MIAMI & THE GROOVERS Good Things ( Autoprod., 2012)
Che differenza passa tra i pensieri di un turista italiano seduto al tavolo dell'Amy Omlette House sulla Ocean Blv nel New Jersey in pieno inverno davanti alle onde dell'oceano atlantico ed una ruota panoramica ferma e stanca che riposa sullo sfondo, ed un turista americano seduto nel bar deserto di una Rimini invernale davanti ad un cappuccino italiano fumante ed un'insegna "bagnino" incollata dietro ad uno sdraio a riposo forzato fino al mese di Giugno? Ascoltando il terzo lavoro dei riminesi Miami & The Groovers (dopo Dirty Roads-2005 e Merry go round-2008), guidati da Lorenzo Semprini (voce e chitarra), quei pensieri diventano globali e metaforicamente tolgono un po' di chilometri alla distanza che separa i due luoghi fisici. Di differenze non ce ne sono proprio. La dura pioggia scende giù per tutti, americani e romagnoli.
Undici canzoni (più due brevi intro) che raccontano i sogni di chi non ha smesso di guardare lontano. Oltre mare ed oceani c'è ancora la luce della speranza, nonostante i tempi bui sembrano raccontarci ed imporre il contrario.
Good Things parla di quelle cose buone che ci fanno ancora battere il cuore: sia che escano da rock'n'roll trascinanti come Burning Ground, con i suoi riff garage, proto-punk delle chitarre di Beppe Ardito ed un testo dove il viaggio diventa fuga e droga salvifica, On A Night Train (che musicalmente ricorda tanto i '70 di Lou Reed quanto l'America pruriginosa che piaceva alla prima Gianna Nannini), The Last R'n'R Band, inno alla vita on the road dei musicisti, in bilico tra il vecchio Bob Seger "da arena rock" ed il nuovo rock del New Jersey dei Gaslight Anthem, o l'iniziale singolo Good Things, personale e punto su cui partire per scrivere il futuro.
Oppure ci sono i cuori che battono ancora per un amore nella ballad Before your Eyes, nell'amore per la propria terra e i suoi abitanti in Audrey Hepburn's Smile e nella romantica lettera di Postcards, suggestiva ballad pianistica introdotta da Israel Nash Gripka che recita i versi di "You can't go back home.
La bella Walkin' All Alone, con l'ospite Riccardo Maffoni alla voce, come se i migliori REM fossero ancora tra di noi e aggiungessero un violino (suonato da Heather Horton), il trascinante beat-blues alla Bo Diddley di Under Control che diventa la loro personale She's the One, le immagini western e da viaggio su highways di Cold in my Bones. Nella finale We're Still Alive c'è anche il tempo di urlare e lasciare un segno di vita, sulle allegre note di un irish -combat folk in stile Flogging Molly.
I Miami & The Groovers rilasciano un disco vario e fresco che su una strada tributa ed omaggia i propri miti musicali (tutti quelli citati e molti altri), ma su un'altra immediatamente parallela sa creare un proprio percorso personale, schietto e sincero, da seguire come esempio per tutte quelle bands che non vogliono continuare a passare la loro vita a coverizzare i grandi dentro i pubs di provincia ma sognano di calcare quei palchi oltreoceano che i Miami & the Grovvers sono già riusciti a calpestare, suonando fianco a fianco ai loro (nostri) idoli. Non solo premio di tanti sacrifici ma vero punto di partenza per il domani.
Ecco che quelle due strade parallele diventano una strada sola, il mare adriatico e l'oceano atlantico diventano un'unica distesa d'acqua. La musica unisce tutto. Mica poco.
vedi anche: CESARE CARUGI-Here's to the Road
vedi anche: CIRCO FANTASMA-Playing with the Ghosts
vedi anche: VOLCANO HEAT-Vive le Rock!
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