martedì 5 luglio 2011

RECENSIONE: EMA (Past Life Martyred Saints)

EMA Past Life Martyred Saints (Souterrain Transmission, 2011)


Miss Erika M Anderson in arte EMA, con le dita della mano forma una pistola e ci invita, quasi minacciandoci, ad entrare nel suo disturbato mondo, obbligandoci a compiere un viaggio nella sua psiche dopo aver lasciato la sua precedente band, i Gowns ( ...prima ancora nei folk-noise Amps for Christ), duo formato insieme al suo ex compagno Ezra Buchla. C'è un problema: il viaggio si presenta fin dall'inizio assai complicato da seguire ma sorprendentemente pieno di interessanti input disseminati lungo il cammino.
Nel suo blog si definisce una visual artist e distruttrice di chitarre, non facendoci mancare autoscatti in cui si ritrae con il labbro tumefatto dopo aver festeggiato il Natale e altri bizzarri scatti. http://cameouttanowhere.com/
Il periodo post-adolescenziale di Ema è pieno di mostri dati in pasto senza censure e filtri, un disagio che sembrerebbe trovare il suo habitat naturale nella Seattle dei primi anni novanta, ma Ema ha solo 24 anni ed è originaria del South Dakota, nonostante giri nel circuito musicale da parecchio e non è per nulla un adolescente come si potrebbe pensare. Canzoni disturbate e pericolose che non seguono un filone logico-musicale, un continuo alternarsi tra acustico ed elettrico, pop elettronico e industrial. Un immaginario tanto reale quanto disperato dove la nostra si fa carico e portabandiera delle nuove riot-grrrls proseguendo il discorso di chi già l'aveva preceduta negli anni: da Nico a Patti Smith, da P.J.Harvey a Cat Power fino a Courtney Love.
I sette minuti che aprono il lavoro sono una summa di quello che ci aspetta, The Grey Ship si apre in acustico lo-fi per crescere in un lugubre e grigio viaggio di distorsione accompagnato da un morboso denudarsi di sentimenti che spiazza, irrita ma attrae.
Ema con questo disco sembra compiere un viaggio a ritroso nella sua vita, quasi a esorcizzare quei momenti passati, sputandoli fuori una volta per tutte, per poterli analizzare e coprire per sempre con della terra scalciata con violenza.
California, sembra una pagina di diario strappata che esordisce con un "Fuck California, you made me boring..." , che spegne immediatamente l'immagine da colorata e solare cartolina west coast che ci immaginiamo per addentrarsi in una canzone di pop disturbato e psichedelico che ci tramanda le disillusioni di una diciasettenne che abbandona casa per la finta terra promessa.
Anteroom riprende le confessioni grunge acustiche dei Nirvana unplugged e Breakfast è uno sfogo bulimico senza veli.
Tra le chitarre elettriche della finale e rock Red Star, emerge la "Patti Smith" che è in ogni cantautrice americana così come in Milkman che è un potente battito elettro-industrial che cattura al primo ascolto.

Con Marked si sprofonda in un lamento disperato di straniante e disturbante rapporto con il proprio corpo in bassa fedeltà acustica, mentre Coda e Butterfly Knife sono i due episodi, la prima cantata a cappella, la seconda con una chitarra punk distorta che impazza, che confermano quanto questo esordio, oltre ad essere interessante non ha punti di riferimento precisi se non quello d'essere il punto di partenza spiazzante della carriera solista della sua autrice. Ne sentiremo parlare.




1 commento:

  1. bella rece, complimenti... se ti può interessare la traduzione del disco vai qui:

    http://indietranslations.com/2011/09/11/40/

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