martedì 13 luglio 2010
RECENSIONE: GRACE POTTER & THE NOCTURNALS, OLTRE LE GAMBE C'E' DI PIU'...
Il nuovo talento femminile americano, fortunatamente, per ora, lontano dai media e più vicino alla musica...
GRACE POTTER & THE NOCTURNALS (Hollywood Records, 2010)
A voler essere cattivi e maschilisti, potremmo soffermarci sulla copertina e le foto interne del libretto che ritraggono la bionda Grace Potter, ritagliarle, appenderle nel nostro rifugio segreto e finita lì.
La bella Grace, però, ha tante carte da giocarsi, oltre alle gambe, giunta al quarto album di studio, sembra che qualcuno se ne sia accorto. Prima di tutti, i colleghi artisti per cui ha aperto i concerti. Black Crowes, Gov't Mule, Dave Matthews Band e Joe Satriani non sono cosine da poco, la partecipazione alla soundtrack dell'Alice cinematografica di Tim Burton con la cover di White Rabbit dei Jefferson Airplane e non ultima la nomina "ufficiale" di miglior band del 2010 insignita dalla rivista americana Rolling Stone(...e di questo non so se bisogna andarne fieri).
Grace Potter non nasconde di aver avuto una folgorazione dopo aver visto The last Waltz ( anche il sottoscritto la ebbe, senza avere però doti artistiche), il film-documento sull'ultima esibizione di The Band, una delle migliori band rock americane. Proprio da The Band sembrano prendere spunto i suoi Nocturnals, per coesione, unità, certe aperture melodiche e la capacità di unire il rock con il folk, il soul e il blues.
La Potter, vocalmente si pone a metà strada, con tutto il rispetto possibile, tra Grace Slick e Janis Joplin, lasciando trasparire due anime ben distinte. L'anima rock-blues che troviamo in brani come l'iniziale Paris(Ohh la la), Medicine, Only love e Hot Summer Night, dove la band guidata dai due chitarristi Scott Tournet e Benny Turco(completano la bassista Catherine Popper, già vista con Ryan Adams e il batterista Matt Burr), può sfoderare tutto il suo regime rock o come nel bel singolo Tiny light, che parte come bucolico country-pop e finisce in un crescendo di noise jam-chitarristico.
Le doti vocali e strumentali della Potter (suona anche hammond e piano come nella ballad Colors) si riscontrano nelle canzoni Oasis,Low Road, Money e That phone orientate al soul-pop, dove l'influenza dell'amata Aretha Franklin si fa sentire.
Un disco piacevole, per gite on the road, verso mete californiane preferibilmente e la reggaeggiante Goodbye Kiss ti fa sognare di avere la bionda Grace al tuo fianco.
Il pregio dell'ascoltabilità può trasformarsi in difetto se si vuole fare i pignoli. La produzione affidata ad un produttore non proprio rock'n'roll come Mark Batson, rende tutto quello che dovrebbe essere sporco, troppo pulito e luccicante, ponendo ancora dei dubbi su dove la Potter e il suo gruppo vogliano andare a parare.
Una certezza però c'è, il disco in questione porterà tanta fortuna, così com'è.
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