lunedì 1 aprile 2019

RECENSIONE: SON VOLT (Union)

SON VOLT  Union (Thirty Tigers, 2019)
 
 
 
 
 
il fantasma di Woody Guthrie
Una porta da cui si intravede un bosco aldilà della vetrata, la via di fuga, una vecchia macchina da scrivere, il mezzo per arrivare allo scopo, e una bandiera americana a fare da tenda, ciò che impedisce la vista e la libertà. Il fantasma di Woody Guthrie che si aggira nella stanza lo aggiungo io. Questo quello che si intravede, e si immagina..., in mezzo ai grandi caratteri della scritta in copertina. Questa volta a Jay Farrar sono bastate queste semplici cose per mettere su disco tutto il disprezzo verso l'attuale situazione socio politica che stanno vivendo gli States. Lo immagino chino su quei tasti mentre batte quelli che diventeranno i testi da proporre alla band.
“Quando c'è turbolenza e il tuo stile di vita sociale si sente minacciato, penso che tutti debbano intervenire e fare il possibile per raddrizzare la nave" ha raccontato in una recente intervista.
A due anni dal buon ritorno Notes Of Blue, le tredici canzoni di Union disegnano un impietoso ritratto del suo paese e si pongono un unico solo obiettivo: cercare una soluzione che possa riportare unione a un paese diviso da mille problemi.
Per rendere tutto più vero e genuino, i Son Volt, decidono di registrarlo in due luoghi simbolo della lotta: l'organizzazione sindacale Mary Harris (al Mother Jones Museum in Illinois) e al Woody Guthrie Center in Oklahoma. Si portano dietro uno studio mobile e provano a raccogliere l'ispirazione dei luoghi e della storia.
Quello che esce è un disco folk, all'antica maniera (per certi versi vicino al loro vecchio Okemah), quelli che non si fanno più, compatto, di lotta e denuncia (ecco nascere la conclusiva 'The Symbol' ispirata dalla famosa 'Deportee (Plane Wreck At Los Gatos)’) ,anche se non mancano canzoni che si staccano dal tema cercando aria fresca e positività come ‘Devil May Care’ scritta da Farrar per celebrare la musica e che sembra uscire direttamente da The River di Springsteen: ”ho cercato di pensare a cosa significasse per me l'essenza del rock'n'roll, pensavo a band come i Replacements, i Rolling Stones, gli Who” o le speranzose ‘The Reason’ e ‘Holding Your Own’ cartoline indirizzate alle future generazioni.
Sì perché questa volta intorno alle radici, al folk rock a cui la band da sempre ci ha abituati, sono germogliati dei testi che battono forte sulle diseguaglianze sociali (‘The 99’), sulla politica (‘When Rome Burns’) su faccende losche (il pianoforte e l'acustica di ‘Reality Winner’). Testi seduti comodamente dalla parte della classe operaia, dei più deboli, degli emarginati (l’incedere spettrale di ‘Union’).
Anche se paradossalmente questa volta gli scatti rock e le chitarre elettriche sono meno incisive di quanto lo siano i testi, preferendo l'impronta acustica del folk e del blues ‘Broadsides’, la breve strumentale 'Truth To Power Blues').
Union è un gran disco che sa di antico, di artigianato musicale, ma perfettamente a suo agio in questo 2019.
 
 
 

 
 
 
RECENSIONE: SON VOLT-Notes Of Blue (2017)


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