mercoledì 2 maggio 2012

RECENSIONE: EBO TAYLOR ( Appia Kwa Bridge )

EBO TAYLOR Appia Kwa Bridge ( Strut , 2012)

Basterebbe iniziare l'ascolto dall'ultima canzone Barrima, per entrare a contatto con l'anima di Ebo Taylor e da lì proseguire in discesa, scoprendo gli accecanti colori delle sue composizioni. Barrima è acustica, solo voce e chitarra. Una canzone che entra in profondità dopo pochi secondi. Dedica accorata alla defunta moglie che il chitarrista/cantautore ghanese, classe 1936, interpreta con commovente trasporto, registrandola in presa diretta, da buona alla prima.
Ebo Taylor, dopo essere uscito allo scoperto al mondo discografico occidentale con il precedente Love and Death (2010), seguito dalla compilation retrospettiva Life Stories (2011) , si rifà vivo a soli due anni di distanza, mantenendo le caratteristiche che ne hanno fatto un personaggio leggendario e di culto della musica High life/Afrobeat africana. Ebo Taylor ebbe la grande fortuna di incontrare Fela Kuti in Inghilterra nei primissimi anni sessanta. Dalla collaborazione con il grande innovatore dell'afrobeat trasse grande profitto, trasportando le grandi contaminazioni nel suo Ghana, dove tornò in veste di autore, musicista e produttore, avendo modo di sperimentare e creare nuovi suoni che ne hanno fatto uno dei più grandi musicisti africani di sempre.
La sua sembra essere un'uscita allo scoperto per rivendicare una paternità verso alcuni suoni Afrobeat che dopo le cure Eno/Byrne degli anni ottanta sono ritornate di gran moda, in questi ultimi anni, nella musica pop/rock occidentale.
Appia Kwa Bridge registrato a Berlino, contiene otto canzoni di cui sei appositamente registrare per il disco e due già conosciute. Il groove costante e instancabile delle sue canzoni, suonate, come nel precedente disco, con l'aiuto dell'Afrobeat Academy di Berlino (un ensemble di giovanissimi musicisti tra le migliori afro-funk band del mondo), è una riuscitissima mistura tra highlife, afrobeat, blues/soul, jazz, fusion e funk dove anche il rock ha modo di accedere. Fiati, percussioni, tastiere e chitarre sono mulinelli che trasportano come un unica onda travolgente, interrotta solamente dalla forza interpretativa acustica di Yaa Aponsah, vero e proprio inno highlife ghanese degli anni venti, riletto da Ebo Taylor con grande ardore e dalla finale Barrima di cui ho già detto.
Tutto il resto è altamente trasportante: la title track, che prende il nome dal piccolo ponte di Saltpond, nella Cape Coast, località dove Ebo è cresciuto , impone all'attenzione il grande lavoro di chitarra; i sette minuti dell'iniziale Ayesama,  grido di guerra della popolazione Fante; l'eleganza di Abonsam, dove dietro al titolo si nasconde il "diavolo" in ghanese, responsabile del male nel mondo ed esempio da non seguire; le tastiere ed il basso funky che guidano  Kruman Dey ed il ritmo di  Assomdwee con il bel assolo di chitarra e le percussioni dell'ospite Tony Allen, batterista nigeriano che suonò con Fela Kuti. Tutte canzoni piene di energia e spiritualità, dove la creatività di un settantaseienne incontra la solida freschezza di una band (Afrobeat Academy) che rispettosamente lo accompagna e lo proietta nel mondo moderno.Viaggio intenso tra l'Africa e New Orleans. Da provare e seguire nelle tappe europee del suo tour a Maggio, che purtroppo non toccherà l'Italia.

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