CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD Servants Of The Sun (Silver Arrow Records, 2019)
L'ultimo viaggio?
"Ho immaginato di liberare la mia mente in un sabato sera al Fillmore e mi sono chiesto: qual è il miglior set che potremmo suonare?".
Con questa premessa Chris Robinson presenta Servants Of The Sun l'ottava uscita discografica (6 LP, 2 Ep) della sua creatura CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD. Difficile raggiungere i loro picchi che rimangono ben chiusi dentro ai primi tre dischi, i più centrati e ispirati, legati a quel southern rock con divagazioni psichedeliche che sanno di terra e radici, scorre fluido e incontaminato, sognante, seguendo la consueta scia di Allman Brothers, Grateful Dead, Little Feat, Byrds e Black Crowes naturalmente.
Da qualche disco, però, sembra ripetersi il mantra "meno chitarre segnanti e più tastiere sognanti". Ad accompagnare Robinson, i fidi Neal Casal (chitarra), Jeff Hill (basso) e Tony Leone (batteria) . Mentre il tastierista Adam MacDougall lascia per l'ultima volta le tante impronte sulle tastiere (l'apice in 'Venus In Chrome'), annunciando l'uscita dal gruppo. Accusato di onnipresenza dai detrattori, anche la band con l'uscita del disco si imbarca in un tour e poi dopo Luglio annuncia una pausa e sembra farlo proprio con la profetica (?) chiusura del disco 'A Smiling Epithap', uno space rock dal sapore tutto californiano che inghiotte.
Quanto lunga non è dato sapere. Intanto suonano in tour, arrivano in Europa, Italia esclusa. Crisi? Qualcosa d'altro che bolle in pentola?
Un disco che si apre in maniera inusuale, quasi eighties, con 'Some Eartly Delight' , una dichiarazione ben precisa scandita dalle parole di Robinson :"alcuni giorni freddi, alcuni d'oro. È tutto un sogno". Potrebbe essere la migliore recensione del disco: un disco che sembra perdersi nell'infinito cosmo, lasciando veramente pochi appigli se non alla libertà di espressione ('Rare Birds' guidata dalla slide di Casal) senza schemi e barriere. Difficile da acciuffare, ecco.
Non cercate i riff ma i ritmi : il funky a tutto groove di 'Let It Fall'.
Una band nata per calcare i palchi. Un gruppo che ha sempre messo in primo piano il suono di squadra, l'empatia a scapito delle canzoni, anche se la seconda parte del disco ci fa riportare i piedi a terra per un attimo: una ballata come 'Stars Fell On California' potrebbe smentire e riportare sulle assolate strade del sud, 'The Chauffeur' s Daughter' ha la migliore e memorizzabile melodia del disco, in 'Comin' Round The Mountain' la chitarra di Casal ricama che è un piacere.
I
l solito lavoro di squadra versatile, a volte eccessivamente strabordante, che profuma comunque di libertà e si libera leggero nell'aria afosa del giorno e frizzante delle ore buie della stagione estiva appena iniziata. Per la parola "fine" aspettiamo ancora un po'.
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