lunedì 29 settembre 2014

RECENSIONE:SCOTT H.BIRAM (Nothin' But Blood)

SCOTT H. BIRAM  Nothin' But Blood (Bloodshot Records/IRD, 2014) 



Se il successo di un musicista si misurasse dal numero di ossa rotte in vita, il quarantenne Scott H. Biram sarebbe in cima alle classifiche. Sfortunatamente per le sue tasche sdrucite non è così, e il texano continua ad incidere dischi (nove in tredici anni), con fierezza e rara passione, camminando e talvolta correndo troppo con il suo vecchio Ranchero 65 lungo quella linea zigzagante, poco trafficata ma pericolosa, che divide il bene dal male, il sacro dal profano, la redenzione dal peccato, e dove country, blues, punk e metal viaggiano allineati in contemporanea lungo le sei corde delle sue vecchie chitarre. Ossa spezzate in episodi marginali alla vita artistica ma capaci di inquadrare il personaggio: prima l’incidente stradale in Texas nel 2003 che gli lasciò intatto un arto su quattro ma non gli impedì, un paio di mesi dopo, di salire sul palco in sedia a rotelle con una flebo al seguito, poi in Francia nel 2009, quando scivolò nei pressi di una pompa di benzina. Cicatrici e protesi al titanio lo tengono unito. Uno scavezzacollo sporco e genuino, “ho imparato a sputare e menar pugni prima di imbracciare una chitarra”, che in giovane età, prima di essere conquistato dal blues (Doc Watson e ‘Vol.4’ dei Black Sabbath tra i suoi preferiti) e poi dal punk, accontentò pure la famiglia prendendo la sua meritevole laurea in arte che ora viene bene solamente per disegnare t-shirt con grande spirito DIY, lo stesso che gli bolle in corpo quando ha una chitarra in mano, quando sbuffa dentro un’armonica, batte il piede su una stomp box amplificata e sale sul palco a ringhiare. Tutto insieme. Un “The Dirty Old One Man Band” (anche titolo del suo miglior disco) capace di unire Leadbelly e Motorhead, Merle Haggard e Black Flag, incendiare fienili con litri di alcol etilico, sfidare la morte provocandola pericolosamente e pregare per ringraziare d’essere ancora su questa terra.

Il nuovo album ‘Nothin’ But Blood’ lo ritrae immerso in un mare di sangue per un battesimo che in apparenza sa di nuova rinascita “ho un piccolo lato spirituale e amo la musica gospel, dico preghiere e cose del genere, ma non so di chi diavolo sto parlando”, anche se durante l’ascolto non sembra prevalere nessun lato della musica (country, bluegrass e iconoclastia punk si intrecciano ancora) e nemmeno della sua personalità: ha ancora la bottiglia di Whisky saldamente in una mano e il vangelo nell’altra. Cosa cadrà prima? “Sono un fottuto depresso, lo sono da sempre”. (Enzo Curelli) da CLASSIX! #39 (Aprile/Maggio 2014)



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