blues dentro
Guy Davis è uno dei migliori bluesman contemporanei e con questo album lo conferma in pieno: sa scrivere canzoni, sa raccontare storie, inserendosi nella tradizione ma rimanendo sempre al passo con i tempi nei suoi testi dove gli immigrati della zingaresca 'I've Looked Around' e i disoccupati del blues 'I Got A Job In The City' sono figli della stessa madre.
E lui, invece, è un figlio d'arte che ha saputo mettere da parte, al sicuro, tutti gli insegnamenti dei genitori per crearsi una propria via tra recitazione e musica. E quando decide di salire sul palco con la chitarra ha pochi rivali. In queste tredici canzoni, tutte scritte di suo pugno, tranne 'Spoonful' di Willie Dixon naturalmente, unisce tutto partendo da lontano, dal "fatidico incontro" di Robert Johnson, riletto alla sua maniera in 'Be Ready When I Call You' fino ad arrivare ai giorni nostri con la finale 'Welcome To My World', legata agli ultimi anni politici del suo paese, in un pezzo dal cantato quasi hip hop, ma è veramente l'unica deviazione dal folk blues su cui ruota tutto l'album, in una continua e vincente alternanza che non stanca mai e conquista fin dal primo ascolto. Ci sono canzoni acustiche e canzoni a tutta band con l'Hammond di Professor Louie che fa una gran figura lì dietro.
In mezzo tra la sbuffante locomotiva blues di 'Badonkadonk Train' che apre e i folk dylaniani di '200 Days' e di 'Got Your Letter In My Pocket', dove canta del triste massacro nel quartiere Greenwood a Tulsa avvenuto nel 1921, quando la comunità bianca attaccò la comunità afroamericana lasciando dietro di sé morti e feriti, ci mette l'acqua avvelenata che scorre tra gli abitanti di Flint, nel Michigan, nel ritmato e trascinante blues 'Flint River Blues' e il sempre attuale conflitto tra israeliani e palestinesi nel grido triste, antico e folkie di 'Palestine, Oh Palestine', sicuramente tra le più toccanti e significative.
Nel retro copertina a confermare quanto sia radicato nel presente, nonostante tutto, impugna un cellulare, lo porta all'orecchio e ascolta se il diavolo che canta con voce da orco domiciliato a New Orleans in 'I Thought I Heard The Devil Call My Name' lo stia veramente chiamando. "Pronto alla chiamata" sembra la risposta.
È già tra le mie uscite preferite di quest'anno: a volte basta avere radici profonde per fare bella figura in superficie. Davis possiede radici, canzoni, personalità e carisma.
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