1976:un anno come fossero dieci
Novembre 1976, un altro anno intenso per Neil Young sta per concludersi: a Gennaio corre a Miami dove inizia a lavorare insieme a Stephen Stills a un nuovo progetto. Nel mese di Marzo vola in Giappone e in Europa con i Crazy Horse per una serie di deliranti concerti, colorati anche dall’LSD che verranno ripresi dalla telecamera e registrati per farne un film e un disco live, ma ancora inediti oggi se non per qualche spezzone già apparso. Intanto il progetto con Stills denominato Stills Young Band, fa saltare le date americane con i Crazy Horse che verranno rimandate, e porterà all’incisione del mai troppo acclamato e amato Long May You Run (che uscirà solo in Settembre) e a intraprendere un tour insieme a Stills nel mese di Luglio che durò solo diciotto date, prima degli scazzi e l'abbandono di Young che comunica la fine del progetto all’amico attraverso la famigerata lettera che si conclude con un “strano come alcune cose che iniziano spontaneamente, finiscono in quel modo: mangia una pesca. Firmato: Neil”. Mentre Stills, sconsolato, continuerà il tour da solo, nel mese di Agosto si chiude in studio di registrazione in solitaria e registra Hitchhiker, l’album perduto che ha visto la luce solamente l’anno scorso. In preda alla solita bulimia musicale, in autunno, richiama con sé i Crazy Horse e programma una serie di date live, concerti che prevedevano una parte acustica in solitaria, limpida e sincera e una parte elettrica con la band (chissà, un giorno usciranno anche le canzoni elettriche e chi c’era ancora adesso ne parla in modo entusiasta) già sfruttata l’anno prima per l'incisione di Zuma e l’entrata del nuovo chitarrista Poncho Sampedro. Nel mezzo delle date, con l’aiuto della (in questo caso) salvifica cocaina, riesce a trovare il tempo per volare a San Francisco per registrare l’ultimo valzer della Band. Il suo naso sporco di neve bianca verrà immortalato da Scorsese. Scorrendo le scalette degli show si può capire quanto già nel 1976 Neil Young avesse scritto una buona parte della sua migliore carriera. “Nel 1976 ero una furia e siccome avevo preso l’abitudine di scrivere diverse canzoni alla settimana, mi ritrovai ingolfato: avevo troppo materiale e poco tempo in studio. Registravo ovunque potessi farlo e mi muovevo velocissimo, finendo i miei dischi molto rapidamente…” racconterà anni dopo Neil Young.
Ph. Gary Morgan, 1976 |
Il titolo, poi trasformato anche in copertina, arriva da ‘Songs For Judy Intro'’, monologo di tre minuti che apre il disco, uno dei tanti durante quel tour, in cui Neil Young evoca il fantasma di Judy Garland, attrice il cui ruolo nel Mago di Oz fu l'inizio di carriera ma anche cruciale per il resto della sua travagliata vita. Come al solito, accanto a canzoni che erano già dei piccoli classici a pochi anni dall'uscita: da ‘Heart Of Gold’ a 'Harvest', al pianoforte di ‘After The Goldrush’ e 'Journey through The Past', il banjo di 'Human Highway', la vecchia ‘Mr. Soul’, Neil Young sorprende sempre il suo pubblico con canzoni nuove che troveranno la via ufficiale su disco solo pochi o tanti anni dopo (‘White Line’ che troverà posto in versione elettrica solo su Ragged Glory negli anni 90, ‘Pocahontas’, ‘Campaigner’ che cita apertamente Richard Nixon ed eseguita il giorno prima delle Election Day, uscirà l’anno dopo su Decade). Neil Young Al massimo del suo splendore acustico, un buon compendio nell'attesa della seconda parte degli archivi in uscita a Maggio 2019. Ma state pure sereni, nel frattempo il vecchio Neil si inventerà qualcos’altro per farci ingannare l'attesa.
ph. Charlyn Zlotnik, 1976
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