EDDIE VEDDER Earthling (Seattle Surf/Republic Records, 2022)
divertimento assicurato
Ho letto tante cose sull'ultimo di EDDIE VEDDER: alcune lo dipingevano come una ciofeca immonda, altre lo osannavano quasi fosse il disco in grado di salvare il rock'n'roll. Naturalmente bisogna alzare e abbassare i livelli e arrivare al centro dove forse siede pacifica e annoiata la verità, troppo democratica (parolona che fa sempre paura) per far rumore e troppo dimenticata per far litigare le opposte fazioni nei social.
È un disco pasticciato EARTHLING, questo sì, ma nel senso buono del termine, che potrebbe anche voler dire: essere spassoso, incatalogabile, vario, paraculo il giusto. A tratti chiassoso e sopra le righe come il suo produttore Andrew Watt. Uno che ha ricordato a Ozzy Osbourne di fare Ozzy almeno ancora una volta. Non ha un mood intimista piantato al centro dell'opera come i precedenti due dischi di Vedder, gli scarni e acustici Into The Wild e Ukulele Songs (i fan oltranzisti quello volevano) ma bensì raccoglie per strada canzoni presumibilmente scritte nel tempo che quindi ondeggiano a seconda dell'umore e del momento nei quali sono state scritte.
Certo, l'apertura secondo me non è delle più incoraggianti: l'epicità di 'Invicible' mi sembra tronfia come le cose peggiori di Vasco Rossi. Eppure per molti è tra le migliori. Ma dalla seconda traccia in avanti le montagne russe che percorrono l'intero disco funzionano alla grande senza attimi di noia. No, non ci si annoia nell'ultimo disco di Vedder. Passare dalla solarità di 'Fallout Today', all'intimità di 'The Haves', al rock'n'roll tirato che pare Danko Jones di 'Rose Of Jericho' è un attimo.
Certo, manca la fame della gioventù che bruciava il terreno intorno (ma quella manca da anni ormai, vent'anni si hanno una volta sola) sostituita dalla maturità che si nutre di mainstream. L'intervista con Bruce Springsteen uscita in contemporanea è un lancio mediatico opportunista e furbo. La maturità porta ad avere anche amici di peso. Ma si deve arrivare lì.
E a conferma di quanto Vedder abbia voglia di divertirsi ci sono i tre duetti che: fanno suonare l'armonica di Stevie Wonder (che assolo pazzesco) dentro a un pezzo dal tiro punk ('Try'), fanno fare ad Elton John se stesso come fosse ancora negli anni settanta ('Picture'), fanno suonare Ringo Starr in una canzone dei Beatles che non è dei Beatles ('Mrs. Mills'). Sono "cose" anche queste.
E poi una 'Long Way' che profuma di Tom Petty e 'Brother THe Cloud' che sembra rifarsi ai Talking Heads come alcune delle ultime cose firmate Pearl Jam.Un omaggio alla musica. Da fan.
Ah, per me è comunque meglio dell'ultimo Gigaton firmato Peal Jam. E che ci vuole direte voi?
Nessun commento:
Posta un commento