Eccolo qua: un disco che non troverete nelle classifiche di fine anno compilate troppo frettolosamente. Un po' perché uscire ai primi di Dicembre ti taglia già fuori, si sa, un po' perché, se avete ascoltato tanti dischi avrete trovato sicuramente di meglio. Non lo meriterebbe. Io però la butto lì: i migliori Who dal lontano 1981? (Roger Daltrey in una intervista si è spinto indietro fino al 1973). Non che ci volesse molto, visto che in mezzo ci sono solo It's Hard e Endless Wire, i fanalini di coda della loro discografia. Però non male per un gruppo nato nell'anno in cui in Italia venne inaugurata l'autostrada del sole. Lo stesso anno in cui incontrarono l'artista pop Sir Peter Blake che creò la copertina di Faces Dances qualche anno dopo e pure questa.
La coppia formata da Roger Daltrey e Pete Townshend di strade ne ha percorse così tante che mettere in fila undici canzoni (tre in più nella versione deluxe), senza un tema portante ma in completa libertà, è puro mestiere: uno sa ancora ruggire quando vuole e ho ancora in testa il bel disco con Wilko Johnson ('Ball And Chain' si prende a cuore le condizioni dei carcerati a Guantanamo riprendendo una vecchia canzone di Townshend), l'altro schitarra ancora con fervore ('All This Music Must Fade') e si prende la scena nella sorniona e orchestrale 'I' ll Be Back', uno sguardo indietro ai tempi andati. Certo, quelle vecchie strade vengono percorse un po' tutte: ci sono gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i synth con i loro pregi e tanti difetti, cori e voci al vocoder abbastanza orribili (e evitabili), la schiettezza pop, e il deja vu è di casa quasi all'angolo di ogni traccia. Le mie favorite sono la leggera ''Break The News', una folk song sostenuta dal sapore molto British e radio friendly e la cangiante 'Rockin' In Rage' un rock teatrale il giusto.
Molto probabilmente questo disco ha la parola fine incisa nell'ultimo solco dell'ultima canzone.
E pensare che il disco si apre con queste sarcastiche parole :"I don’t care, I know you’re going to hate this song”. Bentornati comunque.
MICHAEL KIWANUKA live@Fabrique, Milano, 7 Dicembre 2019
Che crescita Michael Kiwanuka! Ricordo il suo timido e acerbo talento con quegli occhi da cerbiatto davanti al pubblico curioso dei Magazzini Generali nel 2012 ai tempi del suo acclamato debutto, lo ritrovo leone stasera, sette anni dopo, con altri due album pazzeschi nelle tasche, capace di mettere in piedi un concerto incredibile per intensità, bravura, ritmo e scaletta dove il passato della black music amoreggia con ...il presente, con il rock, la psichedelia e nemmeno te ne accorgi, con l'umiltà di chi sa dove arrivare, conquistando lo strabordante pubblico del Fabrique. Il ragazzo è pronto per i palazzetti.
Ecco, se devo trovare un difetto alla serata, il buon Kiwanuka non c'entra nulla: un concerto lo vivi bene quando l'organizzazione ti mette nelle condizioni per farlo.
Sì l'ho vissuto male.
Stasera il locale era invivibile, stipato in ogni buco della sua superficie ben oltre la capienza, tanto che le piazze piene di sardine di questi giorni ci facevano un baffo. Non oso immaginare un possibile piano di evacuazione in caso di emergenza in una simile occasione.
Vabbè, poi c'è il vergognoso contorno tutto italico: prezzi bevande da ristorante cinque stelle, parcheggiatori abusivi delle grandi occasioni che chiedevano 10 euro (10 euro!) per trovarti un posto macchina in zona industriale (mandati prontamente a cagare) e bagarini che continuano la loro opera come il più normale dei mestieri. Ma questi basta ignorarli.
Fortunatamente esiste la musica. Però rispettiamola cazzo!
Che crescita Michael Kiwanuka! Ricordo il suo timido e acerbo talento con quegli occhi da cerbiatto davanti al pubblico curioso dei Magazzini Generali nel 2012 ai tempi del suo acclamato debutto, lo ritrovo leone stasera, sette anni dopo, con altri due album pazzeschi nelle tasche, capace di mettere in piedi un concerto incredibile per intensità, bravura, ritmo e scaletta dove il passato della black music amoreggia con ...il presente, con il rock, la psichedelia e nemmeno te ne accorgi, con l'umiltà di chi sa dove arrivare, conquistando lo strabordante pubblico del Fabrique. Il ragazzo è pronto per i palazzetti.
Ecco, se devo trovare un difetto alla serata, il buon Kiwanuka non c'entra nulla: un concerto lo vivi bene quando l'organizzazione ti mette nelle condizioni per farlo.
Sì l'ho vissuto male.
Stasera il locale era invivibile, stipato in ogni buco della sua superficie ben oltre la capienza, tanto che le piazze piene di sardine di questi giorni ci facevano un baffo. Non oso immaginare un possibile piano di evacuazione in caso di emergenza in una simile occasione.
Vabbè, poi c'è il vergognoso contorno tutto italico: prezzi bevande da ristorante cinque stelle, parcheggiatori abusivi delle grandi occasioni che chiedevano 10 euro (10 euro!) per trovarti un posto macchina in zona industriale (mandati prontamente a cagare) e bagarini che continuano la loro opera come il più normale dei mestieri. Ma questi basta ignorarli.
Fortunatamente esiste la musica. Però rispettiamola cazzo!
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