lunedì 31 gennaio 2011
RECENSIONE: WANDA JACKSON (The party ain't over)
WANDA JACKSON The party ain't over (Nonesuch Records, 2011)
Che in questi anni del nuovo millennio e sono già undici, si stia cercando di riportare a galla personaggi pionieri del rock'n'roll anni '50 caduti in disuso penso sia un dato di fatto appurato. A partire dall'intuizione di mister Rubin che fece rinascere Cash consegnandolo in pasto alle nuove generazioni e facendogli guadagnare l'immortalità, ai duetti con le più grandi rockstar mondiali di Jerry Lee Lewis(bello Last man standing,un pò tirato per i capelli il recente Mean Old man). La ricetta è quanto di più semplice ci possa essere: prendi un settantenne dal grandioso passato rock, affidalo ad un buon produttore e fagli cantare classici e nuovi successi rivestendoli di suoni attuali ma non troppo.
Anche per Wanda Jackson, il tentativo ad opera di Jack White sembra funzionare. La Jackson fu senza dubbio la prima donna che rivaleggiò con i grandi ometti del rock'n'roll. La sua voce graffiante, la sua carica di ironia la fecero presto diventare un'icona del rockabilly. Dopo aver attraversato la popolarità degli anni sessanta, il buio dell'abisso dell'alcol nei settanta e aver ritrovato le forze anche attraverso la strada religiosa negli ottanta, a settantatre anni (classe 1937) accetta di buon grado la sfida lanciatagli da White(White Stripes ), già abituato a sortite del genere, vedi il disco con Loretta Lynn.
Registrato nella casa di Nashville di White, con musicisti a lui cari (membri di Raconteurs e My Morning Jacket hanno suonato nel disco), The party ain't over sprizza energia in barba a chi crede che i vecchi dinosauri del rock dovrebbero andare in pensione e lasciare il campo libero. Tutt'altro, di questi esempi, nell'era del successo facile e di durata effimera delle stelle contemporanee, bisognerebbe averne sempre.
La chitarra di White e la voce unica della Jackson sono protagoniste di queste undici canzoni. La chitarra di White sa accompagnare per ergersi a protagonista di volta in volta in assoli grezzi e al limite dell'hard. La voce della regina del Rockabilly sa essere carta vetrata in episodi rock come l'apertura affidata a Shakin' all Over di Johnny Kidd and the Pirates e nella trascinante Nervous Breakdown(Eddie Cochran), mentre riesce a mantenere una incredibile cadenza infantile e senza tempo nel pieno rock'n'roll di Rip it up(Little Richard) e nel country-gospel-soul di Dust on the bible. Quando poi ricevi il nullaosta da Bob Dylan a cantare una sua canzone, la recente Thunder on the Mountain(presente in Modern Times, 2006) che lo stesso Dylan sceglie e consiglia, Wanda Jackson ringrazia e interpreta, trasformandola in una ruspante ed energica versione rockabilly.
Il lavoro di White in produzione e negli arrangiamenti è superlativo soprattutto nell'inserimento dei fiati, presenti e il più delle volte protagonisti in tutte le canzoni e in special modo in episodi come le caraibica Rum and Coca Cola, nel country di Busted dove le trombe riescono a donare un tocco tex-mex, nel blues di Like a Baby e nel soul di You know i'm no good(Amy Winehouse).
Alla fine, i due protagonisti, si regalano una passerella con l'acustica, solo chitarra e voce, di Blue Yodel #6 di Jimmie Rodgers. Esperimento riuscito e piacevole che riporta alla ribalta una protagonista femminile fondamentale del rock, bravi tutti.
martedì 25 gennaio 2011
RECENSIONE: GREEN LIKE JULY(Four Legged Fortune)
Ci risiamo. Ancora una volta, dobbiamo fare i conti con la fuga di giovani talenti italiani all'estero. Già dalla copertina firmata da Olimpia Zagnoli, giovane artista di gran fama negli States. Questa volta però il risultano di tale trasmigrazione vedrà i propri frutti, almeno spero, anche in Italia. I Green Like July sono una band, nata nel 2003 nel basso lombardo-piemonte, che ha trovato, per un breve periodo di tempo, utile alla realizzazione del proprio secondo disco, habitat naturale ad Omaha nello stato del Nebraska. Da buoni ospiti in terra straniera sono riusciti a far loro, con alcune correzioni geografiche, il vecchio detto "quando sei a Roma, la miglior cosa è vivere come i romani" . Essendo i Green Like July una band di folk-rock già avviata, hanno fatto di più, sono riusciti a coinvolgere i musicisti americani al loro progetto e che musicisti, Mike Mogis dei Bright Eyes e Monster of Folk(uno dei tanti supergruppi creati da Conor Oberst) e Jake Bellows dei Neva Dinova tra gli altri, riuscendo a registrare un disco in grado di tener passo, senza nessun problema, ai grandi nomi del genere.
Se nomi e cognomi dei componenti non tradissero la loro italianità, sfiderei chiunque ad individuare la vera provenienza della band.
Il folk rock prodotto da Andrea Poggio, Nicola Crivelli e Paolo Merlini si avvale comunque di un'esperienza costruita in anni di lavoro che hanno portato all'uscita di due mini ep e di un debutto May this winter Freeze my heart uscito nel 2005. Dopo una breve esperienza di alcuni di loro, sempre fuori dall'Italia, a Glasgow per la precisione, è capitata la grande occasione di poter registrare in America nei prestigiosi Arc studios con la produzione di A.J. Mogis (già produttore di The Faint e Bright Eyes tra i tanti).
Quello che ne è uscito, è un disco di nove canzoni dal carattere fresco ed omogeneo, maturo, dove l'amore per i suoni della tradizione americana riesce a convivere con la modernità di alcune scelte care all'alternative -folk e melodie che a volte sembrano rivelare anche un forte amore per il pop-folk di matrice anglosassone. Dalla corale Hardly Thelma, da cui sembra trasparire tutta la devozione verso il passato di gruppi come The Band a ballate fortemente evocative come Jackson, guidata dalle pedal steel o la bella e narrante Better man. Un hammond che richiama i fantasmi del primo Dylan elettrico nella iniziale Flying Scud e l'atmosferica nostalgia evocata da Nothing is forever. Canzoni che pur richiamando grandi nomi dell'odierna scena, riescono a mantenere un piede nella tradizione, tramutandosi in una originalità intrisa di calda malinconia emotiva che ha pochi paragoni almeno in Italia. Batteria, basso, chitarra e piano per costruire canzoni semplici ma di una concretezza già di valore assoluto. Dalle note delle canzoni e dalla bella voce traspare tutta la passione di un gruppo motivato e con pochi dubbi sulla strada giusta da percorrere, anche se porta in terre apparentemente lontane come il Nebraska.
TRACKLIST:
Flying scud
No light will shine on me
Jackson
Wai is worth after all
A better man
Hardly Thelma
Nothing is forever
A perfect match
St. John of the cross
INTERVISTA su ImpattoSonoro.it
venerdì 21 gennaio 2011
RECENSIONI: SAHG (III),SOCIAL DISTORTION(Hard Times...), THE DECEMBERISTS(The king is dead)
Questo disco, uscito nella tarda estate del 2010, mi era sfuggito, ma visto l'enorme potenziale in suo possesso, si candida, in ritardo, a rientrare nella classifica delle più piacevoli uscite dell'anno appena trascorso in campo doom/hard rock. I norvegesi guidati dall'ugola di Olav Iversen,un perfetto mix tra Ozzy Osbourne e un buon cantante di hard rock settantiano, arrivano al terzo disco e sbancano con una prova fresca ed agile, forse meno fumosa dei due precedenti lavori ma con un occhio all 'hard di annata con organo hammond a fare la sua comparsa senza essere troppo invasivo e disburbante nei confronti dei massicci riff chitarristici. Si potrebbe partire dal fondo e dalla più cadenzata e doom del lotto, Spiritual Void, una lenta e psichedelica discesa nell'oscurità degna dei migliori nomi del genere. Un salto nelle paludi hard/stoner con la cavalcata Mortify e la più cadenzata Hollow Mountain che non dispiacerebbero affatto a Zakk Wylde. Anche se alla fine il metro di paragone più calzante rimangono i maestri Black Sabbath (e gli adepti più famosi, passando da Trouble, Saint Vitus e Cathedral), i cui germi si possono trovare in tutte le altre composizioni dalla più heavy e "moderna" Mother's Revenge, alla più sulfuree Shadow monunent e Hollow Mountain.
SOCIAL DISTORTION Hard times and nursery rhymes(Epitaph,2011)
RECENSIONE COMPLETA: http://www.impattosonoro.it/2011/01/24/recensioni/social-distortion-hard-times-and-nursery-rhymes/
THE DECEMBERISTS The King is Dead (Rough Trade, 2011)
La voglia di semplicità porta il gruppo al ritorno verso suoni e testi lontani dalla complessa architettura che costruiva il loro precedente The Hazards of love . Là dove vi era un concept di base (anche piuttosto lungo ed arzigogolato) ed un suono che spesso toccava l'hard progressive degli anni settanta, questa volta le dieci canzoni che compongono The king is dead ricercano la semplicità di suoni folk e country. Nelle nuove composizioni scritte da Colin Meloy viene a galla tutto l'animo americano del gruppo. Ospiti illustri sono Peter Buck dei REM che lascia l'impronta del gruppo di Atlanta in tre canzoni (Calamity song ne è un esempio significativo), mentre la cantante Gillian Welch impresta la sua ugola che diventa protagonista in quasi tutto il disco. Tra i richiami alla tradizione irlandese contenuti dentro a Rox in the box, l'honk tonk country di All arise!, le velate malinconie folk di January Hymn e della finale Dear Avery, l'andamento ciondolante dell'iniziale Don't carry it all( una "Out on the weekend" dei giorni nostri), i richiami a Dylan di June Hymn vi è un universo rurale che sembra fatto di ampie vallate verdi, incontaminati boschi ed una serenità e pacatezza che danno tanta rassicurazione.
lunedì 17 gennaio 2011
INTERVISTA a SAMUEL KATARRO
-In recensione(http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/samuel-katarroda-robert-johnson-alla.html
), ho scritto che il tuo sembra un piccolo viaggio nel rock, dal blues primigenio e acustico dell'esordio "Beach party" al rock psichedelico di fine anni sessanta del secondo "The halfduck MysterY". Tutto casuale o una tua voglia di metterti in gioco con la musica?
La voglia di mettersi in gioco è fondamentale per divertirsi e non stancare me stesso ancor prima degli altri, ho semplicemente fatto ciò che mi andava di fare senza pensare troppo a scrivere qualcosa che fosse una logica continuazione di “Beach Party”. Proprio per questo non c è mai stato un intento filologico nelle mie canzoni ma una componente istintiva molto prevalente soprattutto in fase di stesura iniziale dei pezzi, soltanto successivamente ho pensato agli “abiti giusti” da far loro indossare.
-Alla luce degli apprezzamenti ricevuti da personaggi "cult" del rock come Patti Smith e Julian Cope, un pensierino agli States o all'Inghilterra, l'hai mai fatto? Magari solo per trarre nuove ispirazioni e perchè no registrare nuovi brani?
Penso spesso all’importanza di uscire fuori dall’Italia per mettermi in gioco (dicevamo....) e confrontarmi con altre realtà e per realtà intendo altri musicisti, altri palchi, un pubblico diverso con attitudini e reazioni diverse ecc. ecc. Il mio discorso non è limitato soltanto agli Usa o all’Inghilterra ma a tutti i paesi con un minimo di cultura rock alle spalle, non ho assolutamente idea di quale sia il luogo in cui riceverei l’accoglienza migliore, non ne ho idea!
-Insomma la tua musica, certo non facile e immediata, potrebbe avere più esposizione all'estero piuttosto che in un paese come il nostro legato forse più al pop?
Mah....non saprei, il pop (in quanto genere “popular”) è certamente il più seguito ovunque, non solo in Italia. Dal momento che pure io faccio pop, non dovrei avere nessun tipo di problema in nessun angolo del mondo! :-)
-Non credi che certi "giovani artigiani" della musica come te abbiano l'esposizione mediatica tarpata dai "talenti" dei reality a cui si propongono contratti discografici milionari?
Indirettamente sì, perchè un meccanismo del genere più che “occupare posti” che potrebbero (dovrebbero?) spettare a noi musicisti indipendenti, cambia totalmente il modo di pensare e di agire delle etichette discografiche più importanti che non perdono tempo e soldi per promuovere un interprete (“artista” non mi sembrava molto calzante.....) già ampiamente pubblicizzato in TV grazie appunto ai reality. Nel nostro paese tutto ciò è sicuramente amplificato dal fatto che gli italiani sono degli accaniti teledipendenti, con il risultato che adesso le modalità di fruizione della musica sono completamente controllate dalla TV. Alla fine dei giochi il risultato è esattamente quello che hai esposto tu nella domanda.
-Mai provato a comporre in italiano? A te piace giocare e ironizzare sul tuo inglese usato molto spesso in modo fonetico...
Mi trovo così bene con l’inglese che per il momento non ho voglia di complicarmi la vita più di tanto, oltre che avere una metrica più malleabile, le vocali inglesi richiedono tecniche di emissione vocale molto meno rigorose, non è facile da spiegare ma funziona!
-Entrando più in dettaglio nei tuoi testi molto visionari, come nascono?...e chi è Bobby Bunny?
I testi nascono quasi tutti per associazione sia fonetiche che di significato, è una tecnica che mi piace definire “impressionista” per il modo in cui prendono forma le liriche. Non amo partire con un’idea definita, una storia da raccontare o cose del genere, l’ho fatto poche volte e non sono mai rimasto completamente soddisfatto. Bobby Bunny è uno dei pochi miei testi “narrativi”, parla di un bimbo cresciuto in un bordello, infatti il testo di quella canzone mi interessa relativamente....il lato musicale invece è molto più stimolante, decisamente il mio “mio “ pezzo preferito dopo “Rustling”.
-I am the musunator e Sudden death sono da considerarsi due canzoni a sè o potrebbero essere l'inizio di una nuova strada da percorrere?
Penso che tu ti riferisca al fatto che sono stati “suonati senza strumenti”....in realtà non credo ripercorrerò quella strada, almeno in un futuro immediato. La cosa veramente interessante di quei due pezzi è che sono stati assemblati con un software di audio editing scarsissimo scaricabile gratuitamente (alcuni avranno capito a cosa mi riferisco ma non lo paleserò in questa sede!), la dimostrazione che la povertà di mezzi molto spesso è fonte di creatività: “Necessity is the mother of invention”.
-In che ambiente musicale sei cresciuto? Le tue particolari influenze dove e come sono nate?
Mi sono fatto una cultura musicale piuttosto estesa con estrema pazienza e soprattutto molta molta curiosità e voglia di approfondire....poi naturalmente il giro di amicizie giusto, un professore di religione intrippato con l’alternative rock americano e Piero Scaruffi hanno fatto il resto.
-Negli ultimi anni c'è stata una autentica riscoperta del folk e della psichedelia, mi vengono in mente personaggi come Devendra Banhart, Fleet Foxes e The black Angels, tra i tanti...ti dai una spiegazione?
Devendra Banhart non è psichedelico per niente e tra l’altro lo sopporto abbastanza poco. Fleet Foxes e Black Angels sono due band che ascolto spesso e che stimo tantissimo. Ormai non ha più senso parlare di riscoperte e revival duraturi visto che ogni anno si “riscoprono” miliardi robe e spesso anche in maniera piuttosto maldestra e priva di contenuto.
-Droghe e ispirazione, può essere un connubio ancora d'attualità nel 2010?Boh....per il momento non ne ho avuto bisogno, al primo calo di ispirazione farò una prova.
-Ho sentito che ultimamente ascolti molto Neil Young, hai ascoltato l'ultimo lavoro Le Noise? Quali altri artisti stai ascoltando ultimamente?
“The Noise” è un disco grandioso....per le atmosfere evocate, per ciò che esprime e per le scelte strettamente musicali. E'un disco a suo modo classico e sperimentale allo stesso tempo, cioè....come cazzo ti viene in mente di registrare un intero album di pezzi superdistorti e cattivissimi senza batteria? Alla fine è un’idea semplice ma devastante, così come l’utilizzo della viola elettrica nel primo disco dei Velvet Underground, vai a pensarla tu una roba del genere nel ’66! Cosa ascolto ultimamente? Il singolo dei Superchunk e poi tutto il resto.
-Ci sono differenze tra Alberto Mariotti e Samuel Katarro( se vuoi rispiegare da dove arriva iil tuo nome,... fai pure)? Diventi un'altra persona sopra ad un palco?
Posso non risponderti? Sono un po’ stanco di questo genere di domande....senza offesa eh! (Lo sapevo che non avrei dovuto fare questa domanda...!)
-Piccoli, imminenti progetti e sogni nel cassetto, magari qualche collaborazione con un nome famoso?
Attualmente sto scrivendo canzoni sia per il nuovo di Katarro che per un altro progetto a cui probabilmente darò un altro nome ma è ancora tutto da vedere....visto che mentre scrivo dei pezzi penso immediatamente a come collocarli in un disco e a quale sarà il tono generale dell’intero lavoro mi viene spontaneo pensare anche a quali musicisti (oltre alla Tragic Band) coinvolgere, ho già qualcuno in mente ma per adesso non ve lo dirò!
lunedì 10 gennaio 2011
Recensione Live: EDDA, circolo Arci DHARAMSHALA, Tronzano Vercellese, 8 GENNAIO 2011
Quando penso a Edda degli ultimi 2 anni , vedo un uomo sopra ad un enorme e lungo ponte che congiunge un'isola "delle scelte sbagliate", ormai alle spalle e molto lontana, con un'isola "della vita felice" che si scorge in lontananza, ancora avvolta, però, da nubi e nebbie. Edda ,sopra a questo ponte, cammina, osserva la vita sotto ai suoi piedi con occhio timido e curioso da bambino. Si affaccia dal guard rail con molta prudenza e con passo disincantato continua la sua camminata per raggiungere la sponda buona con il suo bagaglio di vita che lo ha fatto crescere.
INTERVISTA http://www.impattosonoro.it/2011/01/10/interviste/intervista-a-edda/
"Iniziamo il concerto con una canzone dei No Guru". Esordisce così , quasi sottovoce, Edda, mentre con gli occhi scorge tra il pubblico una t-shirt del gruppo. La mia. No, non suonerà nulla della band dei suoi ex compagni, ma non mancherà, durante e dopo la serata, di ricordarsi di loro, spendendo buone parole e mantenendo intatto il filo che lo collega al suo passato.
L'accogliente e ben gestito Circolo Dharamshala di Tronzano Vercellese, si e ci regala un venerdì sera diverso dal solito, con un personaggio che, se per qualcuno rappresenta una piccola icona del rock italiano degli anni novanta, per altri, i più giovani ed abituali frequentatori del locale rappresenta un signore sconosciuto, ultraquarantenne vestito di grosse scarpe, pantaloni di una vecchia tuta blu scolorita e improponibile maglione di lana extralarge. Edda ci metterà poco a conquistare anche loro.
Accompagnato dagli ormai fidi Andrea Rabuffetti alla chitarra e mandolino e Sebastiano Di Gennaro alle percussioni e rumori vari, Edda stravolge, massacra e imbastardisce le sue e altrui canzoni, rendendole spesso e volentieri irriconoscibili, ma regalandone ogni volta una nuova ed originale versione.Come lui stesso ammetterà a fine concerto, facendo due chiacchiere e facendo trasparire tutta la sua timidezza e tenerezza, "...che senso ha suonare le canzoni sempre uguali, che palle e poi loro sono bravissimi(rivolgendosi ai due suoi compagni)a venirmi dietro".
Chi non lo conosce potrebbe rimanere incredulo nel pensare che quel "coglione fatto e finito"(queste le sue testuali parole) che una volta agitava i lunghi capelli a suon di rock ora delizi con intatta voce e con canzoni nude e spoglie che raccontano il suo difficile passato. A Edda non si può rimanere indifferenti, se non lo conosci, finirai per prenderlo in simpatia, anche se non capisci nulla di quello che canta e le uniche parole che impari e percepisci delle sue canzoni sono le imprecazioni e le volgarità improvvisate e sparate dirette, un pò come quando inizi a studiare una lingua straniera e a rimanerti impresse per prime sono le cosidette parolacce. Dopo, però, ti si apre un universo come quello di chi sceglie di coverizzare un Finardi d' annata ( Sulla strada) o un, poco conosciuto ai più, cantautore napoletano che di nome fa Ciro Sebastianelli. "Questa canzone "Laura" è bellissima ma non la conosce nessuno" dirà sempre chiacchierando a fine concerto prima di andare via imbarazzatissimo.
Tra una versione stravolta di Sogna dei Ritmo Tribale, i nudi testi di Io e te, L'innamorato, Scamarcio, Fango di Dio, Per sempre biot del suo disco d'esordio, tra una canzone cantata per intero dando le spalle al pubblico, tra riferimenti sessuali esorcizzanti e provocatori, tra parole sbiascicate tra una canzone e l'altra, c'è il suo mondo e una vita ritrovata, fatta di pura semplicità, sincerità e voglia di suonare e divertirsi,"anche se non riusciamo a trovare dei bravi tecnici ed arrangiatori per le nuove canzoni che stiamo registrando", ci confida sbuffando, sempre a concerto terminato,"una volta era diverso,anche Marcelle Bella, può piacerti o no, ma aveva dei suoni fantastici".
Un piccolo eroe minore e modesto che ha scelto di mettersi a nudo usando la musica e che sta ritrovando quelle piccole cose della vita che poi sono le più grandi e che scelte passate sembravano aver nascosto, fortunatamente non così bene da non essere riscoperte e godute.
Il ponte sembra sempre più corto.
Foto gentilmente concesse da Circolo Arci Dharamshala
venerdì 31 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI CLASSIC ROCK 2010
Canzoni quasi intime, che richiamano il folk ed il blues e dove la presenza dei suoi concittadini texani Okkervil River si limita ad accompagnare il maestro, lasciando poca traccia di sè, se non in alcuni episodi, perchè, dopo tanti tributi da parte del più disparato mondo musicale, Roky Erickson è tornato per restare, perchè la musica ha ancora bisogno di "pazzi" come lui. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/roky-ericksoninferno-e-ritorno.html
2 NEIL YOUNG Le Noise
Il connubio Young-Lanois ha funzionato e il canadese ne esce, finalmente, con un disco degno del suo nome. Chitarre e voce, nulla più. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/neil-young-recensione-le-noise.html
3 KULA SHAKER Pilgrims Progress
Ora e solo ora, i Kula Shaker fanno uscire il lavoro che li consegna alla maturità. Non cercate facili melodie pop o hit da classifica. Crispian Mills e soci consegnano ai loro fans un disco intriso di folk a quattro anni dal loro ultimo disco. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/09/10/recensioni/kula-shaker-pilgrim-progress/
4 EELS Tomorrow morning
Con Tomorrow Morning, Mister E conclude la trilogia partita con il garage-rock-blues di Hombre Lobo e continuata con l' ancora fresco e acustico End Times..conclude questo prolifico periodo di ispirazione, dettato dalle sue sventure di vita, dando alle stampe un disco che finalmente sembra dare un pò di luce positiva alle sue composizioni.
5 JOHN MELLENCAMP No better than this
Mellencamp con questo disco riesce , forse, a spiegare e dare al viaggio il suo giusto significato, quello di vivere i luoghi che si visitano non da semplici turisti, a volte insospettiti da usi e costumi diversi dai propri, ma di vivere i luoghi, entrandoci dentro, confondendosi, mettendosi alla prova con quegli usi e costumi. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/08/john-mellencamp-un-vecchio-microfono.html
6 GRACE POTTER & THE NOCTURNALS
Bella e brava. Il nuovo talento femminile del rock americano...Un disco piacevole, per gite on the road, verso mete californiane preferibilmente e la reggaeggiante Goodbye Kiss ti fa sognare di avere la bionda Grace al tuo fianco... Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/07/grace-potter-nocturnalsoltre-le-gambe.html
7 JOHNNY CASH American VI:ain't no grave
A sette anni di distanza dalla sua morte, esce il secondo disco postumo di Johhny Cash. Quando muore un’artista, ancor di più se una leggenda come Cash, c’è sempre il rischio di grattare il fondo del barile nel far uscire a tutti i costi una raccolta di canzoni rimaste inedite.Con Cash, fortunatamente, questo pericolo sembra scongiurato. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/04/01/recensioni/johnny-cash-american-vi-aint-no-grave/
8 TOM JONES Praise & blame
Chi l'avrebbe mai detto che un disco di Tom Jones potesse essere una rivelazione. Le prime indiscrezioni su questo disco erano le colorite frasi dei dirigenti della Island records, etichetta di Jones, che pensarono subito ad uno scherzo dopo che il gallese dalla voce d'oro presentò loro le nuove canzoni. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/tom-jones-recensione-praise-blamequello.html
9 ROBERT PLANT Band of joy
Un disco di covers che certamente non porterà nulla di nuovo nella carriera di chi la storia della musica l'ha già ampiamente scritta ma che cementa ancor di più il futuro musicale di un artista che tutto sommato non si è mai svenduto...Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/robert-plant-recensione-band-of-joy.html
10 XAVIER RUDD & IZINTABA Koonyum sun
Uno dei più sinceri cantori di world music di questi anni. Soul, funk, reggae, blues e ritmi afro che mettono a nudo la sincerità musicale ed intellettuale di Rudd. Musicista australiano a tutto tondo.
11 GIANT SAND Blurry blue mountain
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/12/dischi-in-ascolto-recensioni-di-volbeat.html
12 PAUL WELLER Wake up the nation
13 TOM PETTY Mojo
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_31676/Tom_Petty__The_Heartbreakers_Mojo.htm
14 ISOBEL CAMPBELL & MARK LANEGAN Hawk
15 ELTON JOHN/LEON RUSSELL The union
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/11/dischi-in-ascolto-recensioni-di-elton.html
16 VICTOR DEME Delì
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/victor-deme-se-questa-deve-essere.html
17 WILLIE NILE The innocent ones
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-willie-nile-innocent-ones.html
18 JOHNNY FLYNN Been listening
19 ALEJANDRO ESCOVEDO Street songs of love
20 RONNIE WOOD I feel like playing
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/dischi-in-ascoltorecensioniin-rigoroso.html
martedì 28 dicembre 2010
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY- Elliott Murphy
ELLIOTT MURPHY- Elliott Murphy (Blue Rose Records, 2010)
Elliott Murphy è un onesto cantastorie del rock che alla pari di altri grandi songwriters americani, mi vengono in mente personaggi come Willie Nile e Alejandro Escovedo, per fare solo due nomi, ha sempre lavorato dalla parte opposta del successo, vuoi per sfortuna o per precisa scelta personale e artistica, non venendo mai a mancare, però, per caratteristiche di qualità.
Presentato e sbandierato, negli anni settanta, come il nuovo Dylan (ma chi non lo era in quegli anni, quando il menestrello di Duluth sembrava vivere in netto calo di ispirazione), da parecchi anni ha lasciato New York che ne segnò i primi anni in bilico tra il decadente glam e la nascente scena punk, per trasferirsi in Europa, nell'amata Parigi.
Arrivato a sessan'tanni e con una trentina di dischi incisi (Elliott è uno che non si risparmia nè in studio , nè live), questa nuova ed omonima uscita sembra avere tutte le carte in regola per raggiungere l'intensità e la profondità dei suoi vecchi dischi e, perchè no, far ripartire la carriera. Registrato tra New York e la Francia, vede la produzione affidata al giovanissimo figlio appena ventenne Gaspard Murphy, un attestato di fiducia di tutto rispetto fatto da papà Elliott.
L'iniziale Poise'n Grace strizza subito l'occhio a Bob Dylan nel cantato ed omaggia l'amico Springsteen nella strofa finale della canzone: "I've been listening to Nebraska, Johnny 99 hits 100 as the new Jersey sky turns dark". Bruce Springsteen, sempre pronto ad invitare Murphy sul palco durante le sue calate europee.
Le canzoni scritte quasi interamente da Murphy, eccetto alcune in compagnia dell'ottimo chitarrista Olivier Durand, sono ballate dall'antico sapore, come Counterclockwise che non avrebbe sfigurato su "Oh Mercy" di Dylan, per il suo carattere oscuro e dark, la supplica di Take the devil out of me, la più jazzata You don't need to be more then yourself, piccolo saggio di filosofia di vita o With the ring, ariosa ed orchestrale negli arrangiamenti fatti dal figlio.
Più sostenute e sentiti omaggi al rock'n'roll sono la divertita e dal titolo rivelatore Rock'n roll'n rock'n roll e la quasi hillbilly Rain, rain, rain, dove a mettersi in mostra è la sua buona band di accompagnamento, The Normandy All Stars.
A chiudere, gettando un ponte verso la terra che gli ha dato i natali , la lunga ed evocativa epopea dalle atmosfere quasi western Train kept a rolling.
Murphy, rimane ancora un cantautore d'altri tempi, un dandy del rock che fa ancora della poesia in musica un vanto ed una ragione di vita, lontano dai grandi circuiti che contano ma sempre più vicino ai cuori e all'anima. Una carriera senza hit epocali ma piena di coerenza e dedizione al rock.
vedi anche RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY-It Takes A Worried
Man (2013)
martedì 21 dicembre 2010
Recensione: MOTORHEAD-The World is yours
MOTORHEAD The World is yours (UDR, 2010)
"...voglio dire, voi insegnate alla gente che il Messia era il frutto dell'unione tra la moglie di un vagabondo(fra l'altro vergine)e di uno spirito? E questo sarebbe il fondamento di una religione diffusa a livello mondiale? Non mi convince. Immagino che se Giuseppe si è bevuto questa, si meritasse di dormire in una stalla!..."da "La sottile linea bianca- autobiografia"-Lemmy
Ecco, l'anno si conclude con una certezza in campo rock. Lemmy festeggerà il suo sessantacinquesimo Natale il 24 Dicembre e noi sotto l'albero avremo il ventesimo album della sua band. Tanto per mantenere le tradizioni.
I Motorhead o si amano o si odiano. Chi li tagga di immobilismo cronico, chi ne elogia la coerenza. Non si può obiettare sulla dedizione totalitaria al rock di un personaggio, culto rock'n'roll vivente e recentemente, pure oggetto di studi medici improntati sulla sua straordinaria longevità tentata ed ostacolata da tutti i possibili vizi. Lemmy con il suo basso e i Motorhead passano il loro tempo a registrare dischi e fare tour, cosa si vuole di più da una band che suona rock? I maligni invocheranno una maggior cura nelle uscite discografiche, ormai a scadenza biennale ma i Motorhead continuano ad impartire lezioni e questo "The World is yours" è un pachiderma in grado di schiacciare l'aspirazione di qualunque giovane band che si affaccia nel mondo della musica.
Nessuna pausa durante le dieci canzoni e i quaranta minuti di questo disco. Nessun rallentamento o concessione a ballads, che in fondo non erano poi così male interpretate dal vocione cavernoso di Lemmy. Se negli ultimi lavori erano comparsi alcuni omaggi al blues, questa volta ad uscire dalle casse è l'amore di Lemmy e soci per il rock'n'roll primigenio, con il quale sono cresciuti. Rock'n'roll music, strizza l'occhio al boogie rock dei migliori Ac/Dc ,era Scott e la scollacciata e finale Bye bye bitch bye bye tradisce l'amore incondizionato per Chuck Berry, naturalmente rivisto a volumi alzati.
Quando poi si ascolta la più moderna, pesante ed oscura Brotherhood of man, con un Lemmy più ringhioso del solito, si capisce che ai Motorhead piace anche cambiare le carte in tavola e spiazzare. Con testi diretti ed esplicti come la titletrack che esorta tutti a riprendersi il mondo finito in mano a pochi potenti o la pesante critica sulla religione che compare in Get back in line finendo con l'unica certezza, vera religione e salvezza: il rock'n'roll( Rock'n'roll music).
Le restanti sono, più o meno, mid-tempo convenzionali e con il marchio Motorhead ben impresso a fuoco con tanto di autoriferimenti, come il primo singolo Get back in line, Outlaw o l'apertura affidata a Born to lose, mentre più spedita viaggia I know what you need. Comunque da sottolineare la sempre pregevole prova di Philip Campbell alla chitarra e negli assoli sparsi in tutti i brani, un chitarrista sempre troppo sottovalutato e l'incessante potenza della batteria di Mikkey Dee, compagni perfetti di padron Kilmister da molti anni a questa parte e formazione più stabile della storia del gruppo.
In periodi come questi è sempre bene e consigliabile andare sul sicuro, anche nella musica. I Motorhead non hanno mai tradito. Buon Natale e buon compleanno Lemmy!
lunedì 20 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI,ALT-HARD-HEAVY 2010
Un ritorno prepotente e rabbioso. Tra perdite umane importanti e la loro visione senpre più apocalittica che con gli anni diventa sempre meno utopistica. Coleman riunisce i componenti dell'esordio e traccia un bilancio di carriera sonoro. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/dischi-in-ascoltorecensioniin-rigoroso.html
2 BLACK MOUNTAIN Wilderness Heart
La loro scrittura ancorata agli anni '70 si è fatta più semplice e diretta. Le canzoni sono ben bilanciate tra bordate hard e rilassatezza folk rinunciando alla psichedelia dei passati dischi. Un altro grande passo in avanti verso i settanta. Recensione
http://www.impattosonoro.it/2010/10/17/recensioni/black-mountain-wilderness-heart/
3 BLACK LABEL SOCIETY Order of the black
Zakk Wylde abbandona definitivamente zio Ozzy e dopo alcuni dischi poco esaltanti si rituffa nella melma metal/southern degli esordi. Graniticità e alcuni lenti di grande spessore. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/black-label-society-recensione-order-of.html
4 THE SWORD Warp Riders
Il terzo disco è quello della maturità per la band americana. Allo stoner/doom si aggiunge una componente blues e melodica ed un concept fantascientifico. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-swordwarp-riders.html
5 DANKO JONES Below the belt
Il rocker canadese continua la sua marcia, rock’n'roll, blues, hard e metal vengono frullati sottoforma canzone con ritornelli che ti si stampano in testa al primo ascolto e musica che ti fa sobbalzare dalla sedia. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/06/22/recensioni/danko-jones-below-the-belt/
6 DANZIG DethRed Sabaoth
Ormai lo si era dato per perso e bollito, ma lui ritorna con quello che sa fare meglio, riguardando al passato. Così ci piace. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/07/danzigun-passo-avanti-verso-il-passato.html
7 HEATHEN The Evolution of Chaos
Il mio disco thrash metal dell'anno. Furono autori di due soli dischi che bastarono per farli entrare nella leggenda ( Breaking the silence(1987) soprattutto). Il loro ritorno non tradisce.
8 SOULFLY Omen
Mentre gli ex compagni Sepultura sono in agonia da molti anni, Max Cavalera trova il tempo di far pace con il fratello( Cavalera Conspiracy) e sfornare, con i Soulfly, un disco di thrash/core metal vecchia maniera abbandonando momentaneamente le influenze tribali.
9 THE BLACK ANGELS Phosphene dream
"Dopo averti inizialmente stordito la percezione visiva con la copertina, ti conducono con la musica verso i posti immaginifici della perdizione sensoriale in compagnia dei fantasmi più allucinati della musica anni sessanta." Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-black-angels-phosphene-dream.html
10 PRO -PAIN Absolute power
La band di New York capitanata da Gary Meskill è ormai una garanzia in fatto di coerenza e fedeltà al thrash/hardcore. Vent'anni di carriera senza sbavature.
11 OVERKILL Ironbound
12 THE BLACK KEYS Brothers
Recensione
http://www.impattosonoro.it/2010/07/08/recensioni/the-black-keys-brothers/
13 YEAR LONG DISASTER Black magic;all mysteries revealed
14 GOGOL BORDELLO Trans-continental hustle
15 HOGJAW Ironwood
16 ARMORED SAINT La Raza
Recensione
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_31416/Armored_Saint_La_Raza.htm
17 BLACK COUNTRY COMMUNION
18 VOLBEAT Beyond Hell/Above Heaven
Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/12/dischi-in-ascolto-recensioni-di-volbeat.html
19 SLASH
20 IRON MAIDEN The final frontier
mercoledì 15 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI ITALIANI 2010
Esordio per la super band formata dagli ex Ritmo Tribale e Xabier Iriondo(ex Afterhours)un mix perfetto tra l'alt rock italiano dei '90 e richiami alla no wave 70/80. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/no-guru-recensione-milano-original.html
Intervista http://www.impattosonoro.it/2010/10/04/interviste/intervista-ai-no-guru/
2 SAMUEL KATARRO The Halfduck Mystery
Dopo l'esordio votato al blues "solitario", Alberto Mariotti(il suo vero nome) ritorna con un disco che strizza l'occhio alla psichedelia dei '60. Non fosse italiano sarebbe già da prima pagina!
Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/samuel-katarroda-robert-johnson-alla.html
3 MASSIMO VOLUME Cattive Abitudini
Clementi e soci si riformano e si ripresentano con un disco "pensante". Come se non se ne fossero mai andati. Fausto e Litio due tra le migliori canzoni italiane dell'anno!!
4 IL PAN DEL DIAVOLO Sono all'osso
E' stato uno dei primi dischi usciti in questo 2010, ma già si candidava tra le migliori uscite dell'anno. Il duo acustico siciliano è travolgente nella sua estrema semplicità. Tra Rock'n'roll e cantautorato folk. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/02/03/recensioni/pan-del-diavolo-sono-allosso
5 STRANA OFFICINA Rising to the call
Nei primi anni ottanta sono stati i portabandiera del metal italiano e solo il triste incidente che ha portato via i fratelli Cappanera ne ha interrotto la marcia. Risentire la band toscana a questi livelli è un gran piacere. Tra passato e moderno presente.
6 ARDECORE San Cadoco
Dopo gli stornelli romani in chiave rock e un premio Tenco, vincono ancora la sfida con un progetto ambizioso ma perfettamente riuscito. Due dischi, il bianco e il nero, l'uomo e la donna, l'amore e l'odio. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/12/17/recensioni/ardecore-san-cadoco/
7 WIND Walkin' on a new direction
In Italia abbiamo uno dei migliori gruppi di Hard-blues europei. Da Udine all'America il passo sembra essere davvero breve.
8 AFRICA UNITE Rootz
Da trent'anni sono il gruppo "reggae italiano". Questo loro ritorno alle radici rappresenta anche uno dei loro migliori e più completi dischi di sempre. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/04/22/recensioni/africa-unite-rootz/
9 CALIBRO 35 Ritornano quelli di...
Ritornano quelli di...un side-project che è diventato un vero e proprio gruppo e sta facendo pure scuola con i suoi suoni presi dai film polizieschi degli anni settanta.
10 EDDA In Orbita
L'anno scorso, lo spettacolare ed inatteso ritorno con Semper biot, quest'anno c'è stata la riconferma suonando in giro per l'Italia e con un ep live creato come omaggio all'autore. Splendida la cover di Suprema di Moltheni. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/09/23/recensioni/edda-in-orbita/
11 BACHI DA PIETRA Quarzo
Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/11/01/recensioni/bachi-da-pietra-quarzo/
12 THUNDERSTORM Nero Enigma
13 BARNETTI BROS BAND Chupadero!
14 I LUF Flel
15 MARLENE KUNTZ Ricoveri virtuali e sexy solitudini
16 PAOLO CONTE Nelson
Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/11/dischi-in-ascolto-recensioni-di-elton.h
17NINA ZILLI Sempre lontano
18 MASSIMO PRIVIERO Rolling Live
19 IO? DRAMA Da consumarsi entro la fine
20 EVASIO MURARO O tutto o l'amore
21 MINISTRI Fuori
lunedì 6 dicembre 2010
BRUCE SPRINGSTEEN:recensione THE PROMISE, The Darkness on the edge of town STORY
Ci sono ricordi indelebili legati alla musica che ci si porta dietro per tutta la vita, ricordi che ciclicamente ritornano quando una canzone viene ascoltata, una copertina viene riguardata, analizzata per la millesima volta. Una vecchia cassetta a nastro raffigurante un giovane Springsteen, con i capelli arruffati, che posa davanti a delle persiane, una foto quasi rubata di prima mattina appena dopo il risveglio, un'istantanea che sembrava emanare odor di caffè e urgenza di riniziare una giornata dopo aver speso la nottata in studio di registrazione.
Viaggi in autastrada con quella cassettina protagonista, quando l'inglese era ancora una lingua marziana, ma le canzoni dicevano già tutto senza troppe analisi testuali. Quando la A4 diventava la mia Route 66 e i genitori fedeli compagni di viaggio, con le soste per il rifocillamento che diventavano l'anticamera di un nuovo ed ennesimo ascolto di quella musica. Forse, inconsciamente, si sognava già e quella raccolta di canzoni iniziava a prendere possesso di un posto importante che ancora occupa.
Per chi ha sempre considerato Darkness on the edge of town il picco lirico -musicale di Springsteen e la sua E-street band, questo cofanetto è pura manna dal cielo e godimento assoluto. Il disco uscito nel 1978 è stato il più sofferto e lavorato ed il poter avere in un solo colpo una visione totalitaria su tutto ciò che successe in quegli anni che vanno dal successo immediatamente dopo l’uscita di Born to run, comprese le due famose copertine contemporanee, datate 27 Ottobre 1975, sui due più grandi giornali statunitensi , Time e NewsWeek, fino al tour liberatorio e storico che lo traghettò verso gli anni ottanta e il doppio The River. Cinque anni pieni di fama, illusioni, cadute, battaglie, testardaggine e rivincite.
Il “futuro del rock’n’roll” di inizio anni settanta sembrava, in pochi attimi, azzerato e destinato a finire prestissimo con il rischio di diventare meteora, per colpa dell’assurda legge di mercato che si materializza nella persona che principalmente era un amico, il suo produttore e manager Mike Appel. La causa legale che lo tenne lontano da studio di registrazione e palchi, fu lo scatto di carriera che portò Springsteen ad essere quello che ancora è oggi.
Dal punto di vista musicale, molto è contenuto in questo box che raccoglie l’originale The Darkness On The Edge of Town ,rimasterizzato, più due cd raccolti sotto il titolo The Promise, che includono ventun canzoni delle circa settanta che Springsteen scrisse per questo album, mettendo a nudo una prolificità di scrittura impressionante. Darkness è un disco crudo, freddo e notturno, dove l’amore è marginale e per la prima volta compaiono personaggi che saranno i protagonisti delle canzoni di Springsteen da quel momento in avanti. Personaggi che sembrano arrivati al bivio della loro vita, persi dentro alla loro routine da working class hero e qui compare, per la prima volta, la figura paterna: nell’autobiografica Factory, dove la figura dell’operaio che varca il cancello dell’azienda di prima mattina sotto la pioggia ed espone il suo fisico a rischio, tutti i giorni, uno uguale all’altro, giorni di vita e lavoro, non è altro che suo padre, operaio come tanti. O come nella dura e cruda, sia musicalmente che testualmente, Adam raised a cain.
La speranza nascosta dentro a canzoni come Badlands. L’impressione di perdere grande parte della propria vita ad aspettare, un tempo sprecato che necessita di una speranza che un giorno possa elevare e portarti lontano dai bassifondi in cui si vive il presente.
THE PROMISE (2 CD)
The Promise, nelle sue ventuno canzoni (ventidue se si considera la ghost track The Way) non è altro che una piccola parte degli innumerevoli brani scartati dalla scaletta ufficiale di Darkness. Durante le session vennero registrate qualcosa come settanta canzoni, solo dieci vennero incluse nel disco, le altre vennero messe da parte. Alcune vennero riprese per i successivi dischi, altre videro la luce per la prima volta nel monumentale Tracks.
Bruce mise da parte canzoni che secondo la sua coscienza non rispecchiavano il “tema” lirico e musicale che Darkness aveva assunto. Canzoni troppo pop per farne parte. Molte, d’amore, stridevano se confrontate alla durezza e cinicità delle dieci prescelte, altre come la stupenda The Promise, vennero considerate dei doppioni. Insomma, alcune perle, inspiegabilmente, non trovarono mai la loro collocazione su disco, pur venendo rappresentate e suonate durante i live, venendo, nel tempo, oggetti ricercattissimi dai fan.
In modo inspiegabile, anche da chi era molto vicino a Bruce, The Promise (la canzone), inizialmente considerata scomoda per via di alcuni riferimenti alla vicenda Appel, il rock’n’roll di Fire che sembrò scritta per re Elvis, Because the night, incisa e completata da Patti Smith, Candy’s boy, Save my love, Talk to me, Spanish eyes vengono allo scoperto solo oggi ma lasciano intendere che gli archivi di quel periodo hanno ancora moltissimo materiale da offrire. Alcune non sono altro che alternate- track di canzoni che finirono tra le dieci elette: Racing in the Street ('78), Come on (Let's go tonight) svelando il lavoro impressionante e la cura di Springsteen verso ogni canzone. Arrivaò anche a scrivere cinquanta versioni diverse per ogni brano.
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The Promise, the making of Darkness on the erge of town
Questo film-documentario, presentato anche al festival romano questo autunno e che ha visto la presenza di Springsteen in passerella e durante la proiezione della prima, sostanzialmente si basa sulle riprese amatoriali ed in bianco e nero fatte in studio da Barry Rebo. Il compito di assemblare il tutto e tirarne fuori un film con interviste ai protagonisti di allora è affidato al regista Thom Zimmy.
La storia dell’album viene documentata e narrata in modo scorrevolissimo ed alcune scene rendono l’idea delle difficoltà che portarono alla realizzazione di Darkness. Il rapporto con Appel, l’affidamento del lavoro al nuovo produttore John Landau (che definisce il suono del disco "nero come il caffè") con la supervisione di Van Zandt(spassosissime alcune scene che lo ritraggono insieme al "boss" ad accennare per la prima volta quelle che in seguito diverranno le canzoni del disco) , la tenacia e il perfezionismo quasi maniacale di Springsteen in studio, le difficoltà incontrate dalla band nella ricerca del suono giusto ( le particolari ossessioni di Springsteen sul suono della batteria, "stick...stick...stick", amava ripetere fino alla nausea). Il problema di una nuova collocazione per il sax di Clemons, un pò sacrificato in questo disco, l'amore/odio dei compagni di band verso il quaderno di appunti di Bruce(fedelmente riprodotto e scrigno dell'intera opera), la storia della stesura di Because the night e l'intervento provvidenziale di Patti Smith.
Il nascente punk e l'incontro con il country di Hank Williams, cruciali per la direzione stilistica delle canzoni, le sessions fotografiche per la scelta della copertina e poi, i pareri di tutti i protagonisti che hanno lavorato all'album, musicisti e tecnici. Un quadro totalitario per capire la genesi dell'opera.
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Live Paramount Theatre, Asbury Park 2009.
Springsteen e la E-Street Band risuonano fedelmente l'intera scaletta di "Darkness on the edge of town". Una dimostrazione che, dopo trent'anni, la potenza e la precisione della band sono rimaste intatte ed immutate e che gli acciacchi del tempo non hanno scalfito la passione.
Thrill Hill vault 1976-1978
Raccolta di vecchi filmati, a volte sgranati e in bianco e nero, in studio e live, testimoni di quegli anni.
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Thrill Hill vault Houston '78 bootleg:house cut
176 minuti di concerto, una maratona che testimonia chi era Springsteen dal vivo in quegli anni. Un intero concerto a rappresentare il miglior tour di sempre. La popolarità di Springsteen iniziava ad essere troppo stretta se confinata ai piccoli teatri. Si spalancano, per la prima volta, le grandi arene che diverranno gli stadi e le folle degli anni ottanta. Iniziano a circolare le voci sulle grandi e famigerate maratone rock di Bruce e la sua band, capaci di suonare concerti titanici dalla durata di quattro ore. Una setlist strepitosa, che include anche canzoni che faranno parte del successivo lavoro "The River" e suonate in anteprima (Independence day, The ties that bind, Point blank), la stupenda versione live di Because the night che annienta l'originale di P.Smith, le divertite covers del Detroit medley, Quarter to three e lo spiritoso siparietto natalizio di Santa Claus is comin' to town.