venerdì 15 marzo 2024

RECENSIONE: THE BLACK CROWES (Happiness Bastards)

 

THE BLACK CROWES  Happiness Bastards (Silver Arrow, 2024)



fratelli amici

"Ma poi le cose accadono...nella vita, le cose accadono. E nel mio caso, incontrare l'amore della mia vita dopo tutti questi anni e avere un partner che possa davvero farmi vedere le cose per quello che sono, essere in grado di guarire il mio rapporto con Rich - e lui direbbe la stessa cosa, penso - avere il team di persone che abbiamo intorno...". Così Chris Robinson ha raccontato quanto la compagna Camille Johnson (anche autrice dell'artwork) sia stata determinante per ricucire i rapporti con il fratello Rich, invertendo per una volta quella legge non scritta del rock'n'roll che vuole mogli e compagne come le cause di tutti i mali all'interno di una band. Riavvicinamento che portò a una reunion e al conseguente tour celebrativo di Shake Your Money Maker che passò pure all'Alcatraz di Milano ma che, a dirla tutta, a distanza di un paio di anni non mi sembrò così entusiasmante, finendo nelle retrovie dei loro concerti visti da me. Mi sembrò un compitino contornato di belle canzoni e suoni pessimi. Divertente e senza pretese fu anche 1972, l'EP che raccoglieva sei cover pescate in quell'anno di meraviglie. Ma forse proprio da lì si può partire per capire lo spirito che ha animato le dieci composizioni di questo ritorno. Basti l'ascolto di 'Bleed It Dry', uno shuffle blues con l'armonica di Chris Robinson che pare arrivare diretto diretto da Exile On Main Street. Torrido e sporco il giusto.

Happiness Bastards è il disco più semplice e diretto della loro discografia, un concentrato di rock'n'roll blues che lo pone a metà strada tra il debutto e il sempre dimenticato By Your Side senza avere le canzoni di peso né dell'uno né dell'altro ma forse per trarre queste conclusioni è ancora presto. Insomma siamo distanti anni luce dall'ultimo e sorprende album Before The Frost...Until The Freeze del 2009 che li vedeva calati in vesti bucoliche dentro al fienile di Levon Helm e all'immaginario Americana disegnato da The Band anni prima. Un grande disco di sfumature che meritava maggiori attenzioni.

Lo racconta bene Chris Robinson: "è un disco rock 'n' roll. Focalizzato, orientato al riff. Prima di invecchiare e non poterlo più fare". Anche se il recente album dei Rolling Stones ci racconta che si può arrivare anche agli ottant'anni a macinare riff su riff. Lo conferma il produttore Jay Joyce (presente anche con chittara e tastiere), raccontando come sono andate le cose in studio di registrazione:"era vecchia scuola: tutti nella stessa stanza, nessuna traccia di clic, niente stronzate". I Black Crowes di oggi sono Chris e Rich Robinson. Sven Pipien è l'unico sopravvissuto della vecchia guardia. E la strada che prende il disco la si capisce appena parte la prima traccia 'Bedside Manners' (invettiva contro qualche ex amante dove Chris canta:" se non vuoi i miei diamanti / non scuotere il mio albero”), up tempo e una slide sferragliante, un pianoforte battente (suonato da Erik Deutsch) sono un benvenuto e il mood di quasi tutto l'intero disco che ha nelle ballate 'Wilted Rose', insieme alla cantantautrice country Lainey Wilson, canzone che però ha una sua esposione e la finale 'Kindred Friend', con il suo placido e disteso andamento tra country, gospel e pop ( ai cori Vicky Hampton, Joanna Cotton e Robert Kearns), gli unici momenti in cui si tira il fiato. 'Rats And Clowns' ha un riff sonesiano incalzante (alla batteria Brian Griffin) e Chris Robinson canta in maniera avvolgente inseguendo le chitarre fino al chorus e all'assolo di Rich che in tutto il disco è aiutato dalla chitarra di Nico Bereciartua. Un disco dove che chitarre contano.

L'arpeggio iniziale di 'Cross Your Fingers' inganna e porta verso l'immaginario roots ma poi la canzone si dipana in un saltellante funky con Chris che si trasforma in un delle sue migliori trasformazioni da soul singer, certamente la traccia più anomala e sperimentale del disco. 'Wanting And Waiting' la conosciamo già a memoria con il suo forte rimando alla vecchia 'Jealous Again'. Puro distillato Black Crowes che fa il paio con l'accusatoria 'Follow The Moon' quasi zeppeliniana. 'Dirty Cold Sun' è la più black del lotto, coriste e ancora tanto soul nel cantato.

'Flash Wound' è un trascinante mix tra la velocità del vecchio punk e le atmosfere festose da marching band con un breve break centrale. I tre minuti più spassosi di un disco che in 38 minuti ci presenta una band che vuole lanciare un messaggio forte e chiaro:" aprite le vostre orecchie, sappiamo ancora suonare rock'n'roll!".

Tutte le altre sfumature che ci hanno fatto conoscere durante l'intera carriera sono state messe da parte per un approccio duro, fresco, vivace e diretto. Che piace e li tiene in vita con onestà e mestiere. Per ora cosa chiedere di più dopo quindici anni di silenzio discografico?





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