giovedì 24 ottobre 2019

RECENSIONE: NEIL YOUNG with CRAZY HORSE (Colorado)

NEIL YOUNG with CRAZY HORSE  Colorado (Reprise, 2019)




l'importante è il fine non il mezzo
Se c'è un artista che potrebbe unirsi a Greta Thunberg nella quotidiana battaglia per preservare quello che di buono c'è rimasto di questo povero mondo in continuo collasso sotto i nostri occhi, quello è certamente Neil Young.
Il canadese lo grida da sempre. Madre natura è entrata nelle sue canzoni fin dall'inizio della sua carriera e mai ci è uscita (i più recenti The Monsanto Years, il live Earth e Peace Trail, sulle orme dei pellerossa, sono gli ultimi messaggi incisi su disco).
Nel 1970 cantava "guarda madre natura in fuga" , ora "i vecchi uomini bianchi stanno provando ad uccidere madre natura". La stessa cosa a distanza di cinquant'anni. O Neil Young ci vide lungo in After The Goldrush o il mondo è cieco da parecchi anni. Scegliete voi. Io scelgo la seconda.
 "Abbiamo ascoltato le chiamate di avvertimento, ma le abbiamo ignorate" canta nel soffuso incedere al pianoforte di 'Green Is Blue'. È un disco rotto che continua la sua corsa da anni. E già li vedo, Neil e Greta, mano nella mano davanti a guidare il corteo: il vecchio Neil con la sua camicia lisa e il cappello in testa e la giovane nipote agguerrita che lo trascina presentandogli i tanti nuovi amici incontrati nelle piazze e uniti nella battaglia contro i grandi del mondo.
 Neil Young continua a lanciare appelli anche in COLORADO, il disco che segna il ritorno dei Crazy Horse su disco da Psychedelic Pill uscito nel 2012: il basso di Billy Talbot, la batteria di Ralph Molina e Nils Lofgren alle chitarre e piano, di nuovo in sella al cavallo da quei lontani anni settanta, in sostituzione di Poncho Sampedro (che ha preferito la pensione nelle isole Hawaii alle chitarre rock), hanno registrato il disco ad alta quota, sulle Montagne Rocciose nello Studio In The Clouds vicino a Telluride (session documentate nel documentario Mountaintop Sessions dedicato a Elliot Roberts scomparso quest'anno). Anche questo è un segnale di purezza.
Neil Young e i Crazy Horse hanno suonato per undici giorni e undici notti consecutive nell'aprile del 2019, ad alta quota, anche con l'aiuto di bombole d'ossigeno, sotto una luna color rosa. E proprio Pink Moon fu il primo titolo dato all'album.
Il suono dei Crazy Horse vola quindi alto ed è sublimato nei tredici minuti di 'She Showed Me Love' con le chitarre che si rincorrono in una infinità jam e dove è impossibile non tornare indietro ai tempi di 'Down By The River' o a quelli più recenti ma comunque lontanissimi di Ragged Glory (1990), "questa è la band più cosmica in cui abbia suonato, punto. Non c'è paragone" ha raccontato recentemente Neil Young a Wired, anche se poi l'album si apre nel modo più tranquillo possibile con il carezzevole country, tutto acustica, armonica e pianoforte di 'Think Of Me' che potrebbe arrivare direttamente dai suoi dischi acustici Harvest Moon o Silver & Gold, mentre in 'Milk Away' i Crazy Horse gigioneggiano con quelle chitarre cupe, pigre e scure che arrivano da Zuma o Sleeps With Angels. Uno dei migliori pezzi del disco.
 Anche la finale 'I Do' è un sussurro sotto voce. È se troppo spesso la musica, comunque sempre genuina e sincera, sembra richiamare antichi e gloriosi fasti già scritti nel tempo, con i testi Neil Young ha sempre dimostrato di vivere invece il presente sulla propria pelle (a parte il R&B di 'Olden Days' che rivanga nel passato). Ecco allora che la sua voce, che a tratti sembra dimostrare debolmente tutta la sua età, attacca i grandi colossi dell'industria in 'Shut It Down', con le chitarre più rock del disco, o grida tutto il suo disprezzo per Donald Trump e la sua politica "alza muri" in 'Rainbow Of Colors', che avanza pigra, sbilenca, elettrica e corale. Nella dura, stonata e marziale 'Help Me Lose My Mind' lancia il suo grido di aiuto e smarrimento. Vorrebbe un altro mondo Neil. È chiaro.
Anche la vita privata è passata in rassegna con 'Eternity' spensierata ballata al pianoforte (mi ricorda Till The Morning Comes) dedicata alla nuova moglie Daryl Hannah "oh fortunato me, spero di vivere nella casa dell'amore per l'eternità" canta. Anche se il mio pensiero va alla povera Pegi Young scomparsa il primo Gennaio di quest'anno.
 E come è successo per parecchi dei suoi ultimi dischi, arrivati al termine capisci che nessuna di queste canzoni insidierà mai il suo consolidato greatest hits, nonostante sia un disco dignitosissimo (per me un 6/7 per gli amanti dei voti). Neil Young ne è conscio perché ancora una volta il suo messaggio è chiaro: l'importante è il fine non il mezzo. E così sarà, coerentemente, fino alla fine dei suoi giorni. Statene certi.










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