ambizioso è l'aggettivo che forse più si addice a raccontare le tredici canzoni che compongono una sorta di concept basato sull'umanità e la sua evoluzione che come un boomerang sta trasformandosi in involuzione, tratto liberamente da un racconto di un certo e misterioso Fulgenzio Innocenzi,  che Benvegnù spiega così 

"Hermann dicono fosse un manoscritto di un ingegnere, Fulgenzio Innocenzi, uomo interessante morto su una baleniera. In questo manoscritto, dicono, si parla dell’uomo, inteso ovviamente come essere umano"

Gli spunti, gli agganci e i riferimenti storici e letterari a cui Benvegnù si affida sono molteplici e ad un primo ascolto anche intricati da cogliere. Si parte da molto lontano per arrivare al quotidiano con  tutto quello che vi è in mezzo. Dalla mitologia, passando per Sartre, arrivando alla frenesia del lavoro di oggi.

Uomo fatto di carne, sentimenti, ambizione, coraggio e valore, valoroso e traditore, capace di pugnalare alle spalle per l'innalzamento del proprio ego per poi affidarsi alla fede arrivando infine a negarla. Nessuno esce da questa categoria. Chi più, chi meno ci portiamo addosso la reputazione e il Dna che ci siamo costruiti nei secoli. Ecco che il tempo diventa prezioso alleato per cercare sosta ed un riparo dalla marcia di progresso , cui siamo costretti a partecipare quasi come automi senza controllo e a domandarci in quanto uomini, cosa vogliamo?

Il tempo come alleato e nemico per capire la nostra collocazione sulla terra ("non sai distinguere il tempo perso da quello vissuto") nell'iniziale 'Il Pianeta Perfetto' o come pretesto per tornare all'inizio dei secoli per raccontare l'origine dell'uomo ("ma poi finirono le terre ed inventammo Dio , lo trafiggemmo all'alba, l'ultima volta che provò a sorridere, così inventammo la notte...") in 'Love Is Talking'. I secoli che passano, i posti e la gente pure ma i problemi sempre presenti e l'uomo, al centro di tutto, come sempre si accorge che le distrazioni lo hanno allontanato dal proprio essere interiore.

Se la speranza era quella che il trascorrere dell'età riuscisse a trascinare con sè il benessere, bisogna invece fare i conti con l'esatto contrario. Il dito indice accusatorio sempre pronto ad inquadrare qualcuno da sacrificare e punire in 'Date Fuoco' ("il primo dice che è stato lui a ricoprire il mondo di automobili e il terzo dice che non si vedeva niente"), prendendo spunto dall'"eretico" Giordano Bruno e trasportando il tutto al presente.

La bramosia di conquista ed invicibilità di "Moses" ("...Infliggi le tue regole, distruggere per conquistare..."), l'amore , anche non a lieto fine, come evasione e rifugio da tutti i mali , 'Johnnie and Jane', così come il viaggio, per approdare ed affrontare qualcosa di nuovo in 'Il Mare è Bellissimo' ("...e un viaggio senza destinazione significa destinazione...") ed il tempo che torna inesorabile a scandire la vita ("...e intanto si è fatto tardi e tardi è legge e attendere un'attesa sempre attesa...").

L'uomo inerme davanti alla sua vita, al trascorrere degli eventi che ha visto e vissuto, la consapevolezza che poi,alla fine, l'eguaglianza tra di noi non è così lontana dall'essere trovata in "Io Ho Visto' , uno dei punti più alti del disco (" ...Ho visto il sole restare al buio e gli animali rimanere in branco fiutando il cielo più sicuro...ho visto inverni piegare gli alberi e setacciare al grembo con le mani cercando polvere e ho bestemmiato iddio perchè non si fa mai vedere e ho perso falangi nei combattimenti e nelle fabbriche...") insieme a 'Avanzate, Ascoltate' dove la sua poetica cantautorale si innalza alla massima potenza e ti inchioda all'ascolto ("Anima, avanzate voltate le spalle al puro mondo, l'errore rende liberi  soltanto se libera è la grazia, di camminare verso le saline e a piedi nudi non sentire il male e guardare l'orizzonte".

Un disco dall'anima rock, che si concede fughe orchestrali, suonato da una band, "i Paolo Benvegnù", appunto, alcuni tratti pop presenti nei ritornelli in inglese di 'Love is Talking' e 'Good Morning', 'Mr.Monroe', piccola messa in musica dei tempi moderni (con l'inizio che tanto mi ricorda 'Milano Circonvallazione Esterna' degli Afterhours) che cercano la continuità con il suo passato in un disco impervio che vuole essere diretto nella sua complicata complessità e spronante nel metterci di fronte al punto in cui l'essere umano, perso, è arrivato a piantare la sua bandierina di evoluzione, così poco colorata da esserne poco fieri.