venerdì 3 gennaio 2014

RECENSIONE:JOE NOLAN (Tornado)

JOE NOLAN  Tornado (Rootsy/IRD, 2013)



Tradizione pesante da portare avanti. I songwriter canadesi che hanno lasciato la firma sopra alla pergamena che ricorda i grandi del rock sono pochi ma indelebilmente segnati in grassetto: Leonard Cohen, Neil Young, Bruce Cockburn, Joni Mitchell, Gordon Lightfoot sono inavvicinabili. Il giovane Joe Nolan, classe 1990 , arriva al secondo disco con un promettentissimo esordio, Goodbye Cinderella uscito nel 2011, che gli valse una nomination al Canadian Folk Music Awards come "miglior artista emergente" e la voglia di continuare a portare avanti quella tradizione in modo onestissimo e senza colpi di testa, ma con una saggezza poetica da veterano consumato, penna brillante, romantica, voce che entra, sano e contagioso entusiasmo che potete riscontrare anche leggendo il diario delle sue giornate aggiornato sul sito personale nel web. Il suo, è un folk grigio, autunnale (le carezze di Autumn Sky e Pawnshop), perfettamente in bilico tra tradizione e presente dove sentimenti (On the Highway cantata insieme alla sorella Nataya Nolan), solitudini, relazioni interrotte (l'apertura I Know The Difference) giocano un ruolo primario nelle liriche, ma con una strabordante forza interpretativa, generatrice di magnetismo e calore non indifferenti. Le atmosfere soffuse, notturne della jazzata I'll Still Remember Your Name che si mette all'inseguimento delle orme di Joe Henry, le malinconiche passeggiate condotte a piccoli passi di danza spruzzati di rock dalla chitarra elettrica in Tighrope Dancer, cantata insieme alla voce di Lindi Ortega, il folk povero di Massey Hall (ancora con la sorella) e quello ricco di archi (Shambles), il lento viaggio di ritorno verso casa su desolate autostrade (Tornado) catturano l'attenzione e promettono tutto il bene possibile per una brillante carriera.
Registrato tra Nashville e Calgary sotto l'ala protettrice di Colin Linden che produce e impreziosisce il tutto con la sua chitarra, coaudiuvato da Marco Giovino e Gary Craig alla batteria, John Dimond (dei Blackie and The Rodeo Kings) al basso e John Whynot alla tastiere.
Mancano più graffi vincenti, quelli in grado di lasciare il ricordo, come quello che esce benissimo in Did Somebody Call The Cops, con quelle chitarre elettriche che si stagliano tra aria e asfalto, lacerando, ma è indubbio che il ventiduenne cantautore di Alberta abbia classe da vendere, e possieda il fattore x in corpo, marchiato, scalpitante e pronto a fargli spiccare il volo.




vedi anche RECENSIONE: JOE HENRY-Reverie (2011)




vedi anche RECENSIONE: JASON ISBELL-Southeastern (2013)




vedi anche RECENSIONE: GUY CLARK-My Favorite Picture Of You (2013)





vedi anche RECENSIONE: TIM GRIMM-The Turning Point (2013) 



Nessun commento:

Posta un commento