lunedì 2 gennaio 2023

RECENSIONE: MESSA (Close)

MESSA  Close (Svart Records, 2022)


davanti a una scelta: ecco il mio disco del 2022

Ecco il disco che smentisce tante persone: chi con troppa facilità ripete "non escono più dischi rock con qualcosa da dire", chi "in Italia non si fa rock", chi "ascolto solo cose vecchie che tanto...", chi "il rock italiano non sfonda all'estero", chi "i giovani non suonano più rock". 

In giorni dove i confini sono teatro di sanguinose atrocità nel nome della supremazia è bello rifugiarsi in dischi come questo. Sì, i Messa sono italiani e qualcuno dall'alto del loro stupendo terzo album Close li ha innalzati a suprema eccellenza tutta italiana. Certo, fa piacere. Però c'è veramente di più. Lo si capisce osservando la danza tribale Nakh delle donne nordafricane nella bella foto di copertina (e libretto compreso): agitano i capelli, muovono il collo, sono in movimento. Ecco: "movimento senza confini" sono parole che ben si adattano a questo disco e alla filosofia "aperta" della band. I Messa hanno fatto un lavoro straordinario: partendo dalla base heavy doom non hanno posto limiti (come la voce della brava Sara Bianchin) alla loro visione musicale che serpeggia senza guardare l'orologio tra il blues americano e il folk africano e mediorientale, il prog anglosassone, la psichedelia e il jazz (qui sale in cattedra il chitarrista Alberto Piccolo) in un vortice emozionale che non respinge ma ingloba. Dove luce e oscurità, occulto e sensualità, mistico e terreno, drammaticità e nostalgia flirtano in continuazione senza dare riferimenti, senza prevaricazioni. Dai territori carsici del loro Veneto ai deserti sahariani e poi ancora in qualunque parte voi vogliate.

I loro live poi, sono un'esperienza da vivere fino in fondo: catartici, ispirati, coinvolgenti anche per orecchie non avvezze a certi suoni. Se entri in sintonia con il loro vortice è fatta. Ne esci solo a concerto finito. Forse. È lì che vincono e convincono. La capacità innata di assorbire cinquant'anni di rock  sprigionandoli fuori in modo originale è virtù rara concessa a pochi. Sara tocca vette vocali con disarmante facilità, Alberto con la chitarra spadroneggia passando dal doom al jazz con tutto quello che c'è in mezzo (sua maestà il blues), il basso distorto e psichedelico di  Marco e la batteria di Rocco disegnano lo scenario intorno.

Si insomma, se l'Italia avesse la cultura rock di altri paesi europei, i MESSA sarebbero  venerati come si deve. Un patrimonio da difendere con passione ma con ancora tutta una carriera davanti.

Coraggiosi, interessanti, sorprendenti.





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