il magnetico trascorrere del tempo
“Se solo il tempo fosse dalla mia parte” canta MICHAEL CHAPMAN nel nuovo album TRUE NORTH che esce a due anni di distanza da 50 con una copertina che presenta un vecchio scatto in bianco e nero catturato tra la folla molti anni fa dallo stesso Chapman nel suo freddo Yorkshire e una foto sul retro a contrastare, a fermare l'esatto contrario, la solitudine, il silenzio, il freddo.
Sembra una impietosa dichiarazione sulla vita che sfugge via, imprendibile. Tutto il disco ruota lì intorno.
Gli anni quest'anno sono 78. Eppure in questi ultimi 36 mesi il chitarrista britannico si è ripreso in mano una carriera lunghissima costruita su una serie infinita di dischi partita dal lontano Rainmaker (1969) nel momento d'oro del folk britannico, rimettendosi in gioco ancora una volta splendidamente e guadagnando nuovamente le prime pagine come negli anni settanta. In verità lui non mai mollato il colpo e la critica è sempre stata dalla sua parte.
C’è ancora Steve Gunn, l’uomo del momento, a produrre e suonare la chitarra e la batteria (se ancora vi è sfuggito ascoltate il suo nuovo The Unseen In Between) ma ci sono anche la pedal steel del vecchio BJ Cole a disegnare i consueti spazi infiniti, Sarah Smout a creare grevi atmosfere con il violoncello e Bridget St. John a venire in soccorso aggiungendo la sua voce morbida che contrasta con quella ruvida, a volte stanca, di Chapman. Un’idea di band un po’ particolare che il musicista spiega così in una intervista sulla rete: ”l'intera idea dell'album era di farlo senza una sezione ritmica, senza bassi e batteria. Il grosso errore che avremmo potuto fare è provare ad essere una band rock & roll, che non siamo ".
Pochi ingredienti amalgamati benissimo insieme. Undici canzoni che raschiano l’osso: nuove (‘Bluesman’) e vecchie, più un paio di magnetici strumentali (‘Caddo Lake’, ‘Eleuthera’). Tutte però si perdono nella profonda intimità. Se 50 era il suo disco del sogno americano, rincorso da una vita, e che regalava qualche scatto più marcato, True North, registrato in Galles viaggia in più direzioni geografiche in mezzo a territori cangianti tra il Texas e le moorland britanniche, mantenendo però sempre un passo lento, cupo e magnetico costruito su magnifici giochi di chitarre. Escludendo la finale ‘Bon Ton Roolay’ che alza di una tacca il ritmo.
Personale e introspettivo all’inverosimile, True North da voce alle occasioni mancate e cerca disperatamente un altro futuro perché come canta in ‘Youth Is Wasted On The Young’: “c'erano così tanti futuri e ora non ce ne sono più ". Di una cosa però siamo sicuri: Chapman sta vivendo alla grande il suo presente di quasi ottantenne.
Mentre mezza Italia ha lo sguardo e le orecchie rivolti sulla chiassosa città della riviera ligure, è uscito questo piccolo gioiello di introspezione in musica. Il baccano e il silenzio. Basta scegliere.
“Se solo il tempo fosse dalla mia parte” canta MICHAEL CHAPMAN nel nuovo album TRUE NORTH che esce a due anni di distanza da 50 con una copertina che presenta un vecchio scatto in bianco e nero catturato tra la folla molti anni fa dallo stesso Chapman nel suo freddo Yorkshire e una foto sul retro a contrastare, a fermare l'esatto contrario, la solitudine, il silenzio, il freddo.
Sembra una impietosa dichiarazione sulla vita che sfugge via, imprendibile. Tutto il disco ruota lì intorno.
Gli anni quest'anno sono 78. Eppure in questi ultimi 36 mesi il chitarrista britannico si è ripreso in mano una carriera lunghissima costruita su una serie infinita di dischi partita dal lontano Rainmaker (1969) nel momento d'oro del folk britannico, rimettendosi in gioco ancora una volta splendidamente e guadagnando nuovamente le prime pagine come negli anni settanta. In verità lui non mai mollato il colpo e la critica è sempre stata dalla sua parte.
C’è ancora Steve Gunn, l’uomo del momento, a produrre e suonare la chitarra e la batteria (se ancora vi è sfuggito ascoltate il suo nuovo The Unseen In Between) ma ci sono anche la pedal steel del vecchio BJ Cole a disegnare i consueti spazi infiniti, Sarah Smout a creare grevi atmosfere con il violoncello e Bridget St. John a venire in soccorso aggiungendo la sua voce morbida che contrasta con quella ruvida, a volte stanca, di Chapman. Un’idea di band un po’ particolare che il musicista spiega così in una intervista sulla rete: ”l'intera idea dell'album era di farlo senza una sezione ritmica, senza bassi e batteria. Il grosso errore che avremmo potuto fare è provare ad essere una band rock & roll, che non siamo ".
Pochi ingredienti amalgamati benissimo insieme. Undici canzoni che raschiano l’osso: nuove (‘Bluesman’) e vecchie, più un paio di magnetici strumentali (‘Caddo Lake’, ‘Eleuthera’). Tutte però si perdono nella profonda intimità. Se 50 era il suo disco del sogno americano, rincorso da una vita, e che regalava qualche scatto più marcato, True North, registrato in Galles viaggia in più direzioni geografiche in mezzo a territori cangianti tra il Texas e le moorland britanniche, mantenendo però sempre un passo lento, cupo e magnetico costruito su magnifici giochi di chitarre. Escludendo la finale ‘Bon Ton Roolay’ che alza di una tacca il ritmo.
Personale e introspettivo all’inverosimile, True North da voce alle occasioni mancate e cerca disperatamente un altro futuro perché come canta in ‘Youth Is Wasted On The Young’: “c'erano così tanti futuri e ora non ce ne sono più ". Di una cosa però siamo sicuri: Chapman sta vivendo alla grande il suo presente di quasi ottantenne.
Mentre mezza Italia ha lo sguardo e le orecchie rivolti sulla chiassosa città della riviera ligure, è uscito questo piccolo gioiello di introspezione in musica. Il baccano e il silenzio. Basta scegliere.
RECENSIONE: STEVE GUNN-The Unseen In Between (2019)
Nessun commento:
Posta un commento