sabato 26 gennaio 2019

RECENSIONE: RIVAL SONS (Feral Roots)


RIVAL SONS  Feral Roots (Warner, 2019)


il lato selvaggio dei Rival Sons
A dieci anni dal debutto e otto da quel Pressure And Time che li decretò i nuovi paladini del classic hard rock degli anni duemila, i californiani RIVAL SONS continuano a mantenere intatta una freschezza invidiabile, nonostante in mezzo ci siano altri tre dischi incisi e una sequenza ininterrotta di tour come opener (Black Sabbath, QOTSA, Rolling Stones) e da headliner. Questo FERAL ROOTS si guadagna il titolo di disco più immediato e vario della loro discografia, che nel loro caso non sembra essere un aspetto negativo visto che con il tempo sono riusciti a trovare una strada tutta loro, personale quanto basta per sfuggire ai facili paragoni come avvenne a inizio carriera. Capito Greta Van Fleet? L’unica pecca sembra sempre la mancanza di canzoni veramente memorabili. Nel loro caso vince sempre l'insieme.
 “Non volevamo ripeterci in modo negativo. Penso che questo disco sia il nostro miglior tentativo per dimostrarlo. È ancora grezzo come piace a noi, ma pensiamo che ci sia un bel po’ di varietà, ed è un po' più diretto. " 
Canzoni nate tra i boschi e la natura selvaggia del Tennessee del Sud (ben rappresentate dalla copertina dell'artista Martin Wittfooth), disco prodotto dal rassicurante Dave Cobb e registrato tra Nashville, negli studi RCA, e i Muscle Shoals in Alabama alla consueta loro maniera: live in studio. E questo si sente nelle canzoni più rock guidate dalla chitarra di Scott Holiday che sa giocare bene le sue carte sia quando affonda nei riff dal taglio più moderno (l'iniziale ‘Do Your Worst’, ‘The End Of Forever’) sia quando dai seventies pesca i riff più oscuri e pesanti di ‘Too Bad’ e ‘Back In The Woods’ o quando mischia sapientemente i periodi come nella terremotante ‘Sugar On The Bone’. Piacciono pure il bianco e il nero di canzoni avvolgenti e cangianti come ‘Look Away’ e ‘All Directions’ dove all’inizio acustico segue l'esplosione elettrica.
 “Il Rock ’n’ Roll è da sempre punto chiave della nostra identità culturale e questo è tangibile in ogni nostra canzone” racconta il chitarrista.
 Il loro segreto rimane un retrobottega che nasconde quelle pillole soul che la gola del cantante Jay Buchanan, il vero trascinatore, digerisce con estrema disinvoltura: la già citata ‘Back On The Woods’, la title track che ci mostra quanto Paul Rodgers non sia poi così lontano, il contagioso gospel blues finale ‘Shooting Stars’ ne sono l'esempio più lampante, con l’ultima che insieme al latin funk di ‘Stood By Me’ ci mostrano una duttilità rara e vincente che pochi possono permettersi risultando così credibili.






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