sabato 26 luglio 2025

RECENSIONE: ALICE COOPER (The Revenge Of Alice Cooper)

 

ALICE COOPER  The Revenge Of Alice Cooper (ear Music/Edel, 2025)




siam tornati

Il giusto e meritato clamore mediatico intorno alla morte dell'amico Ozzy  rischia di distogliere l'attenzione su questo importante ritorno appena uscito: la Alice Cooper Band grida vendetta e  torna in pista cinquant'anni dopo lo scioglimento. A questo ritorno Alice Cooper ci aveva preparato a piccole dosi riunendo la band in più occasioni per alcune canzoni nei suoi dischi più recenti ma questa volta il miracolo è completo, o quasi,  e la cosa si fa seria o quasi: c'è pure l'unico assente giustificato, Glen Buxton morto a soli 49 anni nel 1997, con il recupero di un vecchio nastro con la sua chitarra impressa e quindi aggiunta al rock’n’roll in stile Chuck Berry di 'What Happened To You'. Ma tranquilli: è l'unica concessione alle stranezze di un disco suonato come si deve dall'inizio alla fine. Quindi eccoli tutti lì, ritratti in copertina come fosse una vecchia locandina cinematografica di un horror movie di serie... A (naturalmente): Alice Cooper, Michael Bruce (chitarra), Dennis Dunaway (basso) e Neal Smith (batteria), tutti apparentemente arzilli, grintosi e prossimi agli...ottanta.

Arrivati al culmine della loro carriera nel 1973, partita sotto l'influenza e l'aiuto di Frank Zappa con l'apice toccato con il tour che seguì Billion Dollar Babies, la Alice Cooper Band si prese un periodo di meritato riposo per tornare quasi subito con il deludente Muscle Of Love che ne sancì la definitiva fine a favore dell' avvio della carriera solista di Mister Vincent Furnier, partita in quarta con Welcome To My Nightmare. Per sapere come andarono le cose dopo c'è la biografia di Alice Cooper.

A tenere unito il tutto l'immancabile mano del produttore Bob Ezrin, indicato come regista allora come oggi e la chitarra del trentacinquenne Gyasi Heus, vera sorpresa a fare le veci di Buxton. "È davvero surreale, un onore incredibile poter lavorare con questi ragazzi" dice lui, ragazzo dall' aspetto androgino che pare appena uscito da una band glam degli anni settanta, adora Jimmy Page ed è stato provinato con 'I Ain't Done Wrong' cover degli Yardbirds poi finita qui sul disco.

Dalla strisciante partenza con 'Black Mamba', preceduta dallo spoken di Alice Cooper e che vede il cameo chitarristico di Robby Krieger (The Doors) alla finale 'SeeYou On The Other Side', omaggio a Buxton sotto forma di ballata e che sa di arrivederci (prima o poi ci si ritroverà da qualche parte), è la consolidata unione di humor nero, teatralità, colpi ad effetto e rimandi al passato in compagnia di ragni velenosi, studi psichiatrici, mosche fastidiose e locande di serie...B (naturalmente).

La veloce e saettante 'Wild Ones', la jazzata e swingante 'What A Syd',  il blues di 'Intergalactic Vagabond Blues' con Alice all'armonica, le chitarre hard di 'Up All Night' e 'Crap That Gets In The Way Of Your Dreams', il rock doo-woop di 'Kill The Flies', la più dark 'One Night Stand', i rimandi all'Alice Cooper da classifica periodo Poison di  'Famous Faces'.

I garage days anni sessanta di inizio carriera di 'Money Screams' fino alla più articolata e lunga 'Blood On The Sun', psichedelica e cangiante, sicuramente uno dei migliori momenti di un disco scritto in squadra e suonato da veri marpioni del rock'n'roll. L'attitudine è più garage che hard rock.

Pare che si divertano ancora un mondo ed in effetti il disco viaggia con piacere nonostante raggiunga quasi l'ora di durata. Sulla carta pare un'operazione nostalgica ma chi segue Alice Cooper da sempre sa che il nostro pur tornando spesso indietro nel tempo lo ha fatto sempre con i piedi ben piantati nel presente: suoni e attitudine sono del 2025, nonostante sia stato registrato alla vecchia maniera in studio di registrazione.

Quando si tratta di registrare nuovi dischi non è secondo a nessuno e i suoi spettacoli live lo confermano sempre sul pezzo. 

 "Siamo ancora qui e non siamo mai stati meglio" dice. A questo punto sarebbe bello aspettarsi un tour con questa formazione e quel vecchio repertorio di canzoni.





giovedì 17 luglio 2025

RECENSIONE: RYAN ADAMS (Changes)

RYAN ADAMS   Changes (Paxam, 2025)





cover me

Scorrendo tra le setlist del tour acustico di Ryan Adams in Europa, quello di questa primavera per festeggiare i venticinque anni di Heartbreaker, ci si può imbattere in serate durante le quali le cover presenti in scaletta sono state più della metà delle canzoni suonate. Vedi Stoccolma. A Milano ci siamo accontentati tra le sole tre proposte di una 'Idiot Wind' da favola ma tutto questo la dice lunga su quanto la bulimica passione di Adams per la musica non conosca confini e steccati di genere. È ancora un grande fan e non ne ha mai fatto mistero, tanto che molto spesso si lascia prendere la mano.

Passare da Taylor Switft agli Iron Maiden è veramente  un attimo, provateci voi, ti distrai un secondo e lo vedi con una t-shirt con raffigurato Eddie, la mascotte dei Maiden, (recentemente si presenta spesso con la felpa dei Corrosion Of Conformity) mentre un attimo prima indossava scarpe lucide e un completo in giacca e cravatta. Questo disco che prende il nome da 'Changes', canzone dei Black Sabbath, qui presente (che tempismo!), è una raccolta di venti cover che  ben rappresentano una parte dei suoi ascolti: da Neil Young (presente con ben tre canzoni: 'Powderfinger', 'Harvest Moon' e 'After The Gold Rush') ai Velvet Underground, da Bob Dylan ('The Man In Me') ai già citati Black Sabbath, da Bonjovi ai Replacements, dai Rolling Stones ('Sympathy For The Devil') agli Alice In Chains ('Nutshell'), dai Simple Minds agli Oasis, da Prince a Bruce Springsteen ('Atlantic City'), dai Doors ('The Crystal Ship') ai Soul Asylum ('Runaway Train') dai Pixies a Daniel Johnston,  dagli adorati Smiths a Juice Newton ('Queen Of Hearts').

Versioni acustiche per chitarra, armonica, pianoforte e talvolta con degli arrangiamenti d'archi a rendere tutto intimo e quasi  spettrale. Alcune versioni catturate live con tanto di pubblico.

Certo, un disco per completisti di Adams che esce per la sua etichetta Paxam, ma cercando bene ci si imbatte in qualche chicca veramente ben fatta tipo 'Don't You (Forget About Me)' dei Simple Minds o la stessa 'Changes'.





sabato 12 luglio 2025

RECENSIONE: BRUCE SPRINGSTEEN (Somewhere North Of Nashville)

BRUCE SPRINGSTEEN  Somewhere North Of Nashville (Columbia/Sony, 1995/2025)




uno dei sette

Dentro al monumentale box contenente sette dischi perduti ce ne sono almeno due o tre che mi sarei aspettato da Bruce Springsteen durante la carriera, prima o poi. Tra questi sicuramente  Streets Of Philadelphia Sessions e Inyo.

Lui ha preferito tenerseli e far uscire album come Working On A Dream e High Hopes (due dischi a caso). Questo la dice lunga su quanto spesso abbia "calcolato" troppo intorno ai suoi dischi o sia stato consigliato/indirizzato male. E farli uscire tutti così, in un sol colpo vista la varietà, a parte il costo assurdo, mi sembra  faccia un ulteriore sgarbo a certe canzoni. Uscite singole spalmate nel tempo avrebbero giovato di più a tutti. Qualcuno dice "arriveranno".

Alle tasche dei fan sicuramente, perché in fondo chi se ne fotte del librone che fa alzare il prezzo, sfogli una volta e metti via senza aprirlo mai più. Fatemi pagare la musica il giusto prezzo che non è sicuramente questo e io sono contento.

Quando qualche settimana fa uscì 'Repo Man', uno dei singoli scelti per lanciare il cofanetto, un divertente honky- tonk alla Chuck Berry, mi piacque subito e pensai " se il disco Somwhere North Of Nashville dal quale è uscito è tutto così ne ascolteremo delle belle".

 Somewhere North Of Nashville sarebbe dovuto uscire nel 1995 e fu registrato con i fidi Danny Federici, Garry Tallent e Gary Mallaber, il presentissimo Marty Rifkin alla pedal steel, Jennifer Condos, Jim Hanson, Charlie Giordano e Soozie Tyrell (violino) in registrazioni veloci, con poche takes, e senza troppi abbellimenti estetici intorno a togliere quella ruvidezza troppo spesso sacrificata per eccesso di perfezione.

E mi domando ancora una volta perché non l'abbia fatto uscire nei tempi giusti: avrebbe giovato ulteriormente ai suoi anni novanta. La parte country, honky-tonk, rockabilly, spensierata di The Ghost Of Tom Joad. Anche se sottotraccia la disperazione di quel disco fa capolino pure qui, smussata, a volte nascosta tra paesaggi, personaggi e sentimenti ma c'è.

"Quello che è successo è che ho scritto tutte queste canzoni country contemporaneamente a 'The Ghost of Tom Joad, quelle sessioni si sovrappongono completamente. Canto 'Repo Man' nel pomeriggio e 'The Line' la sera. Quindi il disco country è stato realizzato insieme a 'The Ghost of Tom Joad. 'Streets of Philadelphia' mi ha avvicinato al mio modo di scrivere canzoni socialmente impegnate o di attualità. Ecco da dove è nato 'The Ghost of Tom Joad'. Ma allo stesso tempo avevo questa vena country che pervadeva anche quelle sessioni e ho finito per realizzare un disco country parallelamente" ha detto Springsteen presentando il disco.

Un poker di canzoni si conoscono già, anche se qui sono presentate con diversi arrangiamenti: 'Stand On It' (già pubblicata, in diverse versioni, come lato B di 'Glory Days' nel 1985 e poi nel primo cofanetto Tracks) e 'Janey Don't You Lose Heart' qui in una versione bluegrass (lato B di 'I'm Goin' Down' nell'85, pure lei inclusa in Tracks), arrivano, insieme a 'Delivery Man' e 'Under A Big Sky'  dalle session di Born In The USA. Le altre conosciute sono: la title track che uscì in Western Stars ma qui è alleggerita dai sontuosi arrangiamenti che dettavano il mood di quell'album per trasformarsi in un honky- tonk, mentre 'Tiger Rose' uscì registrata da Sonny Burgess nel 1996 sotto l'intercessione di Garry Tallent, e  'Poor Side of Town'  cover del successo di Johnny Rivers del 1966 con la pedal steel di Marty Rifkyn a cucire note di malinconia. Tra i momenti top dell'album.

Ciò che resta sono canzoni semplici che svelano un'altra America con un lato a volte pure ironico ('Delivery Man', 'Detail Man'), alternando rock'n'roll con composizioni dai tratti più amari e malinconici come 'You're Gonna Miss Me When I'm Gone' e 'Under A Big Sky' che si apre in acustico, chitarra e armonica, per poi abbandonarsi al trascorrere del tempo e alla lontananza ("stasera sto inseguendo i randagi giù nel canyon, grido il tuo nome e ascolto mentre l'eco muore, sotto un grande cielo"),  e romantici ma con un finale che fa prevedere tragicità come 'Silver Mountain' ("mi incontrerai al fiume?, Ti prenderò per mia sposa, di' a tuo padre che sto arrivando, non me ne andrò finché non sarò soddisfatto") che si apre con un fischiettio per poi allungarsi in territori irish non lontani dalle Seeger Session.

Ma nel viaggio dentro a questa America non troppo esposta c'è anche lo spazio per la speranza come canta nella sognante 'Blue Highway':" un giorno mi costruirò una bella casa, sì, in alto su una collina, dove dolore e memoria, dolore e memoria sono stati placati". Visto dove è sprofondato il sogno americano in questi ultimi anni, la sua attualità non l'ha persa. Si continua a viaggiare verso una terra promessa anche se le nebbie sembrano più fitte del previsto.





lunedì 7 luglio 2025

BEN HARPER & The INNOCENT CRIMINALS live@Comfort Festival, Cinisello Balsamo, 5 Luglio 2025

 


Solo il rumore dei fuochi d'artificio che a un certo punto si sentono esplodere in lontananza nel cielo pulito di questo pezzo di Brianza distrae per un attimo Ben Harper mentre con le veloci dita armeggia su una delle tante lap steel che ha suonato. Gli scoppiettii lo distraggono per un attimo, ci scherza su per pochi secondi e poi riattacca. Perché le due ore di musica che ci ha regalato sono state dense e dirette, senza troppe parole, senza spiegazioni. Le sue canzoni hanno detto tutto quello che forse qualcuno voleva sentirsi dire. Ma poi, veramente abbiamo bisogno di sermoni da uno che da tutta la vita canta: " I can make peace on earth, with my own two hands" (With My Own Two Hands), o che pensa che il potere del Vangelo possa "rendere potente un uomo debole e far cadere un uomo potente"(The Power Of Gospel)?

È già tutto lì in quei testi e per chi non fosse ancora convinto intervengono sovente un pugno alzato alle stelle e una mano portata al cuore.

Chi aveva bisogno di ulteriori parole sono convinto che stasera non fosse nemmeno qui e di Ben Harper ignora certamente l'esistenza.


Sarà stata la dolce e fresca brezza, lascito  dei temporali del mattino, il luogo scelto per questo festival, il giardino di Villa Casati Stampa a Cinisello Balsamo, bello e confortevole (ebbene sì il nome del festival è azzeccato) con i suoi spazi di verde e di ombra, ma tutto ha  condotto verso una serata di musica perfetta, senza tutti quei disagi dei grandi eventi da cui mi tengo lontano ormai da parecchi anni. Qui sembra tutto a misura d'uomo.

Quello che più stupisce di Harper, ma forse nemmeno più dopo tanti anni, è invece l'estrema facilità con la quale indirizza il folk blues di partenza  verso il reggae, il funky e il rock. Tutto viene metabolizzato e scaricato in un flusso quasi continuo di asprezza e dolcezza, lotta e sentimento con l'inossidabile aiuto dei musicisti dei suoi Innocent Criminals (i veterani Leon Mobley e Oliver Charles, Chris Joyner, Alex Painter e Darwin Johnson), macchina da groove che al necessario lo lasciano in solitaria per quei momenti acustici dove bastano  voce e chitarra per toccare i cuori, quei cuori che qualcuno gli restituisce con le dita.

Harper è stato un privilegiato da ragazzino ma non basta certo aver avuto genitori e famigliari musicisti per arrivare in alto se non hai quel talento naturale, ben visibile da ogni parola detta e ogni nota fatta senza esibire nessun gesto teatrale che la sua carriera potrebbe permettergli. La naturale spontaneità è certamente tra le cose che piacciono di più al suo pubblico.

I giochi di squadra, invece,  raggiungono il loro apice emotivo durante 'Belove Sea Level', il Gospel per sole voci cantato a cappella che li vede tutti impegnati, uno dei due brani, insieme all'apertura  'Need To Know Basis', estrapolati dal recente presente, l'intimista Bloodline Maintenance uscito nel 2022. Il resto della scaletta scava nel passato di album gloriosi come Fight For Your Mind ('Gold To Me', 'People Lead', 'Give A Man A Home'), Lifeline ('Say You Will'), Welcome To Cruel World ('Don't Take That Attitude To Your Grave', 'Walk Away', 'Forever'), Diamonds On The Inside.

Se alla coda di 'Faded' attacca 'Fool In The Rain' dei Led Zeppelin, nella finale 'With My Own Two Hands' ci mette 'Your House' dei sempre dimenticati Steel Pulse, alfieri del reggae britannico.

Dopo i saluti si percepiva la voglia di averne ancora un po', per qualche minuto nessuno si è mosso. E allora, quei fuochi d'artificio arrivati a metà concerto chissà da dove,  avrebbero fatto il loro vero dovere.



Foto: Enzo Curelli