venerdì 17 gennaio 2020

RECENSIONE: MARCUS KING (El Dorado)

MARCUS KING   El Dorado (Fantasy, 2020)

arrivare in alto con talento e eleganza
Il perché un ragazzo di ventitré anni con tre dischi alle spalle con la sua band già osannati da critica e pubblico, senta la necessità di inciderne un terzo solo a suo nome, senza band, con l'importante impronta di Dan Auerbach in produzione non è dato sapere. O forse sì? MARCUS KING è sicuramente uno dei più grandi talenti musicali usciti dagli States negli ultimi cinque anni e questo disco potrebbe già essere la consacrazione definitiva e arrivare là dove non sono arrivati i precedenti album: il grande pubblico, anche grandissimo.
EL DORADO è certamente il nome dell'automobile Cadillac, anche della sua prima chitarra Epiphone ma soprattutto "rappresenta la città dell'oro e della prosperità ed è ciò che Nashville è per me, ha davvero poco a che fare con la mia auto" racconta King in una intervista.
Auerbach mette a disposizione del ragazzo di Greenville il suo solito studio di registrazione Easy Eye Sound a Nashville, gli importanti session men che vi gravitano attorno (i "ragazzi" di Memphis, gente che ha suonato con Elvis tanto per intenderci) e regala, con la collaborazione di tre esterni, quelle canzoni in grado di far uscire con maggior prepotenza le doti vocali e chitarristiche di King, fino ad oggi ben ingabbiate dentro all'approccio da jam band della gruppo madre.
"Sono stato colpito dal modo in cui può cantare - così facile, così pieno di sentimento, direttamente dal cuore. È anche uno scrittore dal talento naturale. Tutto per lui è così innato" dice il produttore.
Difficilmente Auebarch sbaglia il colpo: Dr. John, i più i recenti lavori con Yola, Donald "Duck" Holmes e Robert Finley sono straordinari e da quello che ho sentito anche qui non si scherza anche se a prevalere è quasi sempre la morbidezza. Ballate country soul di pregevole fattura (le avvolgenti 'Young Man' S Dream' e 'Beautiful Stranger' condotte da pianoforte e lap steel), a volte sconfinante nel soul di casa Motown, a volte ammiccante  a tratti pure pop (il funky di 'One Day She's Here') suonato da dio ('Wildflowers And Wine' che sconfina nel gospel) e legato alla Nashville country dei seventies come l'honky tonk 'Too Much Whiskey' e poi qualche scatto elettrico di southern blues dai riff vincenti e accattivanti, in grado di portare nuovi adepti alla corte del nuovo "re". Il singolo 'The Well' è lì a dimostrarlo con tutta la sua contagiosa esuberanza rock blues insieme a 'Say You Will', unici episodi che sembrano ricondurre a quel Marcus King che avevamo imparato a conoscere.
Si sente troppo la mano di Auerbach? Per Marcus King non è un problema, anzi: "mette la sua essenza su qualunque cosa stia lavorando".

Per me è un sì, perché il ragazzo ha talento da vendere, anche se non è ben chiaro se questa rimarrà una breve parentesi o l'impalcatura che porta verso il futuro.


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