domenica 18 ottobre 2020

RECENSIONE: BETTE SMITH (The Good The Bad & The Bette)

BETTE SMITH   The Good The Bad & The Bette (Ruf Records, 2020)



esuberanza soul

Produce Matt Patton dei Drive By- Truckers, vi suonano il compagno di band Patterson Hood, Jimbo Mathus e Luther Dickinson. E già solo da qui sembra una buona garanzia. Ma il meglio arriva durante l'ascolto di questo album registrato a Water Valley, Mississippi, luogo così lontano dalla sua New York: bello, compatto e scorrevole, dieci tracce dieci, senza riempitivi, noia e passaggi a vuoto. Proprio come i cari vecchi vinili di un tempo. Il secondo album di Bette Smith (il primo Jetlagger è del 2017), cantante soul d'assalto, nativa di Brooklyn è una vera bomba esplosiva di seducenti vibrazioni soul rock, tanto autobiografico nei testi da lei scritti quanto impreziosito da alcuni significativi aiuti esterni in alcune tracce. Parte dalla sua difficile infanzia a Brooklyn innaffiata di canti gospel e soul "Mio padre era il direttore del coro della chiesa. Cantavo da quando avevo cinque anni. Mia madre non ascoltava altro che gospel" arriva a un presente che si tuffa senza indugi nelle terre del southern e pure del garage rock, rinforzato da una buona fila di chitarre schierate, tanto che in certi passaggi vengono in mente i certo più abrasivi Bellrays di Lisa Kekaula.

Un sound che si è evoluto nel tempo come ha raccontato in una recente intervista: " si è evoluto perché era solo blues. Ho iniziato ad ascoltare Aretha Franklin e Billie Holiday. Quando ero molto piccola ascoltavo principalmente Mahalia Jackson perché mia madre era molto religiosa. E ha sempre ascoltato lei e Miriam Makeba, che era una cantante sudafricana. Quindi quelle sono le due persone con cui sono cresciuta."

Ascoltare l'assalto sonoro di 'I Felt It Too' che pare uscita da un live del miglior Southside Johnny è significativo per capire dove sta andando il suo suono. Voce graffiante, roca al momento giusto, presenza fisica da prima linea, Bette Smith si trova a proprio piacimento in ogni situazione: dal tirato funky 'I Will Feed You' che apre il disco nel migliore dei modi, passando dalla autobiografica ballata 'Whistle Stop' dedicata a sua madre morta nel 2005, canzone che avrebbe voluto cantare nel disco insieme al suo idolo Elton John, all'altro assalto rock chitarristico di 'I'm A Sinner', giungendo  all'accattivante 'Human', dedicata al suo cane che si merita pure la presenza in copertina, al sincopato blues elettrico di 'Pine Belt Blues' (cover dei Dexateens) carico di voci nere e gospel, l'altra cover è 'Everybody Needs Love' di Eddie Hinton, fino al finale acustico 'Don' t Stop Out On Me', splendido brano scritto da Willy Vlautin (Richmond Fontaine) con pedal steel e tromba (suonata da Henry Westmoreland e presente in tutto il disco) pronte a evocare spazi e sogni. 

Una Aretha Franklin con il chiodo liso e nero  da rocker, l'esuberanza fisica della giovane Tina Turner, la professionalità di Mavi Staples: posso solo immaginare cosa possa essere dal vivo sopra un palco con la sua essenziale band rock dietro e i fiati al fianco.






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