lunedì 13 maggio 2019

RECENSIONE: HEAVY FEATHER (Débris & Rubble)

HEAVY FEATHER  Débris & Rubble (The Sign Records, 2019)




sweden rock

Il carattere grafico delle scritte e la foto di copertina sono fin troppo chiari ed espliciti: i svedesi Heavy Feather giocano il campionato del retro rock, lo stesso di tante giovani e promettenti band. La Svezia è sempre stata terreno fertile per il vecchio rock’n’roll, quello genuino e con i piedi ben piantati nel terreno ancora fortunatamente umido. In questo momento occupano la metà classifica ma con un futuro da top assicurato quando oseranno di più. Fine anni 60, primi anni 70 sono le coordinate del loro campo d'azione, la voce della bionda Lisa Lystam li porta a facili paragoni con i Fleetwood Mac della seconda metà degli anni settanta, con i Mother Station degli anni novanta oppure, restando nel presente con i conterranei Blue Pills, mentre le chitarre richiamo l’hard blues di Cream, Free, Led Zeppelin. I soliti grandi nomi, insomma. Sei corde (Matte Gustavsson) dai riff contagiosi (‘Waited All My Life’), cambi d'atmosfera vincenti ed ammalianti (‘Dreams’), corse frenetiche ( ‘I Spend My Money Wrong’), lunghe code psichedeliche ( ‘Please Don’t Leave’) e anche un buon gusto per la forma canzone come dimostra il singolo ‘Where Did We Go’.
Nonostante la giovane età, tutti i componenti possono già vantare esperienze in altri gruppi (Siena Root, Lisa Lystam Family Band, Diamond Dogs, Stacie Collins e Mårra) e quindi una personalità artistica già spiccata e matura. Ma quello che più mi è piaciuto del loro debutto è la propensione nell’esplorare i territori americani legati al vecchio southern rock  grazie a ballate come ‘Tell Me Your Tale’, al blues con armonica di ‘Long Ride’ a un finale scuro e soul come ‘Whispering Things’, un commiato lento e soffuso che non può che portare verso altre cose buone che sicuramente verranno.








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