E' difficile descrivere a parole quel misto di eterea nostalgia e ribelle provocazione che l'ascolto dei testi di Ivan Graziani mi hanno sempre provocato. Più di qualunque altro cantautore italiano, nonostante l'ascolto delle sue canzoni sia più saltuario rispetto a tanti altri (De Gregori, De André, Rino Gaetano). La sua grazia ribelle, ma allo stesso tempo nostalgica e fortemente radicata nel quotidiano, il suo romanticismo delicato quanto, a volte, sanamente sboccato, la sua autoironia mi hanno sempre lasciato qualcosa dentro, qualcosa di assolutamente inspiegabile.
Ho provato a capirci qualcosa poco più di un mese fa a Barolo (CN), quando suo figlio Filippo Graziani, che ha fortemente voluto questo tributo, si è presentato sul palco prima di un colosso come Patti Smith e ha cantato le canzoni di papà. I risultati furono solo piccole (grandi) scosse di brividi ascoltando Firenze, Pigro e Lugano Addio. Mi feci bastare queste vibrazioni e lasciai da parte le domande.
O come quel Sanremo del 1985, a cui partecipò con poca convinzione. Quando i suoi grossi e caratteristici occhiali colorati, la sua chitarra e il testo di quella fuga d'amore assolutamente in linea con la tradizione rock'n'roll, tra ricordi, speranze, murales, treni, vagoni, polizia e un padre incazzato nel pop di Franca, ti amo mi avevano fatto capire che Graziani era fuori dal comune, e sperare... Sperare che la sua canzone potesse arrivare a vincere il Festival. Che delusione vederlo al diciassettesimo posto, poco più in alto di Finardi, Locasciulli, New Trolls, Zucchero e Garbo. Solo anni dopo capii che gli ultimi di quella classifica sarebbero diventati i primi nella mia. Questa è l'Italia delle canzonette. A Sanremo ci tornò nel 1994 con Maledette Malelingue. Andò meglio.
Quando nell'adolescenza i tuoi gusti musicali cambiano come le stagioni, la voce e i vestiti, scopri che dentro l'audiocassetta di IvanGarage(1989), comperata per quel titolo così rock, dedica una canzone ai metallari (I Metallari), giocando, a suo modo, con i soliti luoghi comuni e tu sei appena tornato a casa con la tua nuova copia di No Prayer For The Dying degli Iron Maiden. Un nuovo mito da idolatrare: "I metallari, condannati a ricucirsi da soli"; quando scopri il sesso e capisci che la sua ostentata, e mai nascosta, ossessione per il corpo femminile con le sue colline bianche e solchi misteriosi, un poco, è anche la tua e quella di tutti i maschietti: "Le scarpe da tennis bianche e blu, seni pesanti e labbra rosse ..." da Lugano Addio; "E se tu le vuoi incontrare, uguali come gocce d'acqua Dada la grande e Ivette senza tette, le due cugine strette" da Dada; il titolo del suo album Seni e coseni (1981); e l'apoteosi finale in Poppe, poppe, poppe da Maledette Malelingue(1994), il suo ultimo testamento di studio.
Devo dirvi la verità, un po' mi spiace che esca questa raccolta. Che esca (anche) allegata e legata ad un quotidiano così famoso. Non fraintendetemi. Mi spiace, perché vorrei che le sue canzoni rimanessero ancora per pochi, per chi ha continuato ad ascoltarlo in questi quindici anni e non per chi ha continuato, come in vita, ad ignorare la sua opera. Non vorrei per Graziani quello che è successo per Rino Gaetano. Non vorrei sentire le sue canzoni, riscoperte all'improvviso, e strumentalizzate per fini poco nobili come successo per Gaetano. Vorrei che rimanessero lì, sospese in quella eterea nostalgia e ribelle provocazione, magari tramandate da padre in figlio come succedeva una volta. In fondo lui non si è mai piegato alle leggi del mercato discografico ("le case discografiche sono le fabbriche degli illusi" disse), non è mai venuto a compromessi per vendere la sua musica. Ha sempre percorso la sua strada, inciampando negli insuccessi, nelle critiche, ma mai cadendo e se è successo si è rialzato più forte di prima. E lo stava facendo di nuovo con Maledette Malelingue, ma venne sconfitto-solo-dalla malattia nel 1997. Colto, libero, ironico, diretto e tagliente da diventare scomodo e di difficile e non immediata lettura.
Però, poi, sono contento che qualche giovane rocker possa scoprirlo ascoltando I Metallari, rivestita di grossi riff nu-metal ed elettronica, rifatta dai torinesi Linea 77. Perché Graziani è stato uno dei pochi veri e genuini cantautori rocker che abbiamo avuto in Italia (io ci aggiungo il primo Edoardo Bennato). E chi vuole aggiungerci quei due che stanno sempre a battibeccare tra loro lo faccia. Io non sono d'accordo. Era anche un grande chitarrista (fieramente autodidatta) che amava la sua chitarra come e più di una donna, tanto da considerarla prolungamento del suo corpo, come solo i più grandi chitarristi fanno.
"Ma tu smetterai?"(di suonare) "Mai. Un vero chitarrista muore, deve morire sul palco". da una intervista di Pino Scaccia.
"Ma tu smetterai?"(di suonare) "Mai. Un vero chitarrista muore, deve morire sul palco". da una intervista di Pino Scaccia.
Perché una canzone come Pigro, rifatta dai Marta Sui Tubi andrebbe insegnata ad ogni giovane uomo che non vuole commettere sempre i soliti errori in società.
Graziani era anche un bravo pittore e disegnatore di fumetti e la grottesca storia di Monnalisa rifatta con un pesante e grosso riff '70 dai Marlene Kuntz, era un po' il suo testamento d'artista: "la scuola è una gran cosa/ soprattutto se ti insegnano ad amare/ i capolavori del passato/ però è un gran peccato che tu non li puoi vedere nè toccare" . L'arte è di tutti.
C'è l'impegno e la critica sociale: I Lupi (rifatta da Tre Allegri Ragazzi Morti) parla della guerra, dei fantasmi di un reduce che solo spezzando il fucile e ritornando sul luogo dell'orrore riesce a scacciare gli incubi; l'epicità rock'n'roll e la follia dell'uomo nella poco conosciuta ma bellissima Lontano dalla paura (Massimo Zamboni-Angela Baraldi), che in origine faceva da colonna sonora al misconosciuto film di Noel Marshall: "Il grande ruggito".
Ci sono quei ritratti di quotidianità provinciale da cronaca vera (nera), cantati con sapiente ironia in cui qualcuno riusciva ad identificarsi: la geniale violenza teppista di Motocross nella pesante versione dei torinesi Titor, l'autoritratto veritiero di Prudenza Mai nella versione rocksteady di Roy Paci: "Prudenza mai/mai neanche adesso che son grande/e dovrei stare attento/a quel che pensa la gente/e invece ti mando a fare in culo/a te che sei il direttore/che mangi sempre minestrina/e dopo fai la cacchina/beh, niente sermoni, aio, aio/non rompetemi i maroni". Gli evocativi paesaggi di Fuoco sulla collina nella versione elettro-dub di Raiz. La migliore cover del disco, secondo me.
E poi, i tanti romantici e malinconici ritratti di luoghi e donne, nati per essere inscindibili tra di loro. Ballate che spesso fanno male, facendo riaffiorare situazioni e ricordi che tutti, chi più chi meno, abbiamo provato sulla nostra pelle legandoli ad un particolare momento di vita: Firenze nella fedele riproposizione di Simone Cristicchi che dimostra, purtroppo, quanto le canzoni di Graziani siano difficili da interpretare, Lugano Addio (Mauro Ermanno Giovanardi), l'amore separato dai chilometri di distanza in Cleo (-Luca- MorinoMigrante), le illusioni e le storie mancate in Olanda che diventa una canzone elettro/rock (Paolo Benvegnù).
E poi le donne, tutte le donne, poeticamente rappresentate, cantate e descritte in Agnese in cui si specchia con dolcezza Cristina Donà e Sei Così bella che il figlio Filippo Graziani canta con quella voce che sembra, sempre, far rivivere papà. Fu scritta e dedicata alla moglie Anna. Un piccolo cerchio che si chiude." Se c'è un brano nella produzione di mio padre che avrei voluto scrivere è proprio questo. L'eterna lotta e l'autodistruzione per capire il gentil sesso e la consapevolezza che è impossibile farlo" Filippo Graziani.
Nel secondo disco di questa raccolta sono incluse altre 14 canzoni originali, prese dalla discografia di Ivan Graziani. foto di Cesare Monti