LUCIO CORSI La Gente Che Sogna (Piccica Dischi/Sugar, 2023)
l'ultimo alieno
Anni fa quando volevo sentirmi meno anziano di quello che già ero (ora lo sono certamente) abbassavo il volume di quel vecchio disco di Bob Dylan and The Band che stava girando, prendevo il cellulare e mi mettevo ad ascoltare le nuove tendenze musicali e gli artisti in voga tra i giovani e i giovanissimi. Così a caso. Finiva spesso che l'ascolto della canzone non durasse più di trenta secondi. Avanti un altro. Sì sono vecchio!
In un'epoca in cui gran parte di ciò che gira intorno alla giovane musica italiana sembra già essere omologato e pure un po' ripetitivo, ben venga allora un giovane, che poi ha trent'anni anche se fisicamente ne dimostra sedici, come LUCIO CORSI, cantautore toscano, figlio un artigiano, dal modo di pensare "antico" quanto me, pure di più, naïf, così distante da talent show, trap e cantautorato indie da sembrare un alieno degli anni settanta capitato per caso nei duemila. Capita così che oggi, per essere alternativo all'alternativa bisogna rivangare nel passato. E lui lo fa molto bene. In casa Corsi hanno girato buoni dischi, lo si capisce subito. Dice di amare Randy Newman, il glam rock, Marc Bolan, Electric Light Orchestra e Paolo Conte. Io ci sento pure Ivan Graziani. Ah pure lui lo ama e lo ringrazia nei credit. Il suo sogno nel cassetto (irrealizzabile) sarebbe suonare con The Band. The Band. Capito?
Ama gli animali (tanto da dedicare loro tutte le canzoni del suo primo disco), la natura, la campagna, l'arte visiva (i suoi video sono dei piccoli corti). Le sue canzoni sono ironiche, piene di colori, avventurose, visionarie e sfuggenti quasi come il vecchio prog che intasava le classifiche italiane negli anni settanta. È uscito ora il suo quarto disco La Gente Che Sogna, scritto tra la Maremma e Milano, in copertina un dipinto della madre ed è composto da nove canzoni e "1425 parole" come ama precisare lui.
Un viaggio, un sogno, un desiderio che si muove tra terra e cielo, tra fantasia e realtà, tra onde radiofoniche provenienti dallo spazio ('Radio Mayday'), 'Astronavi Giradisco', irresistibili boogie rock tra Marc Bolan e Rocky Horror Picture Show, ballate che crescono sulle note di archi ('Orme). Ballate sui tasti di un pianoforte ('La Gente Che Sogna'), pop swing elettrici che riportano alla mente Faust'O e il primo Renato Zero ('La Bocca Della Verità), rock'n'roll con un riff sentito mille volte ma che possiede quella grandeur da E Street Band che accompagna Meat Loaf.
"Basta credere agli occhi, anche quando si chiudono" canta nella finale 'Un Altro Mondo' con quella chitarra così seventies che più seventies non si può.
Ecco, ora ho solo un interrogativo: è meglio che Lucio Corsi rimanga così, puro e innocente per le orecchie di pochi o sarebbe meglio augurargli tutto il successo di questo mondo perché se lo merita? Con eventuali posdibili conseguenze che conosciamo.
Intanto gli auguro di continuare a suonare con questa leggerezza dove cantautorato e glam rock volano nel cielo che è una meraviglia.
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