giovedì 6 agosto 2020

RECENSIONE: JOHN CRAIGIE (Asterisk The Universe)

JOHN CRAIGIE   Asterisk The Universe (Zabriskie Point Records & Thity Tigers, 2020)

folk senza tempo
"La mia ispirazione viene dall'interazione umana". Così John Craigie, 40 anni, cerca di spiegare la sua innata capacità di scrivere canzoni. Questo è il suo settimo disco anche se pochi lo sanno. Potrebbe essere il disco del grande salto ma penso che a Craigie interessi poco la fama quanto la libertà di espressione e movimento, lui nato a Los Angeles e cresciuto a Santa Cruz: salire sopra un palco e interagire con il pubblico, coinvolgere le persone con sarcasmo, arguzia e intelligenza. Per questo è spesso accostato al compianto John Prine. I grandi palchi li ha calpestati seguendo in tour Jack Johnson, quelli a lui più consoni aprendo per Todd Snider. Due che hanno creduto in lui prima di tutti. 
 Queste canzoni sono l'esempio del suo modo di scrivere dove umorismo, filosofia e vita di strada trovano un unico comune denominatore nel folk intriso di umori soul di marchio Motown, nei limpidi e leggeri lampi di psichedelia, sempre con l'accento sudista ben in evidenza. Asterisk The Universe, titolo che tradisce i suoi vecchi studi matematici impressi in una laurea e una copertina top - particolare da non trascurare - potrebbe essere datato 1966 come 1975, non ha importanza perché i suoi temi sono in qualche modo sempre di moda: il saper rimanere a galla tra le intemperie ('Hustle') scuotendo la voglia di rinascita ('Part Wolf'), rapporti d'amore complicati (la corale 'Don' t Ask'), stili di vita a lui consoni (la ballata dylaniana 'Nomads', semplice, pura come acqua di sorgente), la sempre carente giustizia (il soffuso funky di 'Climb Up') e storie perse nel secolo scorso come quella raccontata in una magistrale, cupa, lisergica, misteriosa e piena di riverberi 'Vallecito'. "Stavo leggendo alcune storie di sopravvivenza di esseri umani catturati in situazioni meteorologiche estreme. Una storia ebbe luogo in Colorado nei primi anni del 1900…" due viaggiatori colti da una bufera di neve si dividono i viveri di una cabina trovata per puro caso. Una convivenza che nessuno dei due aveva messo in preventivo. Riuscita. Poi fa sua la 'Crazy Mama' di J. J. Cale, avvolta in una atmosfera da piccolo pub fumoso senza la necessità di tagliare qualche parola da studio prima dell'esecuzione. Mentre in 'Don' t Deny' esce tutto il Bob Dylan che ha dentro, tanto da sembrare una buona outtake dei Basement Tapes con il fiato di tutta la Band dietro. Per portare a termine la sua opera si avvale di pochi ma fidati amici come le Rainbow Girls (il disco è stato registrato a casa loro in Nord California e in 'Used It All Up' si impossessato della scena per qualche minuto), Jamie Coffis dei Coffis Brothers con il suo presente Wurlitzer, Lorenzo Loera dei California Honeydrops e Ben Barry della Old Soul Orchestra. 
 Folk senza tempo, così come dev'essere. John Craigie ci vive immerso, comodamente a proprio agio.




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