giovedì 9 luglio 2015

RECENSIONE: EILEN JEWELL (Sundown Over Ghost Town)

EILEN JEWELL  Sundown Over Ghost Town (Signature, 2015)

 
 
 
 
Se siete soliti frequentare le strade della musica americana, nell’anno 2014 avrete sicuramente osservato un pesante truck  sfrecciare con disinvoltura tra gli altri veicoli che parevano fermi: era Lucinda Williams con il suo perfetto Down Where The Spirit Meets The Bone, più che un faro per molte cantautrici in erba. Eilen Jewell  potrebbe essere un mini van, ben equipaggiato per cercare di tenere testa  a chi le sta davanti, e l’età, seppur non più giovanissima, potrebbe giocare a favore (classe 1979), anche se nel piedistallo degli artisti preferiti campeggiano  anche Bob Dylan, Loretta Lynn (a cui dedicò un album nel 2010, Butcher Holler)e soprattutto Billie Holiday. Nativa di Boise nell’Idaho, a sette anni prende le prime lezioni di pianoforte, a quattordici impara a suonare la chitarra come autodidatta, facendosi  le ossa suonando nelle sempre affollate fiere contadine, poi spostandosi di città in città, da Santa Fe nel New Mexico dove studia, passando per Los Angeles e Boston, città dove prende forma  l’attuale band che la accompagna e tra le cui fila milita il marito e batterista Jason Beek. La strada diventa sempre più importante nella sua vita e fonte d’ispirazione per la scrittura ogni giorno è un nuovo campo di battaglia, una nuova avventura. Ci sono un sacco di sfide. È faticoso. Anche quando è davvero divertente e bello, è comunque faticoso. Sono davvero innamorata della strada. Sono inquieta, quando non sono sulla strada. La versatilità di scrittura è una buona arma usata a dovere “un mix di blues, rockabilly, country, folk...tutte le cose americane con un po' di jazz qua e là. È la classica musica americana, nel senso che è una miscela di tutte le radici musicali”.
Sundown Over Ghost Town è il settimo album della sua carriera, un racconto personale ma quasi cinematografico nel suo incedere, nato durante il ritorno a Boise dopo un decennio di assenza è un album molto autobiografico. Racconta più storie vere di tutti i miei altri dischi ”.
I tocchi lievi di My Hometown accarezzano la tranquillità di casa in contrapposizione ai brutti avvenimenti  accaduti in una scuola elementare di  Newtown (un assassino fece 27 vittime) non riuscivo a smettere di pensare a tutti quei bambini innocenti e la grande perdita che stavano subendo le loro famiglie, tutti a causa di insensato atto di violenza di un giovane uomo. Allo stesso tempo, stavo realizzando quanto ero felice di essere a casa, di quanta gentilezza  mi circondava”. Rio Grande è una western song ma nata in pieno inverno durante una nevicata e impreziosita dalla tromba mariachi dell’ospite Jack Gardner, mentre Songbird che chiude l’album, è l’omaggio folk alla nascita della figlia Mavis (come Mavis Staples), ultima gioia di una vita ora tranquilla e una carriera in crescendo. (Enzo Curelli)  da CLASSIX! #44 (Giugno/Luglio)

 


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