lunedì 11 marzo 2013

RECENSIONE: W.I.N.D.(Temporary Happiness)

W.I.N.D.  Temporary Happiness (Artesuono , 2013)


Se l'Italia fosse il paese "rock" che non è, un gruppo come i friulani W.I.N.D. suonerebbe in prima serata nei canali della televisione nazionale, come succede in alcuni paesi scandinavi dove il rock (anche quello più estremo) è spesso trattato alla pari del pop, dove un festival di musica Rock tra i migliori d'Europa come lo Sweden Rock Festival è sponsorizzato e sovvenzionato dalla stessa tv di stato. Riuscite a pensare alla Rai fuori dalle logiche sanremesi? Vanno bene i fiori "buoni" raccolti in riviera, ma il resto della flora che cresce intorno alla penisola? In Italia questo non succede, certe logiche sono ancora aliene e il resto della vegetazione sembra quasi erba gramigna da evitare, estirpare o tenere buona con sporadici innesti quando va bene. Per poi sorprendersene: anche in Italia c'è il buon classic rock. Fortunatamente non sempre è così tutto nero, e anche un gruppo come gli W.I.N.D. ha i suoi canali di diffusione, non saranno quelli televisivi ma i loro fan sono stati allevati,  cresciuti e viziati con l'intensa attività live che portano avanti da anni, suonando in giro per il mondo insieme all'amico AlvinYoungblood Hart, ai Gov't Mule di Warren Haynes, a Johnny Neel  e  grazie ai buoni dischi di studio, questo è il quinto senza contare collaborazioni e live. Tutto ciò per dire che una realtà rock consolidata, affermata in tutta Europa come la band friulana qualche spazio in più lo meriterebbe dall'alto di una carriera in continua ascesa. Fine dello sfogo.
Se vi avevano detto che il precedente Walkin' In A New Direction (2010) era il miglior disco della loro carriera, aggiornatevi: Temporary Happyness va oltre. A partire dal titolo, come spiega il bassista, cantante e veterano Fabio Drusin nel video del  "making of" che potete trovare in rete: "Temporary Happyness perchè la maggior parte dei testi e delle liriche parlano di questa felicità temporanea che la società sta vivendo. Corsa al sistemarsi, corsa all'inutile, mancanza di valori e gioie nelle piccole cose, l'essere distratti per le cose per cui vale la pena vivere mentre invece si è attratti da una vincita momentanea, da un gratta e vinci...". Insomma il mio sfogo iniziale forse ha ragione d'essere.
Passione contro il vuoto che riempie il nulla. La band ancora una volta vince, anche musicalmente. Appena parte Temporary Happiness (la canzone) si capisce quanto l'amore per il soul, il R & B, il funk di New Orleans coltivato negli anni, giochi un ruolo importante nella loro camminata verso nuove direzioni.Trombe, tromboni e sax (Mauro Ottolini e Daniele D'Agaro) e un avvolgente coro gospel (FVG Gospel Choir) imbrattano i muri di black mischiandosi con il rosso carminio del loro hard blues, mentre la canzone acquista sempre più velocità raggiungendo il rutilante finale. Stessa sorte per la gemella e carnale Stand For Your Brother con il suo crescendo che conquista. Canzoni dai sublimi arrangiamenti che sembrano uscite dai leggendari e defunti Muscle Shoals Studios in Alabama mentre invece arrivano direttamente dall'Artesuono Recording Studio di Udine, nord est Italia. Un buon miracolo italiano.
Un disco figlio della totale libertà compositiva-come sempre-dove la differenza tra studio di registrazione e palco è invisibile e inudibile, permettendo l'avventurarsi in canzoni di nove minuti come More Than Myself che hanno il prezioso dono di finire anche troppo presto. Il divertimento di jammare, improvvisare e registrare le emozioni da (quasi) buona alla prima, con il chitarrista-anche cantante in tre brani- Anthony Basso in grande spolvero, libero di dettare i suoi assoli disseminati di asprezza e feeling, e fluidamente presenti in grande quantità lungo tutto il disco.
"E' un disco suonato veramente, non come le produzioni degli ultimi decenni che sono molto trattate in studio, perfette e senza spazio per l'improvvisazione" dice il batterista Silver Bassi. Tutto vero.
Quasi settanta minuti di musica che sanno: stendere con l'hard rock'n' roll alla vecchia maniera di Waiting For Next Friday, (preceduta dal breve intermezzo "di frontiera" acustico e strumentale Social Paranoia) la più tesa, tosta e pesante del disco insieme alla cavalcata torrenziale di otto minuti  Born To Ride cantata da Basso; scaldare il cuore come nella southern e dondolante -alla Black Crowes-Dreaming My Life Away, gravida di umori sudisti che  preserva un finale con assolo pirotecnico e cori gospel; smuovere il sedere con il basso di Drusin carico di groove nella purpurea Sun Shines Through The Rain e di scalpitante funk in The First Day Of The Rest Of My Life; coccolare come in The Lonely Place Inside, elegiaca ma tranquilla e radiosa ballata verso le highways della libertà.
Fino al finale liquidamente anestetizzante, psichedelico e dilatato di In The Winter Time che non ha bisogno di troppe parole:"In the winter time, in the winter time you said goodbye ".
Maiuscoli e...da prima serata "rock".

vedi anche INTERVISTA ai W.I.N.D. (Fabio Drusin)



vedi anche RECENSIONE: MOJO FILTER- The Roadkill Songs (2013)




vedi anche RECENSIONE: CHEAP WINE-Based On Lies (2012)





vedi anche RECENSIONE: TEDESCHI TRUCKS BAND-Made Up Mind (2013)



4 commenti:

  1. Arrivato il disco oggi, spaziale, era da tempo che non ascoltavo un disco rock cosi bello

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  2. grande album, come ha scritto mauro zambellini sul buscadero una band dalla potenza e suono impressionante e che maneggia con disinvoltura rock, blues, soul e jam come fosse il loro pane, poi la qualità e varietà del cd, bellissimo

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  3. Mi è arrivato ogg anche a mei, disco straordinario, non mi stanco di risuonarlo

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  4. Federico Fiorentini25 marzo 2013 alle ore 10:59

    che album, torrenziale, nero come il carbone, un bellissimo suono potente e canzoni molto belle, bravi w.i.n.d!

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