venerdì 26 aprile 2019

RECENSIONE: JOSH RITTER (Fever Breaks)

JOSH RITTER  Fever Breaks  (Thirty Tigers, 2019)





songwriter di razza 
Un matrimonio che funziona alla grande senza bisogno di troppe celebrazioni: Josh Ritter per il suo decimo album (vent’anni di carriera alle spalle e la recente collaborazione con Bob Weir in tasca) sceglie Jason Isbell in produzione, il quale mette a disposizione i suoi fidati 400 Unit come gruppo di accompagnamento. Ne esce un disco di Americana senza punti deboli e senza tempo, registrato nello RCA Studio A di Nashville, perfettamente bilanciato tra sentimento (la ballata ‘I Still Love (Now And Then’)) e risentimento verso le scellerate scelte politiche del suo paese: lo scuro folk ‘The Torch Committee’ con il violino di Amanda Shires a disegnare traiettorie inquietanti, il country di ‘Some Kind Of Dream’. 
“Non sono stato in grado di distogliere lo sguardo dalle cose che stanno accadendo nel mondo in questo momento” racconta in una intervista.
 Mentre musicalmente si divide tra la forza delle chitarre elettriche a richiamare antichi fantasmi del sud (il blues pesto di ‘Old Black Magic’, una ‘Losing Battles’ condotta con fervore alla Crazy Horse) e la malinconia di ballate country (‘Silverblade’) e di folk minimale come nella finale ‘Blazing Highway Home’. Il tutto trova la sublimazione nella traccia d'apertura ‘Ground Do Not Want Me’, country rock alla vecchia maniera che conquista e mette al sicuro il disco fin da subito, lì insieme agli altri della sua produzione. Canzone che sembra racchiudere in una manciata di minuti tutte le sue influenze musicali: c’è Bob Dylan, c’è Johnny Cash, ci sono Bruce Springsteen, Jackson Browne, Steve Earle, John Mellencamp e il compagno di viaggio Ryan Adams, c’è la California dei settanta. Già un piccolo classico del suo repertorio.







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