giovedì 31 agosto 2023

RECENSIONE: ALICE COOPER (Road)

 

ALICE COOPER  Road (EDEL/Ear Music, 2023)

on the road again



C'è una scena in  Daliland, il film uscito quest'anno ma in verità poco preso in considerazione, che si concentra sull'anno (1974) trascorso da Salvador Dalì a New York visto con gli occhi di un giovane gallerista alle prime armi: durante uno dei tanti baccanali a base di sesso e cocaina organizzati per Dalì, Jeff Fenholt (cantante della versione teatrale di Jesus Christ Superstar in quel momento al top) e Alice Cooper si raccontano le loro esperienze musicali quando si presenta Gala, musa di Dalì, e si porta via il suo nuovo pupillo Fenholt: "lascia stare quello che è un fallito, con i suoi foschi spettacoli non farà molta strada". Sappiamo tutti com'è finita: Road, appena uscito, è il ventinovesimo disco di Alice Cooper e proprio di tutti quei chilometri macinati in più di cinquant'anni di carriera si nutre.

Ho seguito gli ultimi due tour italiani di Alice Cooper e devo confessare di essermi sempre divertito tantissimo: Alice Cooper mette ancora in scena uno spettacolo dove rock’n’roll e teatro non prevaricano uno sull'altro accontentando tutti, grandi e piccini, adepti e nuovi fan.

Road è l'ennesimo concept album di Vincent Furnier, dopo l'omaggio alla musica della città di Detroit del precedente disco Detroit Stories, questa volta ha deciso di dare spazio ai musicisti della band che lo accompagna in tour: i chitarristi Nita Strauss, Ryan Roxie e Tommy Henriksen, Chuck Garrick al basso e Glen Sobel alla batteria sono tutti coinvolti anche in fase di scrittura. Il vecchio e sodale Bob Ezrin è in produzione ancora una volta.

"Volevo mettere in mostra la band in tournée, quindi abbiamo scritto le canzoni, siamo andati in studio e ho detto: 'Ecco l'accordo su questo album: niente sovraincisioni'. Ho detto".

Un disco che non cambia di una virgola la sua carriera  ma continua a proiettarlo nel presente ancora da protagonista non cedendo di un millimetro: qui dentro c'è ancora tutto lo scibile rock di Alice Cooper. Autobiografia di un musicista continuamente on the road.

Anche quando i testi sembrano adagiarsi un po' troppo sulla retorica della band rock in tour, l'ironia prevale e riporta tutto a posto.

È la sua storia di viaggiatore del rock ('I'm Alice' canta nel brano di apertura come se ci fossero ancora bisogno di presentazioni) proiettata su tredici canzoni che recuperano i suoni di sempre: dai rock’n’roll di 'Welcome To The Show' (ennesimo benvenuto a un suo concerto), e di 'Go Away' ai  suoni più hard e heavy di 'Dead Don't Dance' con la vecchia conoscenza Kane Roberts alla chitarra (rientrò nella band per un breve periodo in sostituzione di Nita Strauss, fresca di un disco solista ma rientrata presto in formazione) di 'White Line Frankenstein' con l'ospitata di Tom Morello, qui autore di un assolo dei suoi ma con qualcosa di diverso e la più heavy del lotto 'The Big Goodbye'.

Passando dalle influenze soul black che ruotano intorno a 'All Over The World', a quelle più country della ballata 'Baby Please Don't Go' (tra gli autori Keith Nelson dei Buckcherry) fino agli episodi più leggeri e giocosi come 'Big Boots', rock’n’roll con il pianoforte saltellante tra i doppi sensi o al veloce e corale blues  'Rules Of The Road', vademecum per giovani rockstar in erba scritta insieme a Wayne Kramer (Mc5). Per chi ama l'Alice Cooper dalle atmosfere tetre e teatrali c'è spazio per la breve '100 More Miles'. Mentre 'Road Rats Forever', uno speciale tributo ai roadie sembra riprendere là dove finiva 'Road Rats' contenuta in Lace And Whiskey, album del 1977. Il viaggio si conclude con la cover di 'Magic Bus' degli Who a cui viene aggiunto un assolo di batteria di Glen Sobel.

Ma il messaggio sembra chiaro: c'è ancora tanta strada da percorrere e il buon Alice Cooper non ha nessuna intenzione di fermarsi, almeno finché i copertoni tengono così bene l'asfalto e credetemi, di settantacinquenni che fanno ancora rock’n’roll così ne sono rimasti pochi.






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