mercoledì 6 giugno 2012

RECENSIONE: ALEJANDRO ESCOVEDO ( Big Station)

ALEJANDRO ESCOVEDO  Big Station ( Concord Music Group, 2012)

Big Station è il disco delle tappe. Quelle segnate con una bandierina sopra ad una carta geografica degli Stati Uniti del sud, ma anche quelle di una vita ripresa per i capelli e con volontà, ricondotta  verso l'eccellenza artistica, dopo un cammino di sofferenza che negli ultimi vent'anni ne ha segnato la vita (la morte della moglie a cui dedicò i primi album solisti Gravity-1992 e 13 Years-1994 e la vittoria sull'epatite C negli anni duemila). Soprattutto, è l'ultima e provvisoria tappa musicale di un artista che non osa fermarsi, a cui piace anche stupire.
Real Animal e Street Songs Of Love, gli ultimi due dischi hanno trovato in Tony Visconti, un produttore capace di canalizzare tutte le esperienze musicali di Escovedo verso un suono grintoso, fedele in egual misura al rock chitarristico degli esordi, quanto al folk delle radici della sua terra,senza disdegnare la scena glam britannica degli anni settanta, di cui Visconti fu gran protagonista, lavorando nelle retrovie e lasciando le paillettes alle primedonne. Due dischi che furono un ritorno per restare, sospinto anche dal grande amore/incoraggiamento dei musicisti "amici".
Alejandro Escovedo questa volta ha sentito la necessità di cambiare qualcosina senza snaturarsi troppo, sostenuto ancora una volta, in fase di scrittura, da Chuck Prophet. Uno sguardo verso le sue origini messicane e un altro verso altre tappe musicali che Visconti conosce alla perfezione. Non sorprendano quindi alcune reminescenze, già accennate nei due precedenti dischi, che qui trovano compimento e sembrano portare al David Bowie americano e quello berlinese-che anticipò la scena new vawe prossima a venire- dei seventies, il largo uso di cori femminili (Gina Lopez Holton e Karla Manzur), alcune venature pop più marcate del solito. 
Il racconto di frontiera di Sally Was a Cop, tra loop e tronbe, lo sfrontato e vincente connubio tra Bowie e Dylan di Headstrong Crazy Fools con il testo che sembra citare il sommo poeta di Duluth-sarà veramente lui?- ("You See Dylan dropped acid in the limelight..."), Common Mistake, Big Station (con le vocals di Kristeen Young), il pulsante basso di Can't Make Me Run che guida il punto massimo di questo disco, dove compare ancora la tromba suonata da Ephraim Owensn su un testo che sembra raccontare tutto:

"You can break the wheels of a Cadillac/You can break the bank in two/Smash the windows on a new guitar/If that's what you want to do.../You can't make me run/Make me run/Make me run"

Anche se l'inizio è puro rock/punk con la sua band The Sensitive Boys sugli scudi: Man of The World è un forte grido di esistenza e bilancio di vita suonato con la spavalderia dei Ramones, come faceva più di trent'anni fa con i suoi Nuns. Rimane l'unico episodio di puro rock chitarristico del disco insieme alla spassosa Party People che però batte già verso altre sfumature. Ci troviamo sempre dentro al CBGB di fine anni settanta, ma sembra di ascoltare una canzone uscita dalla penna schizofrenica di David Byrne.
Dall'alto dei i suoi sessant'anni, Escovedo può permettersi di sedersi e guardare-con velata nostalgia- i cambiamenti della sua Austin nel corso degli anni in Bottom Of The World, una ballata folk riflessiva come lo sonola texana  San Antonio Rain e la stupenda, malinconica Never Stood A Chance, fino ad arrivare alle troppe lacrime che bagnano un rapporto d'amore nell'incedere teso e primitivo di Too Many Tears. 
La finale Sabor A Mi, canzone di Alvaro Carillo, un classico messicano datato 1959, ed interpretato in lingua madre spagnola su un leggero tappeto elettronico è curiosa e anomala.
Un disco che vuole soddisfare le ambizioni artistiche del suo compositore. Allo spiazzante ascolto iniziale si sostituiscono tutte le sfumature che Escovedo riesce a dare alle sue canzoni, forte di una scrittura mai così attenta, piena, ricercata e avventurosa. Una tranquillità riconquistata e pienamente palpabile ascoltando il disco.La giusta chiusura alla trilogia iniziata con Real Animal.




 



 

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